3 ASHLEY

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Il risveglio è stato ardi poco traumatico: i muratori che facevano rumore, il suono dei clacson provenienti dalla strada e per di più la sveglia d'allarme impostata la sera prima. Mi chiedo ancora il perché esista il mattino.
Mi butto sulla faccia il cuscino e lascio cadere le braccia lungo il corpo in segno di negazione. Non voglio alzarmi. Subito dopo penso all'azienda, ai dipendenti, alle mie mansioni, alle responsabilità e a mio padre. Prendendo la decisione di andarsene da New York, lasciò a me la Collins Publisher, liberandosene e partire con la sua nuova fiamma. Maledetto il giorno in cui se ne andò. Maledico lui!
"Dannazione! Grande lavoro papà. " grande...
Mi alzo e apro le tende per far entrare un pò di luce dentro la stanza o perlomeno dentro di me. Guardo tutti correre avanti e dietro; chi va a lavoro, chi a scuola, chi gira in bicicletta... potrei andare avanti per delle ore. Faccio un piccolo sospiro, dò le spalle alla finestra e mi dirigo subito in bagno per prepararmi per affrontare questa nuova giornata.
Mentre inizio a lavarmi mi salgono mille pensieri in testa e una delle quali è il motivo della riunione di questa mattina. Obrie, la segretaria, citò nella mail che sarebbe stata obbligatoria la mia presenza nonostante il periodo difficile. Certo, in queste tre settimane non sono stata il grande esempio di miglior direttrice aziendale sulla faccia della terra ma sono sempre stata soddisfatta del mio lavoro svolto fino ad ora in quell'azienda, mi sono fatta in quattro per mandarla avanti.
Esco dalla doccia e chiudo il flusso di acqua dalla manopola; appoggio una mano sul lavandino e con l'altra pulisco lo specchio appannato. Mi lavo i denti e inizio a truccarmi. Dopo essermi gingillata la faccia mi vesto, opto per una camicetta bianca semi-trasparente con tre bottoni color oro, una gonna blu lunga fino alle ginocchia e delle decoltè laccate dello stesso colore. Dopo essermi data un'ultima sistemata allo specchio  e una pettinata ai capelli mossi sciolti e lasciati cadere lungo la schiena, prendo la borsa, le chiavi di casa ed esco salendo subito in taxi.

Mentre rispondo a qualche messaggio i miei pensieri vengono sopraffatti e interrotti da un ruggito di motore proveniente da un'auto: un'Audi.
" Capisco il traffico ma non c'è bisogno di fare tutto questo teatrino." Esordisco indignata.
" Gente poco paziente, signora." Dice il tassista. Io sorrido e abbasso la testa.
Arrivo davanti l'azienda, entro con passo spedito e dietro di me c'è Obrie che mi sta elencando un sacco di cose e che il mio appuntamento è già arrivato ed è in sala riunioni. Io rispondo con: " Va bene, grazie. " ed entro in ascensore.
Le porte si aprono, rispondo a qualche buongiorno e mi dirigo verso la sala, da lontano intravedo un'uomo con la testa china verso la sua valigetta, ha un completo grigio e la camicia bianca, anche la cravatta è dello stesso colore della giacca. Alza lo sguardo quando entro, ha la bocca aperta e trovo in lui qualcosa di familiare... lo conosco. Tipo elegante, occhi verdi e sorriso contagioso... è Patrick. Il ragazzo del pub di ieri sera. Cosa ci fa nella mia azienda?
"Buongiorno Signora Collins." Si alza in piedi e avanza verso di me.
" Buongiorno a lei... Patrick." Dico con voce sicura riconoscendolo mentre ci stringiamo la mano. Mi accomodo dall'altra parte del tavolo, come Patrick. Lui segue ogni mio movimento con gli occhi ma senza muovere un muscolo del corpo. Sento che mi fissa. Sento i suoi occhi addosso.
E' più rilassato rispetto a prima ma più duro espressivamente. Mi guarda in modo intenso e quando accavallo le gambe stringe la mascella e deglutisce, facendo salire e scendere il suo pomo d'Adamo. Cosa vuole da me? Ma soprattutto, cosa vuole dalla mia azienda?
Dopo essermi accomodata anche io, mi chiedo se l'incontro tra me e Patrick, di ieri sera, non sia stata una cosa premeditata. Lui mi fissa ed emette un piccolo cenno di sorriso. Cortesia? Carineria? Forse stavamo pensando alla stessa cosa e lui è un sociopatico che legge nel pensiero. Non mi convince per niente l'uomo che ho davanti. Qualunque cosa voglia, da me o dalla mia azienda, non gliela darò.
Siamo in silenzio, non vola una mosca nella stanza, curioso ma snervante. Lui è come una statua, non parla e non muove un dito. Che problema ha? Dopo avergli scoccato un'occhiata, le mie dita iniziano a tamburellare contro il maestoso tavolo di marmo facendo sentire, con un suono deciso, il picchiettio delle mie unghie smaltate di rosso. Peter segue i miei movimenti come se fosse affascinato e volesse decifrare questo gesto. Decido di spezzare il silenzio imbarazzante. Sto quasi per parlare quando la porta si apre e vedo Chris, il mio avvocato. Lo guardo stranita e mi chiedo del perché lui sia qui. Insieme a lui c'è un altro uomo a me sconosciuto. Non troppo anziano. Sorpresa da questa situazione decido di parlare. Sono o non sono il capo di questo edificio?
" Bene! Che cosa sta succedendo?" La mia domanda è rivolta a tutte le persone presenti ma il mio viso si dirige esclusivamente verso il mio avvocato. Chris avanza verso di me e con gli occhi mi fa cenno di calmarmi. Come posso stare calma se non capisco cosa sta succedendo? L'altro uomo, accanto a Thompson, parla e i miei pensieri vengono spenti:
" Buongiorno, sono Lewis Anderson. Avvocato del Signor Thompson." Piccola presentazione da parte sua. Chris risponde:
" Giorno. Avvocato Christian Lowie." I due avvocati si stringono la mano. Peter in tutto ciò è in piedi, stringe la mano a Chris, gli rivolge un cenno di capo ma non fa fuoriuscire una singola parola dalla bocca. Mi sta facendo innervosire. Ci sediamo tutti. Io parlo di nuovo:
" Ok... cosa sta succedendo?" Ribadisco la domanda di prima senza risposta. Prima di far rispondere aggiungo: " Chris che ci fai qui? Non ti ho chiamato." Mi risponde che a contattarlo è stata Obrie attraverso una mail. Il mio sguardo è più confuso di prima, poi aggiunge che in relativa alla mail è stata richiesta la sua presenza direttamente dall'avvocato Anderson. Ma per cosa?
Finalmente Peter parla: " Signorina Collins, il motivo della presenza degli avvocati oggi è che lei firmi il contratto." Parla come se ne sapessi qualcosa.
" Che contratto?" Chiedo a Chris seduto accanto a me.
" Diventare secondo direttore della Collins Publisher." Risponde alla domanda Peter.
" Che cosa!?" Scatto su dalla sedia facendola spostare bruscamente dietro di me. " Nessuno acquisirà la mia proprietà!" Sottolineo in modo cagnesco.
Thompson continua: " Non acquisirò la sua azienda. Lei sarà a capo di queste mura come sempre solo che lo sarò anche io." Figlio di puttana. Lo sapevo che in lui c'era qualcosa che non mi piaceva. I due avvocati stanno discutendo di clausole contrattuali dove non ne capisco nulla. L'avvocato Anderson descrive i benefici della presenza di Thompson in questa azienda ma io me ne infischio dei pro e i contro che potrebbe portare questo uomo nella mia proprietà se io firmassi e accettassi. Mi scaldo, alzo il tono di voce e faccio capire al suo avvocato, anche se rivolto proprio a Peter, che io non firmerò nessun contratto, poi Thompson, sentendosi minacciato percependo il mio attacco, rispose:
" Allora acquisirò del tutto l'azienda." 
" Cosa? È ridicolo! Non è in vendita!" Il mio tono è duro e tagliente.
" Allora scelga lei: firma il contratto e sarà di entrambi o comprerò l'azienda. Decida lei. " parla con un sorriso compiaciuto.
Vorrei lanciargli la sedia addosso. Come si permette di venire qui e cercare di togliermi l'azienda. Ho buttato l'anima qua dentro, non lascerò che un uomo ricco e viziato, annoiato dalla vita mi privi della mia carriera costruita e mandata avanti con grande fatica.
Chris, nonostante dovrebbe eseguire il suo lavoro, non dice niente. Mi guarda con aria dispiaciuta. Conoscendolo non avrebbe mai permesso nulla di tutto ciò, essendo un'avvocato coi fiocchi e temuto, ma comprende e porta rispetto al mio sacrificio e mi fa capire che cointestare il Signor Thompson è la scelta migliore, invece che cedergliela del tutto. Ci guardiamo negli occhi e intanto l'avvocato Anderson porge, sotto al mio naso, il contratto in questione. Guardo lui e il contratto, tiro uno sguardo al mio di avvocato e senza alternative e con scocciatura, prendo una penna e firmo. All'inizio tentenno e la mia decisione vacilla un pò; rassegnata firmo.
Butto la penna sul tavolo e dò le spalle, mamma non ne sarebbe stata orgogliosa, sa quanto tengo a questa azienda.  Non sono una che cede ma penso che avrebbe apprezzato il gesto piuttosto che regalare il mio sacrificio ad uno sconosciuto. I tre si salutano e io con maleducazione non li degno manco di uno sguardo. Tutti vanno via, compreso Chris, dove mi sarei aspettata che sarebbe rimasto, quando sento una voce, in fondo alla stanza:
" Ci si vede domani. Collega. " Era Peter che mi provocava. Quanto lo odio. Esce e se ne va. Io con passo spedito vado nel mio ufficio. Non ci credo che ho lasciato la mia azienda nelle mani del primo uomo sbucato dal nulla. Peter Thompson, da oggi è guerra.
 

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