1. Non avevo un cuore

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𝑳𝒂𝒏𝒂

I cuori sono creature selvagge, per questo sono ingabbiati nelle coste. Nel corso della vita rischiano di spezzarsi molteplici volte e quando accade, si frantumano liberando un dolore cronico incurabile.

Ma non smettono mai di battere. Magari cambiano ritmo o si affievoliscono temporaneamente, eppure continuano senza fermarsi. Perseveranti, fino a quando non giunge la morte, i cuori ci tengono in vita.

Vorrei poter dire che io non avevo un cuore e che per questo non potevo innamorarmi, ma la verità è che di cuori ne avevo due.

Solo che non lo sapevo. Vivevo nelle mie convinzioni, radicate come bronchioli nella mia anima.

Per me l'amore era una scelta biochimica, un sentimento costruito su impulsi fisiologici dettati dalla natura dell'essere umano e dal suo bisogno di riprodursi ed evitare la solitudine.

Questa era una delle ragioni per cui non mi legavo a nessuno dei ragazzi con cui andavo a letto, la seconda era che non avevo intenzione di trovarmi un fidanzato che poi sarebbe diventato mio marito e il padre dei miei figli. Io non volevo una famiglia.

L'unica cosa che volevo era diventare un cardiochirurgo, ogni altra cosa nella mia vita sarebbe stata solo una distrazione, di questo ero certa.

Avevo faticato per entrare nella facoltà di medicina dell'università di Londra, c'era stato infatti un piccolo e irrilevante inconveniente: ero entrata nel mio corso di studi solo grazie al pescaggio dalla lista d'attesa e questo mi aveva resa fin da subito un bersaglio facile per i miei colleghi.

Come se non fosse stato abbastanza dover sopportare la pressione dei miei compagni di studi, i miei genitori avevano iniziato a viaggiare in quegli anni e io avevo sentito il bisogno di non pesare più su di loro, mettendomi in testa di pagarmi gli studi da sola.

Ormai, però, nulla di tutto questo contava più. Ogni ingiustizia subita mi era sempre scivolata addosso, così come la mia mancanza di amicizie con cui condividere gli appunti e consigli sugli esami. Era arrivato il giorno definitivo in cui questo avrebbe smesso di avere rilevanza anche per gli altri.

Perché dopo la mia laurea presa con un anno di anticipo rispetto agli altri, avevo finalmente messo un punto alla questione, aggiudicandomi uno dei pochi posti per la specializzazione al Saint Mary Hospital, uno degli ospedali più prestigiosi dell'intera Inghilterra che si trovava poco distante dall'appartamento che condividevo con la mia coinquilina a Paddington.

E quando dicevo coinquilina, intendevo proprio l'unica altra stramba nella facoltà di medicina che come me non era riuscita a interagire con altri insulsi e montati figli di papà con la puzza sotto il naso, i quali avevano scelto il loro percorso di studi per evidenti ragioni economiche e narcisistiche. Beh, si poteva dire che io e Genesis Martin non fossimo poi così simili, fatta eccezione per la nostra passione per la medicina e il ripudiare il resto dell'umanità.

Prima di tutto perché lei l'umanità la ripudiava sempre, a prescindere, mentre io capitava che dopo una lunga serie di cocktail riuscissi ad apprezzare il genere maschile dal collo in giù. Inoltre, Genesis era una tipa tutta casa e chiesa, letteralmente.

La sua fede in Dio e nella Bibbia andava oltre ogni mia comprensione persino per la fede che io stessa nutrivo per il mio ateismo, ma nonostante la sua fissazione cronica, era stata una delle poche persone che conoscendo la mia situazione sentimentale non aveva storto il naso e con cui riuscivo a organizzare ogni singolo momento della mia vita. A lei non importava se alle tre di notte portavo a casa sconosciuti dopo lunghe serate o se lasciavo in giro i miei vestiti.

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