Le ore passarono, silenziose e cariche d'angoscia, finché lentamente si tramutarono in giorni.
Sherlock si rimise la sua maschera, e tornò ad occuparsi dei suoi casi.
John fece lo stesso, occupato dai preparativi del suo matrimonio.
Non parlarono più di quello che era accaduto, e le lunghe notti passarono una dopo l'altra, mentre Sherlock suonava malinconicamente il suo violino, e John leggeva un libro vicino al camino, in quel intimo silenzio carico di tensione.
I clienti attraversavano Baker Street, salivano le scale, bussavano alla porta, e uno dopo l'altro trascinavano i due in nuovi casi da risolvere.
Ma ogni tanto, i ricordi di quella mattina si facevano strada nella loro realtà, sfuggendo dai cassetti della loro memoria. Ogni tanto, lunghi sguardi scandivano il silenzio e scostavano le maschere.
Poi una mattina, ventotto giorni dopo quel discorso, si ritrovarono in una stanza elegante, dentro una grande chiesa.
John era davanti allo specchio, imprecando contro il cravattino nero del suo completo.
Sherlock era seduto su una poltroncina nell'angolo, intento a leggere alcuni dettagli del suo nuovo caso sullo smartphone.
Poi d'improvviso entrò una donna, annunciando che i preparativi erano finiti, e rivolgendosi a John, disse che lo aspettavano tra dieci minuti per iniziare la cerimonia.
Sherlock cercò di rimanere concentrato sui dati che stava elaborando, anche se le frasi che leggeva sembravano svanire una dopo l'altra, mentre le lettere s'incrociavano davanti suoi occhi.
"Dieci minuti..." Ripeteva John, sistemandosi nervosamente i capelli davanti al lungo specchio.
"E' normale essere nervosi, prima di onorare un impegno così importante." Esclamò Sherlock, fingendo di leggere, mentre con la coda dell'occhio controllava l'amico.
"Già, immagino che sia così..." Rispose l'altro, passandosi le mani sul viso in un gesto esasperato.
"Dieci minuti..." Ripeté, con un leggero tremolio nella voce.
Sherlock ripose il cellulare nella tasca, alzandosi e avvicinandosi lentamente all'amico.
"Sarai pronto." Gli disse secco, con lo sguardo basso.
"Ne sei sicuro?" Chiese stancamente John.
Sherlock alzò il viso, finendo per scontrarsi con gli occhi dell'uomo davanti a lui. Per un momento, le maschere caddero, e l'uno lesse nello sguardo dell'altro, che i pensieri di entrambi tornavano a quella mattina, a quelle parole. Nessuno dei due sembrava riuscire a distogliere lo sguardo, o a parlare. Intrappolati in quel momento, in quel ricordo, in quella stanza.
"Dovresti andare. Mary ti sta aspettando." Disse infine Sherlock, con un pesante sospiro.
John annuii, ma non disse nulla. Fissò la porta davanti a lui, e tutto il suo corpo pareva dilaniato tra la spinta ad andare, e quella di restare.
Non era difficile per un uomo come Sherlock, capire l'indecisione del suo amico dai movimenti del suo corpo, ne il dubbio che gli impediva di compiere quella scelta.
"Fai un bel respiro, metti un piede davanti all'altro e apri quella porta." Disse infine, deciso a mettere fine a quell'agonia.
"E' davvero questo quello che vuoi, Sherlock?" Rispose l'altro, guardandolo di traverso, con il corpo rivolto a quella porta. C'era nel suo tono di voce una sorta di rimprovero, di supplica, anche questo era facile da capire. La cosa difficile, era rispondere nella maniera giusta.
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Chiedimi di restare
Fanfiction"John...?" Sussurrò Sherlock. "Sei sveglio?" L'altro non rispose, non si mosse. Sherlock accarezzò una linea sottile sul dorso della mano del compagno, per poi scendere fino al polso. "Ho letto un articolo tempo fa... Diceva che quando una persona d...