"Il nome del Fenoglio"

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Caro Milton,
A tratti t'amo, alle volte ti dimentico sopra quell'albero in cui ascende l'anima del mio coraggio. Quelle furtive occhiate d'amicizia sostanziano le mie ilarità interiori, i miei soli sono le iridi dei tuoi pentimenti, e forse in quel fertile campo di lucciole pentite, il mio udire erige il limite delle tue palpebre, lucenti bagliori in mezzo alla tempesta dei nostri rancori, dei sogni estesi oltre il cosmo campagnolo il quale ci incanta all'imbrunire di un'alba affine che tramonta leggera sulle tue gesta così malinconiche: il laconico dormire di ogni sentimento. Un altro giorno si ripete, un'altra luce riflette sul nostro mare i nodi di un amore seppellito nel seme del tuo consenso poetico, che tanto a me hai dedicato. Noi siamo i figli delle parole ed i passi scuri della luna, la quale ci osserva silenziosa negli attimi discontinui dei nostri pensieri confusi e paralleli d'astio. Io e te come vento e fiume, distanti ma vivi nell'aria di un sonetto liberatorio composto inegualmente da polvere e spari, i quali dopo la morte scivolano nelle mani degli anni decantati di paura ed immani voglie di continuare a giustiziarci contro il mondo del peccato, andando incontro alla berbera sera di un dubbio mai esaudito o di un mito effimero come il respiro di un gabbiano che sorvola la mole del mio orgoglio d'averti accanto. Soffro di scaltrezza, amo la furbizia evicendola, poiché mi sento protetta,se sotto il baratro delle angosce senza peso ci sei tu a tenermi inchiodata alla voce del tempo, ai battiti rapidi dei miei risvegli i quali si contraggono in un verso pallido di un avvenire che io chiamo futuro, sicurezza, ritratti d'attratti e tatti distratti nei cespugli in cui latitavi l'alcova del perdono. Suono nelle tue labbra, e spero di morire nei meandri d'una rinascita di un nuovo uomo, che non teme il suo estro. Grazie per le lettere, le conserverò per sempre.
La tua Fulvia.

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