~prologue

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Beatrice Nardi non poteva definirsi una ragazza religiosa, ma credeva sicuramente in molte cose.

Credeva negli occhi scuri di suo padre, specchio dei suoi, e nel rossetto rosso di suo madre.

Nell'amore fra i suoi genitori e nella loro storia infinita, negli abbracci stritolanti di suo fratello e nei soprannomi improponibili di sua sorella.

Credeva negli infiniti pranzi con troppi parenti e nelle colazioni in centro, la domenica mattina. Nei pomeriggi trascorsi in motore, arpionata alla schiena della sua migliore amica, a stonare canzoni. Credeva nelle amicizie, quelle che sembravano essere venute al mondo con lei, nei baci dati con le labbra screpolate e nell'amore sotto i piumoni. Nelle punte delle sue dita sempre ghiacce e nel loro, perenne, odore di fumo. Nei suoi capelli mai ordinati e nelle giornate di sole in inverno, con il freddo a pizzicarle la pelle. Nei ritardi e nelle attese. Nei desideri espressi ad ogni S. Lorenzo.

Credeva nella storia della sua vita scritta in ogni pietra della sua città e nelle serate a guardarla dall'alto, da piazzale Michelangelo. Nella schiacciata ripiena di mortadella la mattina alle cinque. Nelle risate rumorose col cuore in mano.

Credeva nel CD di De André in macchina del babbo, nella cupola del duomo sempre affacciata alla sua finestra e nelle c strascicate. Nell'odore delle biblioteche, piene di libri antichi e nel sapore dei libri nuovi, mai sfogliati. Nelle passeggiate lungo il fiume ad ascoltare i turisti, nelle risate in Santa Croce e nelle forche a Giardino di Boboli. Nel caffè freddo dopo una sbronza, nei concerti e nelle corse sotto la pioggia. Nel sole mai troppo timido dell'Italia e nell'amore per Firenze, che mai avrebbe abbandonato.

Beatrice credeva, fondamentalmente, nella sua quotidianità sempre sorprendente e questo le donava, a 18 anni, la stabile sicurezza che niente avrebbe mai potuto intaccarla.

Harry Styles era convinto che da qualche parte esistesse un Dio. Nonostante ciò, quando gli veniva chiesto in cosa credesse, "in Dio" era l'ultima risposta a cui pensava.

Lui credeva nell'affetto per sua madre e nel suo essergli sempre vicina, nel riscoprirsi ogni giorno in suo padre e nel loro rapporto timido. Nei litigi con sua sorella e nelle loro riappacificazioni.

Credeva nella bellezza delle partenze, ma soprattutto in quella dei ritorni. Nella forza della musica, che in qualsiasi momento scorreva dentro di lui. Nelle canzoni canticchiate sotto la doccia e in quelle urlate per strada, sui palchi, nelle macchine. Urlate ovunque.

Credeva nella spontaneità obbligatoria in qualsiasi rapporto e nelle amicizie, vecchie o nuove. Nell'anima gemella, ma non in quella canonica. Nella vita presa con leggerezza e nel credere, indispensabilmente, in se stesso. Nei film visti in aereo e nelle lacrime di gioia.

Credeva negli amori veri e soprattutto giusti, perché di sbagliati non ne esistevano. Esistevano, al limite, quelli di passaggio che facevano da ponte e ti permettevano di riconoscere la Persona.

Credeva anche che, da qualche parte nel mondo, ne esistesse una adatta a lui, capace di annullare il mondo con uno sguardo.

Credeva nei difetti, nelle cicatrici e negli errori grammaticali. Negli sbagli, che ti fanno crescere, nelle bugie a fin di bene e nelle frasi sussurrate. Nei suoi tatuaggi, messi lì a rammentargli ogni cosa. Nei sorrisi a metà e nelle risate con gli occhi socchiusi.

Credeva nella volontà delle persone, nell'inutilità della maionese e che i sogni irrealizzabili non esistessero. Nella fortuna sfacciata, nella sua fortuna sfacciata.

Harry a 19 anni credeva, fondamentalmente, nella felicità che la sua vita gli donava. E non gli importava se questa, negli ultimi due anni, fosse stata stravolta, analizzata e ribaltata, non gli interessava che sembrasse più difficile e, a volte, insopportabile. L'importante era, che questa non cambiasse.

Show Me Your Shadows || H.S. ~ 1D ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora