Tear
Alla mia mamma. Ti prometto che un giorno apprezzerai quello che scrivo.
Volevate Joon, ovviamente ho fatto JungkookE nessuno pensa che dovremmo guardare sempre così, ciascuno con gli occhi pieni dell'orrore della propria solitudine senza scampo.
(Uno, nessuno, centomila, Pirandello)Jungkook stringeva lo sterzo della Palisade fra le dita inanellate con tutta la forza che aveva, mentre ascoltava il ronzio del motore che, fino ad un attimo prima affaticato, ora si rilassava adattandosi al cambiamento di marcia.
Aveva impostato il controllo manuale e ora le sue dita accarezzavano la leva del cambio in modo esperto.
Come se fosse una donna, ne conosceva a memoria i punti deboli. La dominava fino a farla ruggire in estasi, mentre la lanciava lungo il reticolo di strade buie che sfrecciavano davanti ai suoi occhi.
La possedeva.
Il finestrino sinistro era leggermente abbassato e Jungkook guidava con i capelli che, mossi dal vento, gli si agitavano sulla fronte, un ghigno allucinato dipinto sul viso ancora bagnato di pianto e uno spinello stretto fra le labbra. Erba e lacrime.
Il mondo di Jungkook stava collassando. Lentamente, inesorabilmente.
Aveva tentato di rimettere insieme i pezzi della sua mente più volte, di riassemblarli goffamente, come quando da piccolo aveva rotto per errore il vaso di porcellana cinese dipinto a mano da sua nonna.
La sua mente era ormai una casa di carta. Instabile, precaria.
Destinata a crollare.
Le luci iridescenti di Seoul si erano ridotte solo ad una costellazione di stelle lontane che brillavano nella notte.
Poteva vederle rimpicciolirsi dallo specchietto retrovisore, se si abbassava un po' sul volante in modo da riuscire a carpire con lo sguardo anche la parte più estrema del lunotto posteriore.
L'abitacolo puzzava di erba, vi si diffondeva quel familiare odore speziato e denso, che era abituato a percepire nello studio di Namjoon.
Jungkook si ricordava bene la prima volta che avevano fumato insieme.
Era stata la sua prima volta e, come al solito, era stato il leader ad iniziarlo. E lui, con la convinzione di calmare i nervi, non aveva di certo rifiutato una tanto allettante offerta.
Si era ritrovato a ridacchiare – per assolutamente nessun motivo in particolare – sul divano di Namjoon alle tre di notte, mentre l'altro strimpellava una chitarra a casaccio e vomitava su un foglio versi rap a dir poco onirici. Jungkook ricordò di essersi sentito felice, appagato.
Sorrise e le lacrime ricominciarono a scorrergli sul viso.
Poteva ancora sentire la voce del leader rimbombare nelle sue orecchie fino a lacerargli i timpani. Continuava ad urlargli di fermarsi, lo rimproverava.
Gli ricordava che si stesse comportando in modo immaturo e che avrebbero dovuto risolvere subito quella discussione.
Ma il litigio con Namjoon era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Il mondo gli era crollato addosso.
E Jungkook aveva l'impressione di aver perso per sempre la persona che, sin dall'inizio, aveva reso il suo sogno d'infanzia una realtà concreta. Ed era tutta colpa sua.
Se ne era andato, reprimendo la voce di Namjoon nella testa e sbattendosi la porta alle spalle.
Non voleva ascoltarlo.
Non lo aveva ascoltato.
Si era seduto in macchina, aveva fatto su lo spinello con mani tremanti e le lacrime che, colandogli lungo il mento, si mescolavano alle pagliuzze di tabacco che stava aggiungendo alla marijuana.
Poi aveva guidato lontano da Seoul.
Senza meta, senza senso.
Pioniere del suo stesso dolore.
Era un tentativo di fuga disperato e vano.
Tentativo di trovare sé stesso.
O di perdere sé stesso?
Jungkook gettò lo spinello dal finestrino e accelerò ancora, spostandosi sulla corsia di sorpasso e lampeggiando con gli abbaglianti alla Mitsubishi blu che aveva davanti, per farle segno di spostarsi a destra.
Fuori di sé, era quasi tentato di occupare la corsia d'emergenza e lanciare l'automobile alla massima velocità finché qualche pattuglia di polizia non fosse stata informata del suo comportamento spericolato e lo avesse affiancato a sirene dispiegate come con un pirata della strada.
Forse, Jungkook voleva farsi arrestare. Voleva marcire in una cella e dimenticarsi di Namjoon.
Di sé stesso.
Odiava Jeon Jungkook. Lo odiava come se si trattasse di un mostro di fumo nero che si ingrommava sempre di più dentro di lui. Fino a prenderne il controllo. Fino a farlo impazzire.
Ormai sentiva di essere rimasto incatenato in uno spazio troppo angusto per contenerlo.
Rinchiuso in uno sgabuzzino così a lungo che il suo corpo si era modificato per adattarsi alla posizione in cui era stato costretto molto tempo prima.
La schiena incurvata, le gambe sfibrate e le reni aggrovigliate.
La mente ormai rachitica e raggrinzita che esalava il suo ultimo respiro di libertà.
Era veramente quella la vita che aveva sempre sognato?
La vita per cui aveva sacrificato tutto?
La vita per cui aveva sacrificato sé stesso fino a perdersi completamente?
Fino a non riconoscersi.
Ma chi era poi Jeon Jungkook?
Solo una lontana conoscenza.
Era un manichino spoglio che gli altri si divertivano ad addobbare di aneddoti e dicerie.
Era un animale alla catena, uno bello e pericoloso, inarrivabile. Che tutti volevano vedere, ma che nessuno voleva veramente toccare.
Se ne stava lì, avvolto nell'accecante nebbia calda dei riflettori, a fissare migliaia di occhi che gli chiedevano come stesse, ma che non volevano saperlo per davvero.
Perché non poteva parlare con nessuno di loro.
Perché erano distanti.
Perché lui era distante.
Di lui era rimasto solo lo scheletro vuoto di un idol, plasmato da come gli altri lo immaginavano.
E di centomila versioni, lui non ne era nemmeno una.
Non ne era nessuna.
Era sulla bocca di tutti, eppure nessuno lo conosceva.
Nemmeno lui stesso.
Guidava a centocinquanta allora.
Ma guidava verso un baratro.
La voragine lo aspettava lì, pronta ad inghiottirlo, insieme a tutti gli altri che aveva divorato senza distinzione.
Ma lui era Jeon Jungkook.
Ve ne erano infinite versioni.
E non ve ne era nemmeno una.
La morte avrebbe livellato anche quel suo nome dal sapore ormai insipido.
Era una casa di carta.
Destinato inevitabilmente a crollare.
E così era successo.
Era successo quando Namjoon, nell'impeto del momento, aveva sputato veleno: "Sei solo un peso Jungkook, lasciami in pace." E lui ovviamente aveva risposto: "È colpa tua. Non hai mai imparato a fare il leader."
E tutto era andato in frantumi.
Le lacrime gli appannavano la vista, mentre sorpassava la Mitsubishi. I numeri della targa erano sfuocati.
La testa gli girava, la strada ondeggiava.
Aveva l'impressione di stare procedendo a rallentatore, in mezzo a tutte le auto che sfrecciavano imperterrite intorno a lui.
Non sapeva dove fosse, non sapeva chi fosse.
La nausea gli attanagliava la base dello stomaco, sentiva il sapore acido della bile in gola.
Il cuore gli batteva nel petto così forte che sembrava volesse sfondarlo.
Con una violenta sterzata, schivò all'ultimo un'automobile a cui si era avvicinato troppo.
Rumori di clacson incessanti.
Si ritrovò ad attivare l'indicatore di direzione destro, poco prima di svoltare all'ultimo ad uno svincolo di cui non aveva letto il nome.
Si sentiva perso, fragile inutile.
Le lacrime gli gonfiavano il viso.
Un labbro stretto fra i denti.
Sul sedile del passeggero, il cellulare ricominciò a vibrare per la quarta volta.
Era Namjoon.
Non rispose.
Rabbia. Frustrazione.
Strinse i denti.
Accelerò.
Accelerò prima della curva, la strada bagnata.
Il numero di Namjoon appariva ancora insistente sullo schermo, mentre l'auto, fuori controllo, mutava la sua direzione.
Il cellulare continuò a vibrare.
Gli pneumatici persero l'aderenza sull'asfalto.
Jungkook premette a vuoto sul freno.
Il cellulare continuò a vibrare.
I catarinfrangenti colpiti dalla luce dei fari.
Jungkook strinse le mani sullo sterzo.
Piegò la testa di lato.
Chiuse gli occhi.
Digrignò i denti.
Il cellulare continuò a vibrare.
Il paraurti che sfondava il guardrail.
Il sangue che schizzava sul parabrezza.
L'urlo straziante soffocato nell'impatto:
"Hyung!"
Poi, il muro.
Il buio.Scese dall'auto.
Salì i gradini.
Suonò il campanello.
Sentì il rumore della serratura della porta blindata che scattava.
Cuore in gola.
Lacrime fra le labbra.
Un sussurro bloccato sulla lingua.
-Jungkook. –
-Mamma. -Non mi sento di aggiungere nulla. Ho perso tutto il mio slancio creativo nella disperazione del testo.
(Vi consiglio di rileggere l'ultima parte ascoltando la canzone che vi ho messo sopra, hitta in modo diverso, visto che credo che le mie parole non rendano abbastanza, o quanto vorrei)
E non capisco perché cavolo mi metta quello spazio. Non riesco a toglierlo.
A.COMING SOON AL COMPLETAMENTO DI QUESTE OS IL 15 NOVEMBRE:
Ali di catrame|Sope
Hoseok, stella nascente della boxe clandestina all'interno della più grande organizzazione criminale di Seoul.
Yoongi, ribelle musicista che ha scommesso la sua vita per perseguire il suo sogno.
Quando l'Hitman, il sanguinario uomo al vertice della piramide, decide di cambiare la politica di Hingje-pa, Yoongi si ritrova coinvolto in un violento meccanismo di cui Hoseok è solo l'innesco.E allora Hoseok fece l'unica cosa che rimaneva per poterlo salvare.
"Quanto vuoi per lui?"
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Aʀᴇ ʏᴏᴜ ʙᴜʟʟᴇᴛᴘʀᴏᴏғ ʙᴇʜɪɴᴅ ᴛʜᴇ sᴛᴀɢᴇ? || ᵇᵗˢ
FanfictionNon è oro tutto ciò che luccica e i BTS lo hanno provato sulla loro pelle. Un'immersione dietro le quinte, lontano dai riflettori, dove i sette colossi del kpop restano da soli coi loro pensieri, restano soli a fare i conti con il lato oscuro della...