Capitolo 2

301 13 2
                                    


Durante il periodo universitario, ero solita tornare a Modena durante l'estate, per le feste di Natale e raramente per quelle pasquali. L'atmosfera della mia città, una volta conosciuta quella veneziana, aveva smesso di piacermi, spingendomi a farvi ritorno sempre meno spesso. Quando tornavo per l'estate, la maggior parte del tempo la passavo nell'appartamentino di Rebecca, a Bologna, dove puntualmente organizzavamo piccoli festini per pochi amici intimi; adoravo quelle serate estive: nonostante fuori si boccheggiasse dal caldo, noi - i soliti amici di una vita - ce ne stavamo seduti sul pavimento fresco di quel monolocale al quarto piano, a sorseggiare forse troppe birre e a mangiare qualche schifezza che avevamo ordinato d'asporto, che fosse pizza, sushi o kebab. 

Di quelle serate ricordo il suono fresco e armonioso della risata della mia migliore amica, che essendo totalmente incapace di reggere l'alcol, rideva anche per un sospiro di troppo; ricordo le ore infinite trascorsi a confidarci sui più svariati argomenti, dall'amore al timore per il futuro, dagli esami all'ultima partita della nostra squadra del cuore. Cominciai a camminare verso l'uscita della stazione, con il mio trolley alle spalle il cui rumore annunciava prepotentemente il mio imminente arrivo; quel giorno Modena era bagnata da una pioggia torrenziale, che rendeva l'atmosfera più fredda o forse un po' troppo deprimente. Venezia, invece, era splendida anche con la pioggia; anzi, la pioggia riusciva a incorniciare la città lagunare in una maniera del tutto inaspettata, rendendola ancora più poetica e magica di quanto non fosse già. 

Una volta raggiunto l'esterno della stazione, attraversai la strada e, armata di ombrello, mi posizionai su uno dei punti più esterni del marciapiede, intenta ad aspettare mia mamma e mia sorella che sarebbero arrivate da un momento all'altro. Rimasi colpita dall'ingente quantità di acqua che cadeva dal cielo: grandi e maestose pozzanghere decoravano la strada, sembravano piccoli laghetti in cui avrebbero potuto nuotare tranquillamente delle paperelle; mi ritrovai a pensare che, in una giornata come quella, avrei potuto aver bisogno degli stivali alti di gomma, quelli verdi da pescatore, immancabili compagni d'avventura nelle giornate di acqua alta a Venezia, ma poi mi ricordai di essere a più di un centinaio di chilometri dalla mia seconda casa, e che un paio di stivali del genere, in Emilia-Romagna, avrebbero causato soltanto le risate della gente. Improvvisamente il mio cellulare, riposto al sicuro sul fondo di una delle tante tasche del mio giubbotto pesante, prese a squillare, ma non feci neanche in tempo a provare a cercarlo: prima un rumore, simile a quello di un'onda che s'infrange sugli scogli, poi una sensazione, inizialmente non molto chiara, di freddo e soprattutto di bagnato. Impiegai qualche secondo per comprendere quanto era appena successo, e lo realizzai a pieno quando vidi una macchina - e non una macchina qualsiasi, ma una Ferrari nera e tremendamente lucida - fare prepotentemente retromarcia verso la mia direzione: quel bolide che sembrava appena uscito da uno showroom, essendo passato a tutta velocità su una delle tante pozzanghere che costellavano l'asfalto, mi aveva lavato almeno fino all'altezza della vita. Boccheggiai per qualche secondo, senza dire alcunché, ma soltanto percependo con chiarezza l'irritazione e il nervosismo che s'irradiavano per ogni muscolo del mio corpo. Desiderai avere una pietra in mano, una pietra grossa e pesante, da tirare sul parabrezza di quel minus habens che, evidentemente, aveva qualche palese problema con la guida sul bagnato. La Ferrari accostò davanti a me e, in pochi secondi, il finestrino dalla parte del guidatore si abbassò, rivelando il volto di un ragazzo poco più grande di me, dallo sguardo confuso e leggermente mortificato. 

"Devi scusarmi, non avevo notato che ci fosse una pozzanghera così grande" alzò un sopracciglio sporgendosi fuori dal finestrino, mentre fissava con occhi sgranati quella pozzanghera, il cui contenuto era ormai quasi totalmente sui miei poveri vestiti. Inizialmente non reagii, rimasi in silenzio, fissando quel cerebroleso che continuava a guardarmi come se fossi la piccola fiammiferaia; provai, nei suoi confronti, un immediato senso di ostilità, causato forse dal fatto che se ne stava lì, con la sua spocchia da belloccio dai capelli ribelli, alla guida di una macchina da sogno, riservandomi delle occhiatine da povero essere indifeso, convinto forse di suscitare in me un po' di compassione. Respirai profondamente e a lungo, poi finalmente sputai rabbiosa: "dì un po', è possibile che con una macchina del genere tu sia completamente incapace di guidare? A questo punto, data la tua palese incapacità, devo pensare che l'hai rubata, e quindi dovrei chiamare i carabinieri!". 

Il ragazzo continuò a fissarmi con uno sguardo perplesso, fece per rispondere almeno un paio di volte, per poi ripensarci e tornare a riflettere. Cominciò a grattarsi la testa con fare confuso, per poi abbandonarsi totalmente sul sedile di pelle, lasciando uscire dalla sua bocca un rumoroso e sconsolato sospiro. 

"Non credi di stare un tantino esagerando? Ti ho chiesto scusa! - si passò nervosamente una mano tra i folti capelli scuri - Ti manderò a lavare i vestiti, se è questo che vuoi" replicò evidentemente esasperato, mentre la sua mano aveva cominciato a ticchettare sul volante. Lo fulminai con lo sguardo, mentre le rabbia, mista alla stanchezza per il viaggio e al malumore per il maltempo, non smetteva di salire.

"Guarda che ce l'ho la lavatrice a casa, idiota! - urlai, imitando il tono di voce a dir poco saccente che aveva usato qualche istante prima con me - Ora, se non ti dispiace, te ne potresti andare prima che mi venga voglia di spaccarti un finestrino? Grazie!".

A pensarci ora, forse quel giorno fui troppo dura nei confronti di quell'estraneo, la cui colpa era stata quella di aver esagerato con la velocità in una strada fin troppo bagnata. In fin dei conti, avrei dovuto pensare, era stato anche gentile, aveva avuto la premura di venirsi a scusare, quando avrebbe potuto tirar dritto, non curandosi minimamente delle mie sorti. Ma quel giorno non ci riuscii: odiavo la pioggia, odiavo l'umidità, odiavo essermi allontanata prematuramente da Venezia, odiavo sentirmi così tremendamente persa. Inoltre, il viso di quel ragazzo aveva un qualcosa che, sin dal primo sguardo, mi aveva fatta innervosire all'inverosimile; era una sensazione a pelle, la mia, di immediata e totalmente istintiva repulsione nei suoi confronti: era come se quegli occhi, quella voce, quell'atteggiamento sprizzassero arroganza, saccenza e senso di superiorità da ogni poro, e non avevo potuto sopportarlo. 

Il ragazzo mi guardò un ultima volta, borbottò qualcosa che non riuscii a comprendere e, alla stessa velocità con cui era arrivato, sgommò via, facendo riecheggiare il rumore della sua Ferrari per tutto il viale. Se quello era il benvenuto che la mia Modena mi aveva riservato, dopo tanta assenza, mi ritrovai a pensare che avrei di certo fatto bene ad attraversare nuovamente la strada e a prendere di nuovo un treno, per tornarmene nella mia amata Venezia. E sono sicura che, se ci avessi pensato ancora per qualche secondo, probabilmente avrei abbandonato l'idea di prendermi qualche mese di pausa e sarei tornata alla mia routine veneziana, fatta di lunghe passeggiate e di ore passate rinchiusa dentro la biblioteca di dipartimento; eppure, il destino che governa il mondo fece apparire, proprio in quel momento, l'Audi A4 di mia mamma, la quale, non appena mi vide, si lasciò sfuggire: "bontà divina, Alice, cosa ti è successo?". 

Caricai la mia valigia ormai fradicia nel bagagliaio, mi accomodai sui sedili posteriori dell'auto e, dopo aver salutato mia sorella Veronica, borbottai: "è stata una lunga, lunghissima giornata, ho bisogno di una doccia". La mamma ripartì, e mentre osservavo le goccioline che giocavano a rincorrersi sul finestrino, giunsi alla conclusione che ormai era fatta, non potevo tornare indietro. Era il momento, forse, di ricominciare dal principio.


SPAZIO AUTRICE

Ciao a chiunque leggerà anche questo capitolo! Siamo ancora nella parte introduttiva della storia: abbiate pazienza, giuro che prima o poi prende il via. Avrete capito che quello che è entrato in scena è Carlos, ma come si evolverà la situazione tra i nostri due protagonisti? 

Nel frattempo ringrazio chiunque abbia speso un minutino della sua vita per leggere il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto e spero che vi piaccia anche questo. 

A presto! (E forza Ferrari, anche se ultimamente... lasciamo stare)

Sara 

PULVIS ET UMBRA // Carlos SainzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora