Storia n° 35

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"Parlavi come fossi una poetessa.

Come se le parole che avevi in testa le facessi uscire una per una, parlavi come se fossi una scrittrice.

E continuavi a guardarti le mani, chissà in cerca di cosa, forse di sicurezza.

Quelle mani così delicate e fragili che mai avevo avuto l'occasione di stringere per più di pochi secondi, perché ti vergognavi anche di loro.

Continuavi a guardarti allo specchio, morbosamente, costantemente in cerca degli anni passati, in cerca della bellezza che in tutto quel tempo non eri riuscita a trovare in te stessa, ma che avevi fin dall'inizio.

La chiamavano malattia la tua, "anoressia". Dicevano che psicologicamente malata e che avevi bisogno di cure. Avrei voluto curarti io, ma tutto ciò che potevo fare era guardare, perché per quanto cercassi di farti aprire gli occhi, tu continuavi a chiuderli.

E neanche i medici sono riusciti a guarirti da ciò che eri, ne avevano fatti tanti di quegli sforzi e gli ero, gli sono, più grato di quanto ne sarò mai a nessuno.

Continuavi a riempirti gli occhi di trucco pesante, matita nera tutt'intorno, chissà per quale motivo, perché non ne avevi bisogno.

Mascherare il tuo volto sembrava riuscirti talmente bene, ma le tue insicurezze erano disegnate su tela, le avevi impresse con un pennarello indelebile sul cuore ed io le vedevo, tutte, ogni volta che passavo a visitarti in clinica, anche quando dicevi "sto meglio".

Lo sapevamo entrambi che non stavi bene, ma tu fingevi di avermi illuso e io fingevo di crederci.

Ricordo quando ti portavo dei gigli, il tuo fiore preferito, perché erano eleganti, bianchi e illuminavano il nero che avevi dentro.

Quanti mesi passati in quella clinica a guardarti scomparire, ma ricordo le ultime settimane ed erano le uniche in cui potevo tenerti la mano e tu non potevi farmi resistenza.

Rifiutavi il cibo, o meglio il tuo corpo e mente lo rifiutavano.

E io volevo solo tornare indietro e vederti per la ragazza felice che eri stata tutto quel tempo, fino al momento in cui sei diventata l'arma più letale, per la tua vita e per la vita di tutti quelli che ti amavano, che ti amano, per la mia.

E ora sono qui, sulla tua tomba, in ginocchio a scrivere una lettera che mai leggerai, impregnata di lacrime e odore di gigli.

Qui, ad illudermi che tornerai, mi leggerai una delle tue storie e mi stringerai la mano,per tutta la vita."

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