CAPITOLO II - PONDERARE

42 6 1
                                    

PONDERARE

Mi dicesti che ai ragazzi piacciono le ragazze sicure di loro stesse, quelle che non temono il giudizio di chi le valuta, quelle che sanno chi sono. Bene, io lo sono a metà.

Ci sono due lati che mi appartengono;

C'è la parte sinistra di cui sono sicura, la metà del mio viso che non ho paura di mostrare, e insieme, il lato mentale che ho sempre protetto e imparato a preservare.

C'è la parte destra invece che mi terrorizza, la metà del mio corpo che m'intimorisce tanto, il lato sentimentale, il cuore, l'organo che mi distrugge ogni volta di più perché non sono capace a gestirlo.

Poi dicesti che ai ragazzi piacciono le ragazze impegnate, le ragazze curiose, quelle che non stanno mai ferme perché non si stancano mai di imparare. Ecco, io lo sono in parte.

Concludesti dicendomi che la metà del proprio essere fa paura alle persone ma in due termini diversi;

I cuori più grandi hanno paura che una volta aiutata l'altra persona a trovare il pezzo mancante, se dovessero andarsene, potrebbero fargliela perdere.

Le menti più grandi, al contrario, hanno paura di portarsela dentro senza riuscire a lasciarla mai.

Allora mi mettesti in confusione, non riuscivo a capire perché non andassi bene a nessuno in entrambi i casi.

Mi spiegasti che era una questione molto delicata, che avrei dovuto aspettare fino a quando non avessi trovato una persona disposta a prendersi la responsabilità di amarmi e completarmi, ma potevi immaginarlo che saresti stato tu, a tua insaputa?

Quel giorno quando ti incontrai alla laurea di una mia amica, ricordo che correvi come un pazzo da una parte all'altra eppure non ti persi mai di vista.

Non parlavi con nessuno, correvi e basta.

Chiesi di te ma nessuno seppe rispondermi e pensai di averti letto male per un momento, eri una cosa troppo grande rispetto a quello che davi a vedere.

Lessi che eri una grande mente, come mi racconterai in futuro, eppure avevi un cuore così grande, si vedeva da lontano.

Un giorno mi dicesti che l'uomo ha solo paura di ciò che non riesce a controllare.

Mi dicesti che le persone complicate sono destinate a rimanere da sole perché nessuno le sa tenere, ma lo sapevi che tu ci saresti riuscito?

Una volta mi dicesti anche che non guardo nessuno come il cibo, ma tu lo sapevi che gli occhi che ti fissavano si cibavano della tua presenza?

Dopo quel giorno ti rincontrai sotto scuola, avevo appena finito una giornata pesantissima, era già tanto se ancora riuscivo a stare in piedi, eppure, tu mi fermasti per chiedermi una sigaretta.

Sai, la gente spesso si scorda i momenti in cui le cose iniziano, si scordano la creazione degli elementi più importanti quando le cose stupide te le sanno dire a memoria, ma io mi ricordo tutto. Quella sigaretta. In tutti questi anni non è mai passato l'odore di quel tabacco trinciato mischiato con il diluvio universale.

Mi ricordo che eri preoccupato e mi copristi con la tua giacca, restando in maglietta.

Ricordo il mascara che iniziava a colare sulle mie guance, ricordo di quell'autobus che persi a causa tua, per accenderti la sigaretta che ormai si era spenta a forza di ascoltare le nostre parole.

Ma la cosa che non dimenticherò mai è il messaggio che ti scrissi quando tornai a casa, il più semplice di tutti.

Ti chiesi 'come va?'

Rispondesti dopo un'oretta dicendomi che era tutto apposto.

Finì così la conversazione, non ci sentimmo per un anno forse, o un po' di più.

Mi lasciasti il tempo di finire il liceo e decidere in quale facoltà universitaria iscrivermi.

Nel periodo in cui non eri presente ci furono molti amori ma pochi cuori pieni, rimanevo vuota, come sempre.

Poi finalmente, ti ho trovato, in un altro libro.

Sai, ne leggo molti, e oggi ti ho letto in uno di questi.

Ti ho letto in un'altra forma però, non più nell'anima ma nelle parole:

'La semplicità è il faro quando ti perdi'.

Ti incontrai in un giorno triste, durante i  festeggiamenti per  la laurea di una mia amica ma quel giorno coincideva con l'anniversario della scomparsa di mia zia, una parte di me che mi abbandonò forse troppo presto e non tornò più.

Ti incontrai in un giorno in cui i miei pensieri si intrecciavano e non si snodavano più, ma quando ti vidi mi liberasti la mente e la riempisti di un vuoto speciale, che anche quello occupa il suo spazio paradossalmente.

Passarono mesi e ci saremmo rivisti poi, quella sera di dicembre, in quel bar che in verità non era un granché, cosa che condividevi anche tu.

Non mi riconoscesti da lontano ma il destino mi fece scegliere un tavolo vicino al bagno.

Quando ti avvicinasti mi guardasti con uno sguardo che non trasmetteva nulla di particolare, se non che quando mi mettesti a fuoco vidi una luce nei tuoi occhi.

Parlammo fino alla mattina, tra cento drink e respiri affannati di persone che non volevano stare zitte, non volevano smettere di parlare perché avevano troppo da dirsi, abbiamo tentato di raccontarci due anni di vita in poche ore.

Sai, sono sempre stata molto concreta, odio le cose stupide e passatempo, sono una persona che progetta cose a lungo termine, non penso mai al presente ma al futuro, ma quella sera fu solo un 'ora' un 'oggi', non era un forse, era così e basta. Il tempo passò così svelto che persi il suo percorso.

Me lo immagino un po' così il tempo, come un nastro dorato che passa attraverso la stanza e la mente, che se smetto di seguirlo ne perdo il senso e non lo trovo più. Quando parlo o quando sto facendo qualcosa mi capita spesso di buttare uno sguardo a destra per controllare se è ancora lì, se si sta girando e rigirando su se stesso oppure se sta finendo.

E' un po' come te il tempo, mi segue ovunque e ce l'ho sempre in testa, come un dovere involontario che mi sovrasta così tanto da troppo tempo e considerarlo in continuazione  è ormai un'abitudine.

Questa volta ho aspettato te scollegandomi dalle regole del tempo, dalle ore, dai giorni. Seduta sul letto con la musica nelle orecchie ti pensavo continuamente e mi perdevo di nuovo in quell'oceano senza fine, un po' scuro, un po' mosso, dov'era così pieno di alghe che racchiudevano ogni mio pensiero e quasi non vedevo davanti a me, il fondale ancora non c'era, ricordo le bolle d'ossigeno che si dissolvevano quasi polverizzandosi nell'acqua e rigirandomi in quel mare tra me stessa pensavo e pensavo senza mai fermarmi.

La prima volta che ti incontrai intravidi quel fondale tanto atteso che era il capolinea, era la fine di quell'inizio della vita, proprio quando ti trovai finì quel continuo vuoto, quell'ansia che avevo di non trovarti nel letto cercandoti mentre riordinavo la testa scomparve, lo colmasti in modo così semplice, senza fare niente, solo con il tuo esistere.

Entropia (progetto chiuso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora