5. Infermiera

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𝑳𝒂𝒏𝒂

Il giovedì mattina, quando terminavo il mio turno notturno, la dottoressa Collins si presentava fiorente alle otto in punto. I suoi trentacinque anni sembravano dimezzarsi e con gli occhi sognanti di un'adolescente si inoltrava nel reparto di pediatria, perché era il giorno in cui l'unico paziente che lei e il dottor Murdock avevano in comune poteva avere l'onore di averli entrambi a disposizione.

In parole più povere, Margot Collins metteva su una camicetta, attraverso cui era impossibile non notare la curva del suo seno prosperoso, e poi magari un paio di pantaloni aderenti o una gonna che lasciava libere le sue caviglie sottili, facendo risaltare le sue gambe sensuali. Ci abbinava sopra il suo camice bianco e partiva all'attacco con la lunga cascata di capelli scuri e seducenti.

Nulla a che vedere con i miei che puzzavano ancora del vomito raccolto nel reparto di geriatria o con la mia divisa cambiata giusto in tempo prima che iniziasse la giornata, ma quel giovedì non mi importò nemmeno delle mie sneaker sporche di sangue e reduci da una ferita profonda da pronto soccorso. No, quel giovedì non mi importava neppure delle mie occhiaie profonde e del fatto che ero sveglia da quasi venti ore, perché finalmente avevo l'occasione di vedere qualcosa di, se pur banale, realmente inerente alla medicina.

Sapevo che un ecocardiogramma era assolutamente niente messo a confronto con le due operazioni ad addome aperto che aveva visto eseguire Genesis, ma se avessi dovuto scegliere un giorno perfetto in cui farmi scivolare addosso qualsiasi tipo di insicurezza o problematica personale, avrei scelto sicuramente quello. Per questo non mi importò affatto di presentarmi di fronte al dottor Murdock come un cane scodinzolante al seguito della Collins, perché non mi interessava nemmeno di apparire come una specializzanda esaurita; tutto ciò che per me contava era fare il mio lavoro.

Non avrei nemmeno saputo dire per quale ragione in particolare, forse più di tutto perché finalmente i due medici con cui stavo lavorando iniziavano a notarmi per le mie capacità, ma magari anche per il semplice sorriso spensierato che da quando lo avevo visto per la prima volta quella mattina, Noah non aveva mai lasciato sfuggire via dal suo volto.

«Andiamo Noah, mostraci i tuoi pettorali», lo presi in giro, non appena si stese sul letto dell'ambulatorio, dove il macchinario per la procedura era già stato posizionato accanto pronto all'utilizzo. Il bambino rise ancora di più, arricciando le sue guance e mostrando i denti mentre il rumore della sua lieve risata si ripercuoteva nei miei timpani a regalarmi la forza di affrontare solo un'altra ora in ospedale.

«Dottoressa Burton», mi riprese la Collins, interrompendo la profonda lettura in corso della cartellina che stringeva tra le mani per rivolgermi un'occhiataccia raggelante.

Non avevo mai in realtà avuto alcun problema esplicito con la dottoressa Collins, ma lei sembrava nutrire un certo risentimento nei miei confronti che ancora non avevo imparato del tutto ad accettare, quantomeno mi aveva fatto comprendere che se rinunciare a cardiochirurgia avesse significato togliersela dai piedi, beh, io non vedevo l'ora di cambiare mentore.

Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo anche se, in fondo, non avevo detto realmente nulla di inopportuno. Ma fu a quel punto che il dottor Murdock, il quale era rimasto in disparte ad assicurarsi che ci fosse tutto l'occorrente, decise di farsi avanti.

«Direi che dovrai mostrarci più dei tuoi pettorali oggi», lo prese in giro a sua volta, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso nel rivolgere i suoi occhi al bambino e a quel punto mi sembrò assurdo che esistesse altra materia animata oltre quella che faceva vivere lui, perché mi sorprendeva profondamente quanto poco gli bastasse per riempire una stanza con tanta spensieratezza.

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