Prima parte

169 4 4
                                    

Il cuore gli si era fatto pesante come quelle lacrime che continuavano a sporgere in modo pericolante dai suoi occhi.
Il suo cuore gli si era fatto pesate come quella bottiglia di scotch che teneva stretta a sé, come se fosse un pupazzo.
Il suo cuore era così pesante da troppo.
Non sarebbe dovuto tornare sulla terra; non avrebbero dovuto salvarlo; non voleva essere salvato.
Avrebbe avuto una morte serena nel sonno, dopo un bel discorso strappalacrime avrebbe dato il suo patrimonio a qualche bimbo sperduto in Burundi, giusto per fare il suo ultimo atto da eroe. E poi boom, fine, caput, chiusura dei sipari, titoli di coda. Avrebbero messo una sua statua di 20 metri davanti alla Stark Tower, avrebbero dato il suo nome a qualche strada e qualche scuola per bimbi ricchi e sarebbe finito nei libri di storia.
Un finale decente.
Avrebbero tutti compianto la morte di Iron Man, non di Tony. Avrebbero tutti versato lacrime per Iron Man, non per lui. Ed avrebbero tutti ricordato Iron Man, non l'uomo che ne faceva le vesti.
Tutti si sarebbero scordati di Tony Stark, un alcolizzato paranoico estremamente solo e depresso.
Perché era questo l'essere nel quale si era ridotto: l'ombra di se stesso.
Nella mano che non teneva occupata a farlo ubriacare c'era una lettera.
Quella lettera che si sarebbe potuta consumare per tutte quelle volte che l'aveva letta e riletta, osservata, toccata, perfino annusata.
Ed ora era di nuovo lì tra i suoi palmi, non riusciva a distaccarsene, era come un tarlo nella testa che continuava ad obbligarlo a stare fermo, a non andare avanti, a farlo sentire non meritevole di andare avanti.
Quella lettera, o meglio ancora Steve Rogers, era la sua punizione, il suo castigo; di questo ne era certo.
E nonostante la totale apatia nella quale si trovava, il dolore era ancora una delle poche cose a riuscire a pungere e ardere nel suo cuore, e ormai lo aveva trovato piacevole, quasi confortante; Gli ricordava fosse ancora in vita.
Steve gli ricordava che fosse ancora in vita, e adesso stava bussando alla sua porta, come faceva ogni sera da quando era tornato dallo spazio ed era stato costretto a rimanere all'Avengers Tower perché: "così debole da non essere in grado di sostenere nemmeno un viaggio da qui a casa tua."

- Tony? -
- Non ha senso bussare alla porta se poi non si aspetta il permesso di entrare, non te le insegnavano queste cose nella tua epoca Cap? -
- Puoi chiuderti a chiave se non vuoi che io entri. Non sono un poliziotto che fa la ronda per controllare i suoi detenuti. -
Solo in quel momento alzò lo sgaurdo dalla lettera a lui.
- Davvero? Perché a me pare proprio di essere in carcere.-
- Siamo preoccupati per te Tony. -
- E perché mai? Sto una favola. Non si vede? -
Steve gli diede un'occhiata approfondita. Era deperito e delle rughe decise gli solcavano il volto, che pareva quasi tumefatto per via delle profonde occhiaie di un colore che non definirebbe neanche umano. Una mano tremolante tratteneva con forza una bottiglia di Alcool, mentre l'altra era impegnata a toccare freneticamente un foglio di carta ben ripiegato ma molto logoro. Gli occhi erano lucidi, pensò probabilmente per via dell'alcool. Era sicuro che se lo avesse incontrato al di fuori della torre non sarebbe stato in grado di riconoscerlo.

- Non dovresti bere. -
A quell'affermazione Tony sbottò, tutto questo finto interesse lo stava facendo impazzire. Steven Grant Rogers era un gran incoerente oltre che un gran cazzone, ed aveva tutta l'intenzione di farglielo capire.
- E tu non dovresti continuare ad entrare ed uscire dalla mia vita. Ma come vedi- Disse facendo un gesto plateale - Nessuno è perfetto Rogers. -
Lui in risposta rimase in silenzio, quasi trattenendo il fiato, solo dopo qualche secondo riprese la parola.
- Mi dispiace. -
- Anche a me. - disse per poi fissarlo profondamente negli occhi, dal quale cercava disperato riparo, come una conferma che fosse sincero, che il profondo legame che li univa stesse ancora lì, tra quegli occhi azzurri che ora sembravano quasi più scuri, rabbiuati.
Steve spezzò il loro sguardo, concentrandosi sul pezzo di carta che Tony teneva ancora fra le mani. Con la luce fioca ci mise un po' ad inquadrare quel foglio, che anni fa aveva scritto per lui.
Appena si rese conto si trattasse di quella lettera i suoi occhi scattarono di nuovo in quelli di Stark, con un briciolo di speranza in più. Forse non tutto era perduto.

- L'hai tenuta. -

C'era una vena di dolcezza nella voce del biondo che per un attimo inebriò l'udito di Tony, facendogli traballare il cuore e non poco. Ma questa volta avrebbe retto il colpo, doveva chiudere a tutti costi la faccenda: Steve sempre in mezzo alle palle Rogers.
E se l'unico modo per allontanarlo era quello di ferirlo fino a farsi odiare, lo avrebbe fatto.

- Certo, per ricordarmi ogni giorno di non fidarmi mai più delle tue parole. -
Il biondo stette in silenzio, ferito nel profondo ma consapevole di meritarselo.
- Cosa credi? Che l'abbia tenuta per rileggerla nei momenti difficili? Tutte le volte che mi sei mancato? Magari anche piangendo davanti una bella vaschetta di gelato? Come una ragazzina ebete che è appena stata lasciata dal suo primo amore?
Notizie dell'ultima ora capitano, tu non mi hai lasciato ed io non sono una quindicenne con il cuore spezzato. Hai fatto peggio, molto peggio. Tu hai tradito tutti noi, tutta la squadra. Tu hai tradito me. E sai cosa hai fatto dopo? Mi hai mandato una letterina di scuse dove mi avevi promesso che se avessi avuto bisogno di te, tu ci saresti stato. -
Aveva alzato la voce pieno di collera e adesso gli stava schiacciando al petto quella dannata lettera.
- La vedi questa? Questa cosa non ha nulla di speciale, nulla di dolce o romantico, le tue parole non valgono un cazzo! L'ho tenuta solo per ricordarmi di non fidarmi mai più di un uomo spregevole come te.
Sei un bugiardo Steve Rogers! Tu me lo avevi promesso. Ma mentre Peter scompariva tra le mie braccia pregandomi di non morire, tu non eri lì! -
La sua voce si riappiatti bruscamente, come a voler marcare ulteriormente la sua situazione.
- Tu non eri lì. E sai quali furono le sue ultime parole? "Mi dispiace". -
Solo in quel momento Tony si fece sfuggire una lacrima, una soltanto, sulla sua guancia.
Fissava Steve, che era rimasto immobile tutto il tempo come un automa, aspettando una sua reazione. La sua espressione era dura, impassibile; il suo corpo era composto, troppo per sembrare anche solo lontanamente una posa normale. Si stava chiudendo in se stesso, nel tentativo vano di portare nel più profondo del suo cuore lo straziante dolore e senso di colpa che lo stava travolgendo in quel momento.
Perché tentativo vano? Perché Tony lo conosceva troppo bene. Perché quest'aria da soldato insensibile poteva darla a bere a tutti ma non a lui, che sapeva scrutare e leggere nei suo occhi fino ad arrivare alla sua anima. Ma quando si mise ad osservare l'enorme profondità di quei due pezzi di paradiso, non riuscì a riconoscerli neanche per suoi: tutta la loro luce era sparita, pareva morto. Si sentì immediatamente in colpa per averlo ferito talmente tanto da aver smostrato i suoi bellissimi occhi, ma ormai non poteva tornare indietro, doveva mettere un punto a questa storia.
- Ed ora ti prego, vattene. Vattene da questa stanza e non tornare mai più, non ti azzardare a farlo. -

Forgive me || StonyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora