« Capitolo IV : carpe diem »

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Byron stette a rimuginare sui tre giorni precedenti passati in compagnia della ragazza molto quella mattina.

Era una settimana che non si parlavano.

In realtà lei aveva provato ad approcciarsi a lui, ma ogni volta veniva puntualmente ignorata.

Era già scombussolato dal sogno, o meglio, dall'orrendo incubo che lo aveva perseguitato di notte:
Tante piccole Arya, che giravano come trottoline a ritmo di musica, attorno a lui.

Soltanto il ricordo, gli faceva venire il mal di testa.

Era sabato, oggi non avrebbero avuto lezioni, eppure lui invece di dormire il suo meritato sonno di bellezza, si rigirava fra le coperte del letto, l'immagine della mora piantata in testa.

Si alzò di scatto, facendo cadere le coperte sul pavimento, ed andò a lavarsi, ricordandosi soltanto in quel momento, che i suoi genitori da lì a poco lo sarebbero venuti a prendere.

Aveva un rapporto particolare con la sua famiglia.

Era nato in un ambiente molto prestigioso, possedeva ricchezze immense, a causa del lavoro di suo padre, che gestiva un'importante azienda a livello mondiale.

Non aveva mai ricevuto amore, da lui e sua madre.

Gli avevano soltanto trasmesso l'insegnamento, alla base della sua vita.

Tu sei migliore.

"Sei nato ricco, sei bello ed intelligente, sei superiore a tutti quelli che ti stanno intorno e devi farlo sapere".

Quelle parole, detta dalla donna che lo aveva messo al mondo, quando aveva solo otto anni, lo segnarono irrimediabilmente.

Aveva diritto di disprezzare chiunque al di sotto di lui.

Questo pensiero era più che normale per lui, era sempre stato indottrinato a questo.

Eppure, fortunatamente la sua famiglia non lo opprimeva.

Poteva prendere ogni scelta autonomamente, l'unica cosa su cui non aveva voce in capitolo, era proprio la sua posizione.

Se doveva decidere di fare qualcosa, lui sarebbe dovuto essere il migliore.

Un semplice ragazzo, aveva questo enorme peso da portare.

Si, lo stava distruggendo.

Aveva imparato a convivere con questa forza contraria a giusti ideali, oramai faceva parte di lui, sicuramente non era un problema.

Affetto, amore, non contavano nulla per lui.

'Il mio bambino, bello come Afrodite'.

Ripeteva ogni singola volta sua madre, in modo da farsi vedere più fortunata, agli occhi degli altri.

Byron scosse la testa, vestendosi in fretta e guardandosi allo specchio.

Era davvero bello come Afrodite.

Si pettinò i capelli, ed uscì dal dormitorio, trovando già il proprio autista fuori dal cancello dell'edificio.

Si prosperava una giornata lunga, ma almeno, sarebbe riuscito a distrarsi un po' dal pensiero di quei maledetti smeraldi brillanti.

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Invece, Arya quel sabato mattina, era tutt'altro che vogliosa di dormire.

Anche oggi era decisa a provare a parlare col biondo.

Voleva almeno capire perché la ignorasse in questo modo e stranamente, sentiva la sua mancanza.

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