Capitolo 1

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Gli occhi del professor Marinelli mi scrutavano seri, il suo sguardo, freddo come i grandi ghiacciai, mi metteva in soggezione e mi faceva sentire come un minuscolo topo di laboratorio, pronto ad essere esaminato in nome della scienza. Le sue mani, ben legate l'una all'altra, giacevano immobili davanti alla sua bocca, come a voler tacere un naturale istinto a intervenire nel mio monologo un po' abbozzato e un po' sconclusionato. Era così, allora, che ci si sentiva di fronte a quello che, con ogni probabilità, sarebbe stato il proprio relatore di tesi triennale? Conclusi il mio discorso, con cui, in linea di massima, gli avevo spiegato quali erano i miei piani per la mia tesi, come avrei voluto sviluppare determinati argomenti e come, invece, avrei preferito tralasciarne altri. Il professore - un bell'uomo sulla sessantina, ma dal guardaroba pessimo - stette a guardarmi per qualche istante con il suo solito sguardo accigliato, quello che teneva ogni volta che qualcuno a lezione faceva un intervento - pertinente o meno che fosse. In quel momento, ebbi paura di aver sbagliato tutto, di aver osato troppo, di non essere sufficientemente preparata per discutere un argomento del genere in una tesi triennale. Tuttavia, dovetti ricredermi. "Sa Alice - fece una breve pausa, rilassando la schiena sullo schienale della sua poltroncina - , credo che la sua sia una intuizione eccellente, lei ha colto il senso profondo e forse meno visibile della riflessione heideggeriana sul divenire. Partire dai frammenti di Eraclito, come lei giustamente ha notato, è importantissimo, perché le radici dell'esistenzialismo in generale e del pensiero di Heidegger in particolare si trovano proprio lì, tra quei pochi frammenti che della filosofia presocratica abbiamo. Molto interessante, poi, credo sia il richiamo alla riflessione sul metabolismo di Hans Jonas che lei mi ha proposto, mi impegnerò a procurarle documentazioni simili al fine di condurre quest'appendice ad unirsi al quel tutto organico che sarà la sua tesi. Per quale sessione intendeva presentare la domanda di laurea?" stetti ad ascoltare le parole di Marinelli in religioso silenzio, incredula e sinceramente felice del fatto che avesse apprezzato la mia idea, la mia intenzione di analizzare il divenire e la sostanzialità dell'uomo secondo un'accezione diversa da quella consuetudinaria. "L'ideale sarebbe per la sessione di maggio" il professore annuì in maniera quasi impercettibile, chiudendo gli occhi a tal punto da renderli due minuscole fessure. Rimase qualche secondo a riflettere, facendo roteare secondo movimenti regolari la sua poltrona. In quei pochi istanti, riuscii a buttare un occhio alla finestra: il cielo al di fuori del dipartimento di studi umanistici era grigiastro, quasi tendente al bianco; "tempo di neve", avrebbe detto mia nonna, e in effetti non avrebbe poi sbagliato così tanto, dal momento che era gennaio inoltrato. "Va bene, per il momento le direi di procedere nella lettura in primis dell'Eraclito, mentre io penserò a come poter includere anche Essere e tempo - mi sorrise gentilmente, come era abituato a fare probabilmente con centinaia di studenti - per il resto, Alice, le auguro buona serata" si alzò agilmente dalla poltrona, mi porse la mano e, dopo averlo ringraziato per il tempo speso, mi congedai. Una volta fuori dallo studio, mentre vagavo per quel labirinto che era il palazzo del dipartimento di studi umanistici, realizzai pienamente cosa quel colloquio significava: ero giunta alla conclusione di un percorso, che quasi tre anni prima avevo intrapreso con determinazione e passione; l'obiettivo era lì, a qualche mese e qualche decina di pagine di distanza, mancava poco per riuscire ad afferrarlo. E non vedevo l'ora, non vedevo l'ora di sentire l'odore delle pagine della mia tesi, non vedevo l'ora di vedere il mio nome stampato sulla copertina rigida che avrei voluto bordeaux - come il colore principale della mia università, non vedevo l'ora di indossare la corona d'alloro e godermi, finalmente, un giorno di gloria dopo tutta la fatica che avevo fatto per ottenere dei risultati eccellenti. Eppure, la verità era che non avevo la minima idea di che cosa fare del mio futuro. Ero sempre stata abituata a pensare al futuro prossimo, a quel che sarebbe venuto immediatamente dopo, perché pensavo ci sarebbe stato tempo a sufficienza per riflettere sullo scorrere della vita, su quel futuro remoto che pareva al di là di un confine irraggiungibile. Il futuro remoto mi appariva invece ormai fin troppo vicino, pronto a sbucare da dietro l'angolo, già certo del fatto che mi avrebbe colta impreparata, indecisa, smarrita. Camminare per Venezia, che era stata la mia seconda casa nel corso di quegli anni difficili, aveva un effetto benefico su di me, lasciarmi trasportare altrove dai colori spesso sgargianti, dagli edifici dal fascino decadente, persino dalla visione dell'acqua lagunare torbida, riusciva a farmi relegare ogni problema, ogni preoccupazione in qualche angolo lontano dalla mia vista. A Venezia ero stata felice, lo ero stata sul serio, senza maschere e senza fronzoli: mi bastava avventurarmi una mattina tra le calli strette, accompagnata dalle mie immancabili cuffiette, o spingermi fino alla baia del re e guardare il tramonto seduta su una panchina; o ancora starmene seduta sui freddi scalini della basilica di Santa Maria della Salute, esattamente di fronte San Marco, ad ascoltare il vociare melodioso dei turisti, che rallegravano le mie giornate con le loro tante e diverse lingue. Quel giorno, quando uscii dal dipartimento, il sole era da qualche minuto tramontato, oltre le nuvole biancastre; se fosse stata una giornata qualsiasi, probabilmente avrei attivato la modalità "passo Venezia" e me ne sarei tornata al mio minuscolo appartamento a qualche passo da campo San Polo in fretta e furia, ma quel giorno di metà gennaio avevo soltanto bisogno di passeggiare, di scrutare il panorama della Giudecca passeggiando lungo le Zattere, nonostante il freddo pungente. Secondo Rebecca, la mia più cara amica e prima confidente, avrei dovuto sfruttare quei mesi apparentemente vuoti per tornare a casa, a Modena, e stare un po' con la mia famiglia e con gli amici del posto. Non aveva senso, secondo la sua opinione, che rimanessi fino alla laurea a Venezia, senza più lezioni da seguire, a spaccarmi la testa in biblioteca a scrivere la tesi; avrei potuto scriverla sulla scrivania della mia camera, a casa mia, viziata da una mamma un po' più amorevole del solito e dalle attenzioni continue della mia migliore amica. Inoltre, Rebecca sosteneva di potermi anche procurare un lavoretto, per occupare qualche ora della mattina. L'idea di tornarmene qualche mese a Modena e di riprendere lo stile di vita di un tempo mi tentava, così come mi tentava l'idea di racimolare qualche soldo in più lavorando; sarebbe stata soltanto una soluzione temporanea, ovviamente, perché poi, con l'inizio della magistrale, sarei di nuovo fuggita lontana da quella realtà che avevo abbandonato tre anni prima. Rientrai nel mio piccolo appartamento un paio d'ore dopo, infreddolita ma soddisfatta della mia passeggiata, che mi aveva decisamente dato una mano a schiarirmi le idee. Eva, una delle mie due coinquiline, se ne stava seduta al computer sul divano, intenta a leggere un documento in cinese; di Anita, invece, sentivo soltanto la voce intonata che passava attraverso le pareti, mentre da sotto la doccia cantava le parole di Girl on fire di Alicia Keys. "Com'è andato il colloquio?" mi chiese Eva, una volta che mi sedetti accanto a lei su quel piccolo e vecchio divano che da tre anni ci faceva compagnia. Eva era una ragazza molto bella: aveva dei liscissimi capelli rossi, lunghi fino alle spalle o poco più, che sarebbero rimasti ordinati anche durante un uragano; gli occhi, invece, erano color cioccolato, caldi, accoglienti e gentili, infatti per provare simpatia nei suoi confronti, era bastato uno sguardo. "E' andato - sospirai, abbandonandomi completamente contro lo schienale - a quanto pare mi laureo" l'espressione di Eva mutò improvvisamente, e da seria e preoccupata che era, tutta la sua faccia si aprì in un sorriso pieno di calore e di affetto. In un men che non si dica, la mia coinquilina mi saltò sopra, buttandomi le braccia al collo con fare quasi melodrammatico. "Ovviamente, per la tua laurea festeggiamo in grande, dobbiamo trovare l'osteria migliore di Venezia e ordinare almeno una trentina di caraffe di spritz! E voglio il karaoke, è d'obbligo!" risi per la sua felicità, neanche minimamente trattenuta, come se quel successo che stavo via via ottenendo fosse un po' anche il suo. E in fondo, lo era: io, Eva e Anita avevamo trascorso insieme, a supportarci e un po' anche ad insultarci, i giorni faticosi della triennale, ricorrendo alla "terapia karaoke" in caso di malumore e a qualche aperitivo di troppo, se le circostanze lo richiedevano. Per un istante pensai che non sarei stata in grado di separarmi dalle mie coinquiline, dal nostro appartamento malandato, dalla puzza di umidità tipicamente lagunare che percepivamo distintamente sin dal nostro risveglio; eppure, era come se lo sentissi, come se ci fosse nella mia testa un allarme, un segnale ben preciso che mi spingeva verso una via definita: tornare a casa. E, col senno del poi, posso dire di non essermi pentita di aver preso quella decisione. 


SPAZIO AUTRICE

Salve a chiunque leggerà questa storia! Non so bene come a ventuno anni suonati io sia finita di nuovo a scrivere una fanfiction, ma per queste cose non c'è età, vero? In realtà, non so neanche per quale motivo io abbia scelto proprio di scriverla su questo personaggio che, vi devo avvertire, non verrà fuori prima del prossimo capitolo. Non ho particolari aspettative da questa storia, se non quella di divertirmi e di svagarmi un po', durante questi mesi da universitaria triste. Buona lettura, e se avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate!

Sara

PULVIS ET UMBRA // Carlos SainzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora