Un piacere reale

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Matteo.

Gennaio 2019.

Il professor Bruni se ne stava seduto dietro la cattedra, il mento basso, lo sguardo perso, le mani ossute che di tanto di tanto acchiappavano qualche penna, un generale disinteresse per qualsiasi essere umano gli si sedesse davanti e una persistente espressione di insoddisfazione sul viso. 

Matteo lo osservava dal fondo della grande aula magna, mentre il cielo oltre gli alti finestroni si incendiava in quella che era stata la prima giornata serena di quel grigio Gennaio,  il suo sguardo non poteva che finire sempre lì, all'esterno, dove tutto accadeva, mentre lui segregato in quella triste sala con altri mille colleghi attendeva di essere giudicato. 

Carolina ogni tanto se ne usciva con una frase strana o contorta e Bruni arricciava il naso e prendeva una penna, iniziava a farla oscillare e poi la riappoggiava sulla cattedra, come per distrarsi dal farle notare qualcosa, dopo la  risposta ad una domanda cruciale, però, sulla capacità giuridica a cui la ragazza aveva risposto con un grande silenzio, prese di nuovo la biro, la guardò negli occhi e disse: 

<< Può tornare al prossimo appello signorina Fazzini, non ho tempo da perdere, il diritto è legge e la legge non si inventa così... su due piedi..>> fece un grande sospiro, si mise a scrivere qualcosa sul foglio delle presenze e poi continuò:

<< Venga a Giugno, non abbia paura!>> con fare dolce e paterno, ma Carolina umiliata e delusa dal suo esame e dalle parole pungenti dell'uomo che aveva davanti, non si sentì di dire nulla, si morse il labbro internamente, strinse gli occhi poichè non poteva dirgli quello che pensava davvero, prese la giacchetta di pelle appesa alla sedia e si accomodò verso la porta.

<<A Giugno professore!>> si asciugò il naso con la mano e di fretta uscì dalla stanza.

Bruni sorrise non appena Carolina fu fuori, soddisfatto per aver rispettato la sua etica disciplinare, eppure Matteo in lui non vedeva questo, spogliato dei suoi abiti da professore duro e severo, Carlo non era che un uomo di bassa statura con una piccola gobba sulle spalle e un armadio pieno di giacche marroni dall'odore di muffa, una moglie qualsiasi di quelle che pensano solo a cosa fare per pranzo o per cena e che si siedono accanto a te come ad attendere un esito dei loro piatti, eh si, perchè Bruni doveva essere uno di quelli che rientravano tardi, che non avrebbero potuto essere a casa all'ora del telegionale mentre la sua "Franca" o "Marisa" o "Eva" se ne stava ricurva da sola a mangiare e a pensare a quando il marito sarebbe rientrato stanco e deluso da quel lavoro che riteneva mediocre, un matrimono silenzioso tanto quanto lo era lui; Matteo questo non lo sapeva, ma era bravo ad immaginarsi le vite degli altri, era bravo perchè lo faceva di continuo, con le persone sul bus, incrociate nei corridoi, in ascensore, lo distraeva dal pensare alla sua, al soffitto scrostato della sua camera, al grasso in eccesso di sua madre, ai piatti in cucina che aspettavano di essere lavati, alla polvere sotto il letto e alla sua capacità di essere assolutamente banale. 

<< De Amicis? C'è De Amicis?>> 

Matteo alzò lo sguardo dal quaderno degli appunti e timidamente si alzò in piedi.

<<Si professore, sono io.>> 

Il professore si abbassò di qualche millimetro gli occhiali sul naso e strizzò gli occhi per guardare infondo all'aula ed analizzarlo, un ragazzo di statura media, mingherlino, decisamente magro, una camicetta a righe azzurre e un pantalone beije, i capelli chiari seppur marroni e due palle nere al centro della faccia, grandi e spaventosamente profonde. 

<<Venga, si avvicini.>> mentre si apprestava a scrivere nome e cognome dello studente sul quaderno delle domande.

Matteo camminava lentamente e in modo quasi sofferto, una lunga via crucis lo avrebbe portato sul gradone in alto dove era appoggiata la cattedra, una volta lì prese posto dove poco prima aveva visto Carolina quasi piangere e tirò un sospiro di sollievo perchè lui non era Carolina, lui sapeva parlare, lui sapeva inventare.

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