Capitolo 1.

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Un rumore. Un assordante rumore interruppe la pace e la tranquillità che regnava nella mia stanza.

Presi la causa del frastuono e la lanciai contro al muro. Girandomi poi sul lato osservai l'oggetto in mille pezzi e soddisfatta chiusi di nuovo gli occhi.

"Mirtha smettila di rompere sveglie, chiaro? È la quarta che compro questa settimana." Urlò mia madre entrando in camera e recuperando ciò che era rimasto del mio macello. Il suono dei suoi tacchi che echeggiò nelle mie orecchie mi fece desiderare di rompere nello stesso modo anche quelle.

"Se vuoi che smetta di romperle allora non comprarle." Spostai la coperta dal mio corpo e la sorpassai spingendola con una spalla.

Aprì il getto caldo dell'acqua e aspettai la giusta temperatura prima di spogliarmi e lavarmi.

Volevo solo dormire, chiedevo tanto? La scuola non mi serve, non avrei continuato i miei studi per finire in uno studio di avvocati ed essere infelice per il resto della mia vita. Quella era la loro merda, non la mia.

Bagnai con delicatezza i miei tinti capelli biondi e li insaponai per bene.

Un po' di schiuma mi finì in un occhio e invocando tutti i santi riuscì con dell'acqua a togliere il bruciore.

"Se non esci da quella doccia in dieci minuti farai tardi ed io non ti aspetterò." Mia sorella camminò attraversando il corridoio fino a raggiungere il bagno.

Prese il suo solito rossetto rosso e si dipinse le labbra. Dopo averlo steso per bene si voltò e facendo un espressione di disgusto dovuta ovviamente alla visione del mio magnifico corpo di cui lei era estremamente gelosa farfugliò qualcosa.

"Va pure da sola, avviati. La tua inutile macchina costosa non arriverà prima dell'autobus che prenderò."

La porta fu sbattuta e ritornando ai miei pensieri terminai la doccia.

Dopo aver indossato la biancheria presi un jeans scuro dall'armadio e velocemente lo indossai saltellando per tutta la camera. Poi presi un maglione random dal cassetto e un codino per legarmi la morbida treccia che avevo già incominciato a fare.

Presi le solite converse bianche rotte che mia madre chiamava "pantofole dei barboni" e dopo averle infilate uscì.

Raccolsi lo zaino nero e mi posizionai sul capo il mio grazioso cappello e mi incamminai verso la fermata.

Una nuova giornata di merda stava per iniziare.

We can't stay together || h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora