Capitolo due

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JACE
Dannata cucciola!
Solo adesso, mi accorgo che ha allegramente rosicchiato le mie scarpe, durante la notte.
Perché ho deciso di portarla a casa con me?
Sbuffo, rimettendomi a lavoro e baciando il dorso della mano sinistra di Rikki.
Fisso i fogli, poi controllo le mail, cercando di concentrarmi sul lavoro che devo assolutamente svolgere. Le indagini su Cole, continuano a tenermi impegnato.
Guardo la sua figura per la milionesima volta, sentendo stringere il nodo in gola e il cuore nel petto.
Tornerai da me, lo so.
Sospiro, riabbassando lo sguardo sul pc, ma qualcuno bussa alla porta.
La madre di Cole, abbozza un piccolo sorriso, facendo il suo ingresso.
Ha un aspetto impeccabile, nonostante a situazione del figlio.
Scatto in piedi, pronto ad affrontarla.
Cosa diamine fa qui?
Alexis si avvicina, lentamente, come se avesse paura della mia reazione.
Io però, attendo il suo arrivo, senza dire una parola.
«È sempre stata così bella…» Borbotta, abbozzando un sorriso malinconico e fissando la mia Rikki.
«Cosa fa qui, Signora Hayden?» Domando, mettendomi le mani in tasca e guardandola con fare infastidito.
«Chiamami Alexis, Jace. - Mi rivolge un sorriso, interrompendosi. - Avrei bisogno di parlare con te.» Conclude.
«Riguardo?» Chiedo io, spazientito.
«Riguardo le accuse rivolte a mio figlio. Cole non era in sé…»
«Cole ha violentato mia moglie, l’ha fatta seguire, ha cercato di ucciderla ed ha ucciso mio figlio, Alexis. Se anche ritirassi le accuse sullo stupro, non posso cancellare i filmati. - Mi interrompo, avvicinandomi a lei. - Comunque, non ho intenzione di farlo. Deve pagare e ringraziare il fatto che sia su un letto d’ospedale e non a marcire in una bara, per merito mio.» Sputo acido, attendendo una sua risposta o la sua uscita.
«So che sei arrabbiato con lui, ma Cole ha dei problemi…» Cerca ancora di convincermi, alzando le sopracciglia, come se stessimo parlando di un litigio tra bambini.
«Tuo figlio è un drogato psicopatico, Alexis. Forse non era in sé, ma ha comunque commesso degli errori da cui non può più scappare. Farò in modo che marcisca in prigione, se sopravvive al coma che si è autoindotto.» Mi allontano da lei, trattenendomi dal dare un pugno al piccolo tavolo che orna la stanza d’ospedale.
«Sono certa che potremo accordarci con la giusta cifra, so dei debiti di tuo padre…» Non finisce la frase e ferma la mano che stava per infilare nella borsa, probabilmente per afferrare il libretto degli assegni.
«Basta così! - Grido, facendola sobbalzare. - Non posso tollerare tanto, non ho bisogno dei tuoi soldi sporchi e non li accetterei comunque. Cole pagherà, adesso Alexis, ti voglio fuori di qui in meno di dieci secondi.» Gli rivolgo una gelida occhiata, poi mi volto.
Il rumore delle sue scarpe riempie la stanza, accompagnato dalla porta che sbatte.
Voleva corrompermi e fare in modo che suo figlio potesse uscire di prigione sotto cauzione, che avrebbe potuto pagare.
Non funziona così, non con me, non se di mezzo ci va Rikki…
Dovrà pagare ogni singolo istante di dolore che le ha procurato, dovesse essere l’ultima cosa che faccio.
Non posso credere che abbia davvero avuto il fegato di venire qui e propormi un accordo, è più che assurdo!
Sospiro, risedendomi sulla sedia e riprendendo la mano Rikki, ornata dalla fede e dall’anello con lo zaffiro.
Lascio che la sua pelle e il suo contatto mi donino pace e tranquillità, vorrei uscire da quest’ospedale e uccidere quel bastardo a mani nude, ma Rikki è qui e non voglio lasciarla un solo secondo.
Allento la stretta, guardandola e desiderando che apra gli occhi.
Le lacrime bagnano le mie guance, nonostante continui ad asciugarle.
Ho bisogno di lei, continuo ad aspettare che si svegli e per giorni, l’ho guardata, in attesa in qualsiasi movimento che mi donasse speranza.
Sono vuoto, triste.
Lei riempiva le mie giornate, riempiva la mia vita…
Un brivido mi percorre la schiena, quando qualcosa solletica la mia mano, la stessa che stringe le sue dita.
Sto sull’attenti, aspettando che la sua espressione cambi o che qualsiasi parte del suo corpo, si muova.
Non voglio illudermi…
Le sue dita si muovono ancora, quando il display che conta i suoi battiti cardiaci, comincia a far salire il numero.
Dovrei lasciarla, chiamare un medico alla svelta, ma non posso.
Mi sono ripromesso di essere qui con lei quando avrebbe aperto gli occhi, non farò diversamente.
L’ansia pervade il mio corpo, il battito non smette di salire…
Succede tutto in fretta, un attimo prima la guardo, in attesa che si svegli; quello dopo entrano i medici ed io vengo spinto da parte.
Mi ribello, confuso e incazzato.
Lei è lì, si sta svegliando, ed io non sono al suo fianco.
Devo vederla, devo sapere costa sta succedendo…
Qualcuno, più forte degli infermieri che cercavano di tenermi, comincia a condurmi fuori, mentre io grido il suo nome, disperato.
No, lei stava tornando da me, lo sento.
Non può essere altro.
«Mi lasci!» Grido, sfilando le braccia dalla presa dell’addetto alla sicurezza.
Vado alla porta, guardando attraverso il piccolo vetro, guadagnandomi lo sguardo attento dell’uomo che mi ha tirato via con la forza.
La mia Rikki…
La stanza è un turbine di camici bianchi, che si affollano al letto e armeggiano le macchine e gli strumenti.
Resisto alla voglia di entrare e scoprire cosa sta succedendo, poi vedo qualcuno avvicinarsi alla porta.
Mi allontano, pronto a sentire il medico che ho davanti qualche secondo dopo.
«Signor Walker, sua moglie è in stato di minima coscienza. Il ché ci porta a sperare in una buona ripresa.» Mi comunica l’uomo di mezza età, speranzoso.
«Posso…»
«Non ho ancora finito. - Si interrompe, avvicinandosi a me. - So che è una situazione difficile, ma voglio essere chiaro con lei. Il risveglio non è come quello dei film, la ripesa è dura, ma sua moglie non sta avendo un lungo coma, e questo è uno dei fattori positivi.» Mi guarda, quasi fosse sollevato.
«La ringrazio e mi scuso per prima, la sola speranza…» Scuoto la testa, cercando di non piangere ed ingogliare il nodo appena formatosi in gola.
«Non voglio che si scusi, avrei avuto la stesa reazione. Voglio solo dirle che sua moglie, si riprenderà. Non posso dirle quando, o come, ma le sue condizioni sono buone, non smetta di sperare.» Mi lascia una pacca affettuosa sulla spalla, lasciandomi nel vuoto corridoio.
Gli ultimi infermieri lasciano la stanza, ed io mi guadagno le loro occhiate incazzate, mentre raggiungo il letto.
Niente è cambiato nella sua espressione o nella sua posizione, eppure è come se le cose fossero diverse.
Adesso so che potrò riabbracciarla presto, so che migliorerà, so che tornerà da me… E questa volta, non lascerò che qualcuno possa farle del male.

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