Una folata di vento distrasse la ragazza dai pensieri lugubri che le stavano attraversando la mente. Alzò lentamente la testa dall'erba consapevole di dover tornare a casa, abbandonando il suo rifugio.

Smosse i lunghi capelli color fuoco per eliminare i residui di foglie incastratasi nelle ciocche ondulate. Si guardò intorno alla ricerca delle scarpe ormai sperdute nei meandri dell'alta prateria.

Dopo svariati minuti di ricerca, finalmente le trovò vicino al grande tronco che, come al solito, si ritrovò ad accarezzare con amore. Con in mano le sue amate sneakers corse via, con un sorriso in faccia, come ogni qualvolta lasciasse quel magico posto.

Si fermò solo quando vide il cemento sostituire il prato, si chinò per indossare le sue scarpe e scoprì che il largo sorriso era già scomparso.

Alzò la testa verso la grande entrata dove la familiare sagoma di mrs. Jaques le si avvicinava lentamente.

Le numerose rughe solcavano il viso della donna ormai prosciugata dal lavoro. La bocca che tante volte aveva sgridato la piccola bambina era ora chiusa per formare un'espressione severa, i suoi già piccoli occhi erano socchiusi e la scrutavano impassibile mentre i suoi capelli grigi erano raccolti in una corona di trecce che racchiudeva ogni capello. Sembrava una dama di altri tempi.

Si fermò a guardare il cielo, ormai dal colore dei suoi capelli, era già arrivato il tramonto e la ragazza non era ancora a casa. Quel giorno non l'avrebbe passata liscia facilmente.

"Miss. Lloyd le pare l'ora di rincasare?" le chiese senza scomporre la sua rigida postura. "Ci conosciamo da ormai 17 anni, non le pare l'ora di chiamarmi per nome, mrs. Jaques?" Le chiese la ragazza senza sorprendersi, ormai riusciva a sostenere il suo sguardo meticoloso senza problemi. "Non si risponde ad una domanda con un'altra di esse, non mi colleghi ad una persona così priva di educazione. Inoltre suo padre non mi paga per farmi delle amicizie signorina." Le rispose impassibile. La ragazza sospirò e si diresse nella sua camera, scortata come un detenuto nella sua cella. Prima di chiudere la stanza le disse che la cena iniziava alle nove in punto e che suo padre non ci sarebbe stato per motivi lavorativi. Nessuna novità.

Non vedeva suo padre da ormai undici giorni, ma ella era già abituata alle sue assenze ingiustificate per cui non sentiva nemmeno la mancanza del padre che ormai viveva più fuori che dentro casa.

Guardò dentro la grande camera. Le pareti erano tinte di un noioso grigio, al centro di essa c'era un grande letto a baldacchino in legno. Una scrivania in vetro era posizionata davanti ad una delle grandi finestre e, a fianco di essa, era presente una gigantesca libreria. La camera era collegata ad un bagno personale ed una cabina armadio.

Fece una smorfia di disgusto, come ogni volta che vedeva l'eccessivo uso di soldi che il padre aveva speso, e si buttò a faccia in giù sul grande letto. Represse un lamento contro il cuscino, se fosse stato per lei non avrebbe mai abbandonato il suo salice.

Rimase ferma in quella posizione per almeno un quarto d'ora, finché non si rese conto che qualcuno stava lanciando dei sassi alla finestra, la ragazza si alzò di scatto, preoccupata che qualcuno potesse sentirlo.

Brandon si trovava sopra uno dei grandi rami dell'imponente quercia mentre sorrideva alla ragazza, che ricambiò con uno timido dei suoi. Gli aprì velocemente la finestra per la quale il ragazzo passò agilmente. "Abbiamo solo dieci minuti, poi devo andare a cenare" disse lei alzando i suoi occhi grigi al cielo. Il ragazzo la venne ad abbracciare e le disse "Tranquilla un giorno ti adotterò e verrai a vivere con me" la ragazza fece scomparire la sua faccia dentro le sue larghe braccia. "Ti voglio troppo bene per farti questo" disse lei trattenendo le lacrime e sentì il suo petto vibrare, segno che stesse ridendo.

Brandon era il suo vicino di casa, se così si poteva chiamare. In realtà tra una villa e l'altra c'era un chilometro di distanza. Erano praticamente cresciuti insieme. Non passava un giorno in cui non si vedessero.

"da domani mio cugino verrà a vivere con noi" mi disse quasi in un sussurro, come se in realtà non volesse dirmi niente ma si sentisse in dovere di farlo. "qual è il problema?" gli chiese lei staccandosi lentamente dall'abbraccio e guardandolo negli occhi color nocciola. Lui abbassò lo sguardo al pavimento e disse: "niente, lascia stare." Nives fece per chiedergli una spiegazione ma venne interrotta dalla voce squillante di mrs. Jaques. Sbuffò e gli baciò velocemente la guancia prima di scendere le numerose scale che la separavano dalla sala da pranzo.

Si ritrovò davanti a un grandissimo tavolo apparecchiato per uno. I posti vuoti non facevano altro che rendere il suo umore sempre più malinconico. Per un attimo le parve di vedere tutta la famiglia seduta, a ridere e scherzare. Senza che se ne accorgesse diverse lacrime le scivolarono lungo la guancia. Non emise un solo rumore, sembrava quasi che quel corpo non avesse più un'anima.

Con movimenti meccanici si andò a sedere lentamente al suo posto e iniziò a mangiare nel silenzio che la accompagnava da quel giorno di primavera.

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