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se vuoi, ascolta
disappear di eli.
durante la lettura:>
xoxo


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«Questa margherita ha le punte rosa» mi disse quel giorno al parco. «Secondo me non è una margherita. Guarda, - risposi - il gambo è troppo lungo, le margherite non hanno l'antera arancione»
«secondo me è una margherita» sussurrò, come un bambino impertinente che vuole avere ragione a tutti i costi.
Vorrei avergli dato ragione, le margherite non sono tutte uguali, con i petali bianchi, il gambo corto e l'antera gialla.
Vorrei averlo ascoltato quando tentò di spiegarmi che qualcosa lo stava lacerando dentro, ed avrei voluto capire che quando non riusciva a parlare non avrei dovuto alzare la voce, ma provare a dargli conforto.
Quando anche cinque dita sulla spalla lo facevano sussultare e tremare, avrei dovuto parlargli piano, dirgli che tutto sarebbe andato per il meglio.
Ma come si fa a riempire i pomeriggi vuoti d'impegni e pieni di pensieri, a riempire una persona che per proteggersi aveva represso tutto?
Avvelenato dal passato e reso amaro, incapace di esprimersi e di aprirsi, passò i suoi ultimi anni di vita tra le note di un pianoforte e le pagine di un libro. Come se parole non sue potessero riempirgli la testa e placare le voci, le urla e i sussurri che l'avevano reso marionetta di ciò che era il suo dolore. Un dolore mentale che da dentro iniziò lentamente e inesorabilmente a renderlo debole, fisicamente instabile, rasentando ogni giorno la tentazione di strappare la pelle e i muscoli, separare le ossa e volare via.
Ma lui scriveva, scriveva di altro, scriveva di tramonti e di persone, di amori che mai avrebbe provato, di luoghi che non avrebbe mai visto e di persone che non avrebbe mai incontrato. Quasi mai scriveva di sé, a parte il diario degli odori (anni addietro, constatò che il suo senso dell'olfatto era estremamente sviluppato per compensare la vista che piano piano andava svanendo, quindi decise di trascrivere ogni odore che gli rimaneva impresso e le sensazioni e ricordi che gli generava).

Lasciò quelle stanze buie e logore, il letto sfatto, una frase a metà su di un foglio ingiallito. La finestra della cucina era aperta, una sigaretta accesa lasciata a metà nel posacenere, destinata a bruciare all'aria. Parole agrodolci su carta, quelle con cui s'era per anni riempito gli occhi e la testa. Come l'acqua calda con il miele e il succo di limone che era abituato a bere ogni mattina, fin quando ne ebbe le forze.
Anche la finestra del soggiorno era aperta, le tapparelle spalancate, che davano sul giardino, quello delle margherite.
La sedia rovesciata e le macchie di sangue sul tappeto. L'appartamento odorava di fumo di sigaretta, di libri vecchi e di pioggia. L'odore metallico del sangue decisi di ignorarlo.
Lui era lì, o almeno, la sua forma umana lo era. Sapevo per certo che Lui non era lì, non più. Non ci diedi peso e non ci rimasi male nel vederlo lì, con i piedi ad un metro scarso da terra. Quel corpo non era suo e non lo era mai stato. Tuttavia non ebbi il coraggio di guardarlo in viso, preferii legarmi al ricordo dei suoi occhi spenti e di un sorriso ad ali di gabbiano.

Presi la sigaretta dal posacenere e mi sporsi dalla finestra. Tutto era ancora lì, nulla era cambiato dall'ultima volta. Tra i mattoni sottostanti alla finestra s'era infiltrata una margherita, con le punte rosa e l'antera arancione.

daisies under rainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora