x. 08.09.2020 (2)

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x. 08.09.2020 (2)

Ho le mani che tremano.
Non ho nemmeno fatto in tempo a stendermi e a provare a chiudere gli occhi che il corpo ha iniziato a scendere, prima fra le lenzuola, poi come dentro il materasso, e la sensazione è stata come se qualcosa mi inghiottisse e io potessi respirare sempre meno. Ho rischiato di svegliare lei, ho rischiato di inciampare scendendo dal letto, poi sui miei stessi passi mentre correvo in bagno a sciacquarmi il viso.

Tutt'ora non riesco a respirare e mi chiedo cosa mai di tanto terribile si stia preparando, al pari di chi guarda un temporale avvicinarsi dal mare e scorge solo un'ombra leggera, nemmeno tanto grigia, di quella che sarà l'onda dello tsunami che ci sommergerà.

Perché è così, non è vero?

Ci stiamo preparando, magari, e io, invece che parlarti, continuo a non mandarti queste stupide lettere e a chiederti di avvicinarti, se sei qui, di tendere la mano e, se vuoi, tenerla finché avremo la testa sott'acqua, se mai l'onda ci sommergerà.

Ho i biglietti vicino al computer da cui ti sto scrivendo. Li tengo lì, li guardo per ricordarmi che l'abbiamo fatto davvero, di nuovo.

Lo senti? Lo senti come stride il cerchio quando sta per chiudersi?

Sembra una grossa porta arrugginita da cui passa sempre meno luce, sia da una parte che dall'altra. E noi non siamo riuscit* ancora a vederci, ci è impossibile. Ce ne rimaniamo quieti ad attendere la nostra fine, condannati al patibolo, peccatori nel Giorno del Giudizio. Inermi, ad attendere che le nostri sorti si compiano.

Ma io lo so, lo so che non riesco a star fermo, che farò qualcosa per mettere a tacere tutto questo terrore che mi attanaglia i polpacci, che mi muoverò e parlerò, pur di non temer di morire, e forse sarà proprio questa la mia fine.

Allora prego che il mio buon senso mi fermi, mi chiuda la bocca, mi tranci le mani (mordile, mordile, mordile!) e io non rovini ogni cosa. Di nuovo.

Non voglio.

Non lo voglio più.

E di chi è questa voce che sussurra che lo farò?

Vorrei... vorrei poggiare la testa sulla tua spalla, che quelle di lei, ormai, son fragili e non voglio pesar loro ancora.

Ma la tua spalla non c'è, non c'è già da un bel po'.

E allora mi chiedo: se non sei qui, dove sei? Che altrove abiti? Che adesso vivi?

Che mi diresti, tu, se potessi ancora parlarmi?

Stracceresti questi biglietti mentre lei ancora dorme? Fingeresti qualche malessere a poche ore dal viaggio?

Partiresti?

No, tu non faresti mai una cosa simile, lo so.

Ma al mio posto...

Forse è una domanda troppo complessa, non trovi?

Io, al mio posto, so che partirei. Che terrei a freno il voltastomaco, l'ansia, il terrore, l'angoscia; li immergerei in un dito di calmanti e, come in un sogno, mi muoverei in cerca di risposte dentro un bosco pieno di foglie e ombre.

Sento un freddo terribile mentre ti scrivo, e non so nemmeno perché. La temperatura della stanza è ottimale, e io ho appena preso una felpa per coprirmi le spalle.

Sei forse tu che senti freddo?

Ti immagino sul letto, con le lenzuola a coprirti la spalla, la spina dorsale che sporge da una maglia leggera, dei capelli lunghi a coprirti il volto tessendo una trama scura per proteggerlo dal mondo. Le palpebre son chiuse, strizzate, tengono a freno quei pochi brandelli di sogni che ricordo tu riesci a controllare quando dormi. Cosa stringi così forte? Cosa c'è in quei due pugni vicino al viso? Ti tieni a freno, no?

Ti immagino nella penombra rotta dalla fioca luce di un tiepido mattino. Ti immagino far rumore con le caviglie nude sfregate contro le lenzuola, tua sorella che ti sente, ma non si sveglia, ha tanto sonno, non riesce a svegliarsi per chiederti cosa succede; forse lo farà al mattino, appena si sveglierà.

E le immagino (ma sì, vomitiamo tutto, oggi che è festa e potrebbe essere l'ultimo giorno di questo cerchio) le mie dita che si muovono, si avvicinano, chiedono a lei di far silenzio, di non svegliarti, e leggermente provano a scostarti i capelli dal viso e a toglierti quella goccia di sudore che si è infiltrata nella ruga fra le sopracciglia.

Devo fumare. Scusa.

Mi dispiace per questa debolezza. Dev'essere il sonno... Vorrei cancellare ogni parola ma ho promesso di non farlo.

Sento le dita bollenti. Ho iniziato a sudare e la felpa, ormai, è ben distante, su una sedia.

Non so cosa mi prende, né se sia il caso che io continui a rimanere qui.

Forse dovrei solo attendere che questo giorno finisca. Forse dovrei starmene con le mani in mano e basta, senza muovermi, senza provare a toccarti.

Forse dovrei solo racimolare un po' di coraggio, mandarti queste tre lettere prima che diventino quattro, dirti le cose come stanno, che pur se leggerai in un altro adesso, almeno il mio sarà concluso.

Lui dice che dovrei smetterla, che ciò che ti ho scritto due settimane fa, quando ero in campagna, è stato troppo, che il video che ti ho mandato ha fatto uscire tante cose strane dal vaso di Pandora, che dovrei richiuderlo prima che scoppi. Io ci ho guardato dentro. Ci son solo ricordi, quelli che fanno male, quelli che, col tempo, ho imparato a guardare. Ci son solo loro, nient'altro. Sul fondo, dice lui, e io non capisco.

Cosa c'è sul fondo?

Forse, se hai già visto le foto e il video che ti ho mandato, hai già la risposta.

Io temo sia solo paura, ma ora temo sia qualcosa di peggiore.

È lei, è lei che sta arrivando?

È lei che giace sul fondo?

Sei tu...

Sei tu

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