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Il giovane cecchino si rilassò sotto il getto caldo della doccia, poggiò la mano sulle maioliche bagnate e lasciò che l'acqua scorresse sulla schiena, lungo la spina dorsale fino alle natiche tonde e ben definite.

I capelli andarono a coprirgli gli occhi, ma a lui non importava, tanto stava ad occhi chiusi e la mente era concentrata già sulle sue prossime mosse. Si ripassò nella mente il percorso che doveva fare per giungere il prima possibile sul tetto dell'edificio più vicino all'abitazione dell'obiettivo. Si concentrò cercando di ricordare dove avesse nascosto il suo fucile a lungo raggio e mosse, inconsapevolmente, le dita come quando lo monta prima di usarlo per mietere vittime.

Chiuse il getto caldo e uscì legandosi un asciugamano in vita. Le ossa del bacino disegnavano quella V perfetta che si andava a nascondere sotto la spugna dell'asciugamano e gli addominali si asciugavano piano all'aria.

Cercò di sbrigarsi per vestirsi e uscire e quando finalmente giunse sul palazzo più vicino all'abitazione del suo obiettivo, si inginocchiò sul terrazzo in cima e cominciò a montare la sua fidata arma, quella che abbracciava ogni volta per adempiere al proprio compito.

Posò l'occhio buono sul mirino e cominciò a rallentare il respiro, per concentrarsi sull'ambiente esterno e per diminuire i movimenti che di riflesso si ripercuotevano sul fucile. Attese per qualche minuto e poi finalmente lo vide. L'appartamento della sua vittima presentava una grande finestra e in quel momento un ragazzo camminava avanti e indietro ben esposto al suo fucile.

Trattenne l'aria, era pronto per premere il grilletto e completare il lavoro. Seguì il movimento del ragazzo, ma non riuscì a sparare perché quel ragazzo si era piegato per tirare su un gatto. Lo vedeva benissimo dal mirino mentre quella futura vittima passava la mano nel folto pelo del felino. Sembrava bearsi della morbidezza di quel gatto, come se la sensazione del pelo sotto le dite avesse la capacità di trasportarlo in un altro mondo.

Non si rese conto il cecchino che aveva tolto l'indice dal grilletto ed era rimasto ad osservare i movimenti del ragazzo di fronte a lui, ma a diversi metri di distanza.

Attese qualche altro minuto, ma non sembrava intenzionato a posare a terra il gatto. Sospirò, era arrivato al ventesimo sospiro della giornata, e staccò l'occhio dal mirino. Qualcosa gli stava impedendo di sparare.

Guardò il cielo, era limpido, libero dalle nuvole e sereno con il sole alto. Lui non usufruiva solo dell'oscurità della notte per svolgere il proprio lavoro, era talmente abile che poteva tranquillamente uccidere in pieno giorno.

Prese dalla tasca posteriore dei pantaloni la foto e cercò di metterla a confronto con il ragazzo che dal vivo passeggiava davanti la finestra con il gatto in braccio. Sì, non c'erano dubbi, era proprio il suo obiettivo. Capelli verdi come il bosco, voluminosi come se avesse messo la testa fuori del finestrino di una macchina in corsa, occhi del medesimo colore della chioma mossa, brillavano addirittura nella foto, naso piccolo, quasi si poteva percepire la delicatezza di quel rilievo del viso, e poi c'erano quelle inestimabili lentiggini che conferivano al tutto un aspetto molto più innocente di quanto avrebbe desiderato l'assassino.

Come poteva farsi coinvolgere in quel modo dall'aspetto di una persona lui non lo sapeva, ma doveva risolvere il problema, perché altrimenti sarebbe diventato lui il prossimo obiettivo di un qualche altro assassino esperto.

"sai ragazzo, ci sono molti modi per eliminare un obiettivo. Tu ti ostini a sparargli a distanza, non vuoi minimamente stringere un legame con la vittima, ma sbagli, prima o poi non riuscirai più a distinguere la vita reale da quella dietro al mirino. Prova a sperimentare nuovi modi per uccidere. Divertiti, gioca con la vittima e poi, senza dimenticarti di cancellare ogni singola traccia, uccidilo"

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