La morte viola

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Il fiore preferito di Samuel "Sam" Coutier era la sassifraga viola.
Nel Nunavut, la zona più settentrionale e gelida del Canada, era uno dei pochi fiori in grado di germogliare, resistente alle basse temperature e al terreno arido.
Era lì che Sam aveva i natali, lì che aveva vissuto quindici anni tra la neve e violente raffiche di vento.
Era giunto a New York per pura fortuna, uno zio aveva deciso di ospitarlo e i suoi genitori, sperando che l'esperienza in una grande città potesse aprirgli più porte di quell'Inferno ghiacciato, ce l'avevano quasi spedito a spintoni.
Non era stato difficile per lui trovare dei buoni amici in Jack, Reggie, Paul, Eddie, Vince, Ernie. Era un ragazzo solare, dai capelli dorati come il grano che nelle sue terre non cresceva.
A diciott'anni si era arruolato, come tutti. Diceva sempre di voler tornare a casa, che gli mancava il viso di sua madre, il profumo intenso del luccio al forno con le patate, le lande desolate dove c'era solo l'ululato del vento ad accarezzare i suoi pensieri, e di fronte il mare.
Sam non ci era più tornato a casa.
Nel novembre del 'diciotto, una grossa nave era approdata sulle coste di New York, carica di bare coperte con la bandiera a stelle e strisce.
Sulla banchina era stata scaricata la sua, insieme a quelle di Jack e Paul.
Gli amici superstiti avevano già pianto lungamente la loro morte, abbracciandosi stretti nel fango, Eddie aveva versato lacrime amare sulla lettera che aveva ricevuto.
Dal momento in cui erano stati seppelliti, nessuno ne aveva parlato più. Nessuno, tra una chiacchiera e l'altra, aveva mai detto "Ricordi di quando Jack...", "Brava donna, la madre di Paul", "Chissà se riusciranno mai a scendere qui a New York per porgergli un saluto, i genitori di Sam".
A volte a Eddie sembrava non fossero mai esistiti - è così, quando non si tiene viva la memoria di qualcuno. Quando non si permette al suo fantasma di infestare le case e la mente.
Ma poi, ogni domenica, andava al cimitero, e li vedeva: i fiori di sassifraga viola attorno alla tomba di Sam.
Ernie li aveva fatti arrivare dal Canada, ed erano cresciuti bene nell'inverno rigido di New York.
Il loro nome derivava dal latino, significava "che frange i sassi", e Ernie aveva richiesto che la lastra tombale di Sam fosse in pietra, così che i fiori potessero crescere tra le fessure. Bisognava spostarli, ormai, per leggere il nome inciso al di sotto.

Samuel Coutier

15 settembre 1898 - 2 ottobre 1918

Adorato figlio e affezionato amico

Sam era più amico di Ernie che di tutti loro.
Erano sempre stati un particolare contrasto, un ragazzo tutto sorrisi e dolcezza e l'altro serio, composto, difficile all'emozione.
Tra loro c'era un sentimento che Eddie non credeva avrebbe mai provato, ed era grato di aver anche solo potuto osservare - un bene che trascendeva lo spirito, comunione di anime, armonia di sguardi.
Il sorriso di Sam era il sorriso di Ernie, le debolezze dell'uno la forza dell'altro.
Adesso, quando Ernie indossava una giacca, si assicurava sempre di avere un fiore di sassifraga all'occhiello, vicino al cuore. Dove lo spettro di Sam aveva dimora fissa.
Nessuno di loro era mai stato particolarmente credente; talvolta, sul tavolo da gioco, tra un goccio di vino e una carta sbagliata, erano volate isteriche blasfemie.
Ma la guerra aveva cambiato anche quello - da quando erano tornati, tutti gli amici di Eddie sembravano conservare in petto una speranza quasi cristiana che ci fosse una prospettiva più serena di quella terrena. Un luogo sicuro dove i tre defunti potessero riposare in pace, lontani dal fragore degli spari.
E a Ernie piaceva pensare che Sam fosse lì con loro ogni giorno, ad osservarli, a farsi beffe dei loro impicci umani, a posargli una mano sulla fronte per scacciare i brutti ricordi.
Questo era ciò che aveva detto, il giorno in cui le bare erano state coperte dalla terra.
Eddie era sicuro che lo pensasse ancora, e mai l'avrebbe contraddetto. Mai gli avrebbe impedito di trovare consolazione in quella piccola fantasia, nonostante lui credesse ben altro - che Dio, se mai era esistito, li aveva abbandonati.
Erano tutti all'Olive, quella sera, su suggerimento di Richie, e di nuovo la sua gola si serrò nel vedere il fiore viola spiccare sul petto di Ernie.
Erano trascorsi tre anni, ma Eddie si sentiva come se fosse l'unico ad essere rimasto inchiodato nel passato, nonostante non fosse rimasto coinvolto nella guerra come tutti loro.
Forse era proprio per quello, per quei momenti non vissuti, per i sacrifici e le violenze che poteva solo immaginare. C'era un velo di fronte a lui, e tutti gli altri camminavano liberamente al di là, con visione perfetta del mondo circostante.
Era un tarlo che gli divorava il cervello ogni notte, fino all'emicrania. Persino quel Richie Tozier stava dall'altra parte del velo. Persino lui sapeva cosa fosse accaduto ai suoi amici meglio di quanto lui avrebbe mai potuto.
Non erano sufficienti le notizie sui giornali, i manuali di storia, le pellicole al cinematografo, le lettere ricevute.
L'odore del sangue nelle narici, la terra sotto le unghie, la paura nel cuore - erano più di un sentimento, più di qualche riga su un foglio, un'immagine proiettata sullo schermo.
Erano più vividi e reali di qualsiasi altra realtà Eddie avesse mai toccato. Era in quel costante oscillare tra la vita e la morte che risiedeva la sostanza di tutte le cose, il mistero dell'esistenza, le colonne d'Ercole dell'anima.
Eddie voleva assaggiarla, quell'aria pregna di zolfo. Voleva condividerne l'amarezza con le persone che gli erano attorno.
Gli arrivò all'improvviso una gomitata, e Eddie si voltò verso il Re. Era di nuovo seduto accanto a lui, quella sera, con il suo bel ghigno e lo stuolo di ragazze attaccate al suo collo.
-Edward,- Disse, il sorriso ancor più largo, gli occhi che luccicavano al punto che il ragazzino avvampò come se gli stessero sfiorando audacemente una coscia.-condividi i tuoi pensieri con noi, vuoi?-
Carol e Terry posarono una guancia sulle mani inguantate di fine pizzo, all'unisono, due divertite spettatrici della sua presa in giro.
Reggie sollevò un sopracciglio.-Sei particolarmente assente, stasera. E' successo qualcosa?-
Vince avvolse un braccio attorno alle spalle del rosso.-Starà fantasticando su una ragazza.- Cantilenò.
-Oh, no, no.- Richie non aveva staccato gli occhi da Eddie per un solo istante, assunsero una sfumatura quasi malevola.-Al vostro amichetto le ragazze non interessano.-
Eddie si irrigidì.
Cosa voleva significare quella frase? Riguardava le parole che si erano scambiati la sera prima, il suo rifiutarsi di ballare con una delle conoscenti di Richie? O peggio, riguardava il fatto che gli avesse quasi detto di sì quando credeva che fosse il Re a volerlo accompagnare in pista?
Scoppiarono tutti a ridere, come se non ci fosse nulla al di sotto di quella beffa, una vuota accusa proferita per scatenare un po' di ilarità.
Forse era davvero così. Forse Eddie aveva frainteso tutto, dalla bieca luce negli occhi di Richie alle sue parole.
Ma c'era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa di oscuro e velenoso, che proprio non gli piaceva. Gli si strinse la gola, perché guardare Richie, in un certo qual modo, era come guardarsi allo specchio - la corruzione dei loro spiriti sembrava essersi chiamata e toccata prima ancora delle loro mani, la sera in cui si erano presentati.
-Credo tu non abbia detto nulla di nuovo.- Rispose, alzando la voce per sovrastare le risate dei compagni e il brusio del bar.-Non sono noto per avere affinità con il pubblico femminile.-
Carol si appoggiò morbidamente allo schienale della poltrona, spostando la pesante e scintillante stola da un lato.-Eppure vedo del potenziale.- Cinguettò, le labbra scarlatte distese in un sorriso ammaliante.-Potrebbe rubarti la scena, Re.-
Un nervo guizzò nella guancia di Richie, Eddie accolse quel segnale di disturbo come una piccola vittoria e un ghigno impercettibile gli sfiorò la bocca.
Terry fu rapida nel consolarlo, infilò una mano tra i suoi ricci nerissimi, l'altra sotto il suo panciotto, all'altezza del cuore.-Non darle ascolto.- Disse, avvicinandosi al suo orecchio come se avesse voluto morderlo. Poi lanciò un'occhiata di fuoco a Carol.-Lo champagne deve averle dato alla testa.-
L'altra liquidò quell'invettiva con un rapido gesto della mano, e Richie tornò improvvisamente sereno, lo sguardo gaio su Eddie.-Carol ha ragione.- Disse, e tutti sollevarono le sopracciglia, sorpresi di trovare in lui un briciolo di umiltà.-Sei un diamante grezzo, Edward Kaspbrak. Trarrò un particolare piacere nel lucidarti a dovere.-
Eddie rimase a bocca aperta.
-Questa vorrei proprio vederla!- Esclamò allegramente Reggie, battendo un pugno sul tavolo.
-Devi presentargli una ragazza, Richie.- S'intromise Ernie, e il ragazzino si sentì quasi pugnalato alla schiena. Proprio lui, tra tutti - il più morigerato, il più quieto -, avanzava proposte del genere?
-Non credo sia una buona idea...- Si schermì, ma subito gli amici ripartirono all'attacco.
-Hai ventitré anni e non hai mai visto un paio di gambe!- Lo rimbottò Vince.
-Sì che le ho viste.-
-Le gambe di tua madre non valgono.- Ribatté Reggie.
Terry sollevò le sopracciglia in maniera allusiva.-Una ragazza si è mai sollevata le gonne per te, Edward Kaspbrak?-
A quel punto tacquero tutti, fissandolo dispettosi in attesa di una risposta. Al ragazzino fischiavano le orecchie. Il tavolo si era fatto troppo piccolo, le pareti della stanza sembravano pronte a piombargli addosso, e Richie era vicino - vicino - al punto che gli riusciva di sentire l'odore del suo dopobarba.
-Ha!- Reggie incrociò le braccia al petto, tronfio come un fagiano.-Lo sapevo. Sei ancora puro come un agnello.-
-E anche se fosse?-
-Bisogna rimediare.- Richie gli ammiccò, mettendogli una mano sulla spalla. Era calda, insopportabile per la pelle di Eddie, che già bolliva di imbarazzo.-Ho una ragazza che fa al caso tuo.-
Il ragazzino lo guardò torvo. Parlava delle donne come di una collezione di ceramiche.
Non dubitava che ne avesse per ogni gusto - ricce, bionde, alte, basse, semplici, altolocate, istruite, galline, nubili, sposate, rigide, timorose, da corrompere, da adulare, divertenti, dolci, premurose, bisbetiche.
La vita era una giostra, e Richie montava ogni notte su un cavallo diverso.
Si chiedeva quanto avrebbe dovuto pagare se, per puro caso, avesse voluto salirci anche lui.
-Posso trovarmi una ragazza da solo, ti ringrazio.-
A Richie dovette parere di avere davanti un discepolo ribelle, perché gli sorrise con condiscendenza.-Accomodati.- Gli rispose, indicando con un ampio gesto della mano il locale circostante, gremito di gente.-L'Olive è ai tuoi piedi.-
Eddie riconosceva una sfida, quando ne vedeva una.
Si disse che non doveva dimostrare niente a nessuno. Che avere una donna al fianco valeva ben poco se serviva solo per sfoggio sociale.
Per lui non erano necessarie le avventure, i sorrisi melensi, le camicie sporche di rossetto, le gonne sollevate.
Stava bene da solo, nella solitudine del suo cuore. Non sentiva la mancanza di braccia femminili attorno al suo corpo quando si svegliava al mattino o quando si coricava la sera.
Voleva semplicemente trascorrere del tempo con gli amici che gli erano rimasti senza che quel mezzo sconosciuto lo importunasse.
Cosa ne sapeva il Re di loro? Di quando Sam era arrivato a New York con una valigia di cartone e una camicia su cui la madre aveva ricamato a mano le sue iniziali? Delle occhiate maligne che Reggie riceveva per i suoi capelli rossi, della volta in cui aveva tentato di schiarirli con l'ammoniaca e per poco non era diventato calvo? Aveva mai visto Paul giocare a tennis? Il modo in cui teneva in mano la racchetta, come se fosse stata un prolungamento del suo corpo, la luce che aveva negli occhi blu mentre parlava delle nuove tecniche che aveva imparato, della promessa che suo padre gli aveva fatto di accompagnarlo a vedere una partita?
-Cos'è che ti diverte così tanto?- Replicò, gli occhi castani che indagavano la sua espressione d'un tratto spaesata.-La mia vita è un tale divertimento, per te, Richie Tozier?-
Ernie gli posò una mano sul braccio.-Eddie, stiamo solo scherzando.-
-Curioso.- Soffiò il ragazzino.-Non mi ero accorto di avere indosso le vesti del giullare, quando sono uscito di casa.-
Richie era tornato inflessibile.-Abbiamo toccato un tasto dolente?- Domandò, sornione.
Eddie avrebbe voluto avere il coraggio di versargli il calice di champagne in testa. O l'intera bottiglia.
Ma quella era una cosa che avrebbe fatto Jack - impavido, iracondo Jack - e lui non voleva rovinare la serata ai suoi amici.
Perché sembravano talmente contenti di avere Richie lì, anche se lui proprio non ne vedeva motivo. Doveva essere nascosto da qualche parte oltre il velo, assieme a tutti loro. C'erano spiegazioni che non avrebbe mai avuto, che non gli avrebbe dato nessuno, e forse era il momento di rassegnarsi - all'idea che quello sprezzante sconosciuto avrebbe fatto parte della sua vita, da ora in poi, perché questo era l'auspicio delle persone che al mondo gli erano più care.
-Mi dispiace,- Mormorò, perché gli era difficile pronunciare parole che non credeva davvero.-ho esagerato.- Distese sulle ginocchia i pugni che aveva serrato, e Richie notò quel gesto.
Guardò le sue mani, poi il suo viso, e Eddie non seppe cosa pensare.
-Vado fuori a fumare.- Annunciò. Una chiara scusa per allontanarsi, dato che il locale era pregno di cenere sparsa e nicotina.-Carol, Terry, mi accompagnate?-
-Ovviamente.- Risposero le giovani alzandosi e prendendolo a braccetto.
Sgusciarono con eleganza tra i tavoli, i ballerini, gli astanti, e Eddie non poté fare a meno di seguirli con gli occhi, di tenerli appiccicati all'abito purpureo di Terry, alla stola di Carol che svolazzava, alla figura longilinea di Richie.
Una parte di lui lo riteneva detestabile, l'altra avrebbe voluto aprirgli la cassa toracica per scoprire cosa ci fosse all'interno - un cuore di carbone, probabilmente.
Si accorse solo diversi istanti piú tardi dell'insistenza con cui gli amici lo stavano osservando.
-Ho chiesto scusa.- Si discolpò repentinamente, alzando un po' la voce.
Ernie scosse il capo tra sé e si afflosciò sulla poltrona.-Mi domando cosa ti sia preso.-
Eddie sollevò le sopracciglia.-Non é evidente?-
-Non ti ha detto nulla che potesse suscitare una tale reazione.-
-Immagino tu non fossi seduto al tavolo con noi, allora.-
-Forse eri tu a non esserci, Eddie.- Ribatté Vincent, scambiandosi uno sguardo d'assenso con gli altri.-Non c'era offesa nelle sue parole.-
-Mi conosce a stento!- Era raro per Eddie arrabbiarsi, ancor piú se si trattava dei suoi compagni, ma stavano palesemente difendendo il loro nuovo amico a spada tratta, ignorando le sue ragioni.-E si permette di fare affermazioni del genere sulla mia vita, di insinuare, addirittura, che potrei...-
"Essere attratto dagli uomini."
La voce gli morí in gola.
Reggie accartocciò le spesse soracciglia rossastre.-Perché prendersela tanto, se erano solo battute?-
Eddie si impose di non sollevare su di lui il piú mortificato degli sguardi. Se era questo che i suoi amici credevano - che fossero solo scherzi - non li avrebbe certo spinti a pensare altrimenti.
-Si é preso troppe confidenze.- Borbottò, stringendo le braccia attorno al corpo.
Vince gli sorrise.-Ma Richie é cosí, amico mio.-
-Per questo lo adoriamo.- Aggiunse Reggie.
-A me sembra solo un gran pavone.-
-Adesso sei tu a giudicare senza conoscere.- Lo ammoní Ernie. Gli diede di gomito.-Sono sicuro che con il tempo imparerai ad apprezzarlo.-
Quella era forse una delle ultime cose che Eddie desiderava.
Aprirsi a quello sbruffone, sostituire le croci dei defunti che portava nel petto con il suo volto.
Pensò - e non gli piacque pensarlo, ma fu inevitabile - che Reggie, Vince ed Ernie stimassero a tal punto la sua presenza perché aiutava loro a riempire il vuoto che gli altri tre amici avevano lasciato.
Ma Richie non era alla loro altezza - poteva essere il Re di Myrtle Avenue, di tutta New York, ma il suo scranno era al di sotto delle bare dei suoi amici, nei livelli piú profondi della terra, tra i demoni della Commedia, i millantatori e gli stregoni.
Non sarebbe caduto vittima dei suoi incantesimi.

Myrtle Avenue ✴ ReddieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora