Lettera di un soldato tedesco

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Fiume Somme, 9 Novembre 1916

Caro Konradin,

come stai? Tutto bene la tua famiglia? Come vanno le cose a Francoforte?

Spero per te bene, perché qua invece è un massacro.

Ogni giorno si sta peggio e vedo sempre più spesso compagni di sventura morire sotto ai miei occhi, lasciandomi solo con i loro ultimi desideri, le loro speranze e paure, mentre dentro di me si fa strada un nuovo sentimento: la rabbia, ma non verso i nostri nemici, bensì contro i ministri e gli ufficiali di corte.

Le condizioni di vita in trincea sono peggio di quelle degli animali: vedo tanti morire per le mitragliatrici e per le baionette, quanti per le malattie e per il freddo. L'igiene non esiste più, abbiamo tutti i vestiti impregnati di pidocchi, mentre ogni nostro risveglio è accompagnato dall'odore ripugnante degli escrementi misto a quello dei cadaveri in decomposizione.

Per non parlare del cibo; quando arriva è costantemente freddo, la pasta è colla e il pane è mattone. 

Ma la cosa che ti indebolisce maggiormente è il freddo, pungente come il filo spinato delle trincee nemiche e penetrante come la congestione delle mani di un compagno morto. Ti consuma a tal punto da toglierti la forza di muovere il primo passo quando fischiano l'assalto alle trincee opposte e da impedirti di parlare con le nuove reclute in cerca di qualche parola di consolazione.

L'unico rimedio che ci distrae da questa dura realtà è l'alcool, che fortunatamente non manca mai.

L'altro giorno siamo andati all'assalto e il mio reggimento è stato mandato in prima linea. Come al solito, mi sono sorte mille domande e timori, a cui ho scelto di non prestare ascolto per concentrarmi sui miei obbiettivi: aiutare la Germania a vincere, in modo da far finire questa guerra  e poter tornare finalmente a casa, dalla mia famiglia. E magari rivedere anche Elizabeth, con i suoi capelli biondi sempre al vento e la risata cristallina. Te la ricordi? E' la ragazza di cui ti ho parlato, che ho conosciuto un mese prima di arruolarmi. Quanto darei per potermi perdere ancora una volta nei suoi occhi...

Guidato dalle mie motivazioni personali e forte della presenza dei miei commilitoni, al via, coperto dalle mitragliatrici, sono uscito allo scoperto nella terra di nessuno, per cercare inutilmente di raggiungere la trincea di quei maledetti francesi. Il mio compagno a destra è stato colpito dal fuoco nemico prima ancora di poter metter piede fuori dalla trincea. L'ho visto ricadere all'indietro, il petto colorato di rosso, la faccia contorta in una smorfia di dolore e le speranze di rivedere i suoi cari morte nei suoi occhi. Con quest'immagine impressa nella mente mi sono lanciato all'attacco, ho percorso qualche decina di metri con i proiettili che mi passavano di fianco sibilando, poi sono inciampato nel cadavere di un nemico e sono caduto su di lui. La mia faccia era a pochi centimetri dalla sua e le nostre divise, tedesca e francese, si sfioravano. L'ho guardato in faccia e ciò che ho visto mi ha inorridito: aveva la stessa morte negli occhi del mio compagno tedesco morto qualche minuto prima, le stesse speranze dissolte nell'aria da un semplice e micidiale proiettile.

E in quel momento ho capito che in questa guerra noi soldati siamo tutti uguali: francesi, tedeschi, austriaci o italiani. Tutti infatti combattiamo per gli stessi motivi: far vincere la nostra patria,  finire questo maledetto scontro e tornare a casa. Tuttavia, differentemente da ciò che pensavo inizialmente, vincere è diventato solo un passaggio obbligatorio per far finire questo inutile spargimento di sangue, non è più l'obbiettivo finale, che ora è diventato tornare alla normalità di prima, quella che mi sembrava tanto banale e noiosa, ma che ora rimpiango assai.

Poi mi sono rialzato a fatica e sono tornato strisciando nella mia trincea, riportando un'unica ferita sul polpaccio destro a causa del filo spinato e una più grande nel mio cuore, che aveva finalmente compreso che la guerra è semplicemente inutile e dolorosa.

Ma al mio posto e a quello dei miei commilitoni ci dovrebbero essere i generali, i colonnelli, i ministri e gli ufficiali di corte che in questo momento sono al sicuro nei loro palazzi, mangiano cibo caldo e indossano vestiti puliti. Sono loro che hanno voluto questa battaglia e sono loro che devono farla. 

Purtroppo però, anche se ho capito queste cose, è tardi per tornare indietro o cambiarle: ormai c'è la guerra e va fatta, che mi piaccia o no. Magari un giorno lontano finirà e potrò tornare a casa, oppure morirò al prossimo assalto, chi lo sa? La vita è preziosa, questo è l'insegnamento più importante che mi porterò dentro per sempre. 

Ora ti lascio, è tardi e il freddo mi sta congelando le mani.

Saluti a te e alla tua famiglia, almeno voi statemi bene.

Il tuo sincero amico, 

Franz Schneider

P.S. : Il mio compagno di destra all'assalto, quello che è morto prima di uscire dalla trincea, era Adolf, il nostro migliore amico. 

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