3. Ciambelle glassate

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𝑳𝒂𝒏𝒂

Scegliere di pagarmi gli studi da sola era stato facile da decidere, non era stato altrettanto facile mettere in pratica la cosa. Perché tra esami con programmi da studiare improponibili e lezioni a orari indecenti, il poco tempo che mi restava libero si accumulava nei weekend ed ero quindi inevitabilmente finita a lavorare come cameriera in un vecchio bistrot vicino Leicester Square.

Quando però avevo dovuto iniziare il tirocinio di tre mesi dell'ultimo anno, le cose si erano fatte un po' più difficili e oltre a pagare le regolari rette universitarie, avevo dovuto aggiungere alle spese anche la tassa di laurea e tutto ciò che comprendeva quest'ultima, come la rilegatura delle tesi, il tocco e la toga, il breve ricevimento insieme alla mia famiglia, i vestiti eleganti adatti con cui presentarmi di fronte alla commissione e tante altre piccole cose che se avessi voluto quantomeno non restare a digiuno per tre mesi consecutivi, non sarei mai riuscita a pagare con il mio misero lavoretto part time per cui non avevo neppure più tempo a disposizione.

E così, dopo essermi licenziata, avevo buttato ogni secondo del mio tempo libero a cercare un lavoro che mi permettesse di guadagnare abbastanza soldi e in poco tempo. Non avevo neanche preso realmente sul serio la candidatura mandata per quel servizio fotografico, quando avevo visto la retribuzione avevo semplicemente riso e deciso di provarci più per scherzo che per altro, ma quando poi mi avevano chiamata per fare il casting ero ormai giunta a un punto morto della mi situazione economica, in cui, ancora, non avrei voluto pesare ulteriormente sui miei genitori, pur consapevole che non avrebbero esitato a pagare ogni spicciolo necessario.

Da un'aspirante medico, mi ero ritrovata a indossare un completino intimo piuttosto succinto, che lasciava veramente poco spazio all'immaginazione, seguito da pose sensuali e oggetti di scena, come scialli di piume e orecchie da coniglietto. Non erano state esattamente le cinque ore migliori della mia vita, tra le mani di persone che non conoscevo e che sembravano essere la mia unica salvezza, ma, alla fine, quando avevo visto gli scatti non mi ero nemmeno più di troppo scandalizzata, consapevole che nessuno si sarebbe mai permesso di rinfacciarmi allegramente quelle foto, perché in tal caso avrebbe dovuto render conto di come le aveva trovate. E avevo ingenuamente creduto che nessuna persona al mondo si sarebbe mai permessa di farmi pesare una cosa tanto banale quanto un servizio fotografico.

Il dottor Murdock, invece, non solo non si era vergognato neppure di avermi riconosciuta, come se quelle foto gli fossero passate più volte sotto gli occhi, ma lo aveva esplicitamente ammesso, riprendendomi persino con una certa accusa di colpevolezza che mi aveva sul serio resa irrequieta.

Così agitata e tremendamente fuori di me, che quando quel weekend era finalmente giunto, non avevo atteso un secondo di più per sistemarmi a dovere e andare a divertirmi, nella speranza di sfogare tutto lo stress e le ansie che mi avevano accompagnata negli ultimi giorni.

Stress e ansie alle quali aveva senz'altro contribuito la questione della specializzazione. La dottoressa Collins non mi aveva permesso di apprendere nulla dai suoi interventi e dalle sue diagnosi, sfruttandomi semplicemente come segretaria personale, facendomi fare il lavoro sporco di ripulire pavimenti da vomito e sangue e di sturare water, per non parlare dello spiacevole inconveniente che mi era capitato un paio di volte, costretta ad aiutare un paziente ultra ottantenne con le sue pulizie primaverili. E quando dicevo pulizie primaverili, intendevo proprio lavargli le parti intime, reggendo a stento il suo sguardo malizioso, quando era evidente non sarebbe bastata un'intera confezione di viagra a mettere in pratica qualsiasi pensiero gli frullasse per la testa.

«Vieni con me?» domandai a Genesis, sistemando le mie cose dentro la borsetta a tracolla proprio a un passo dalla porta.

Sapevo che Genesis non sarebbe mai venuta a ballare con me, ma era ormai un'abitudine chiederglielo. La osservai seduta sulla sua poltrona rosa, con addosso un singolare pigiama di pile dai toni pastello e con una lunga serie di foto e appunti strette tra le mani.

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