TEMPTATON 4' Capitolo "Anima inquieta"

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Quel conforto era familiare, il tepore faceva regredire la mia mente a un tempo in cui, da bambina, non avevo nessun problema al mondo.

Sfregai la guancia contro il tessuto della camicia, scoprendo una morbidezza che non mi sarei aspettata. Agguantai le maniche di Adam, mentre mi portava via dal Purgatorio, stringendomi fra le sue braccia.

Quando lui aprì la porta dell'infermeria con un piede, le due crocerossine presenti rimasero a bocca aperta, notando il modo in cui mi sorreggeva.

«È Miss Campbell? Che le è accaduto?» domandò ansiosa l'infermiera più giovane.

Adam mi poggiò sul lettino e non appena sfiorai il lenzuolo di carta con la schiena mugugnai di dolore.

«Suor Mary Therese» assentì l'altra infermiera, con un sospiro. Si avviò verso la teca e prese il disinfettante, il cotone idrofilo e i cerotti.

Adam urlò fuori di sé. «Non ero al corrente che in questa scuola si praticassero ancora punizioni corporali. È inconcepibile!»

A fatica, socchiusi le palpebre. Era stato lui a portarmi via, dopo essere quasi svenuta nello studio della Madre Superiora.

«Padre, lasci perdere. Nessuno ha mai osato sfidare Suor Mary Therese.» L'infermiera più giovane mi fece girare di fianco, in modo che sentissi meno dolore a contatto con il letto, ma fu inutile. Il bruciore era insopportabile.

Come risposta, lui scosse il capo sconvolto. «Ma... è inaudita una cosa simile! Vado subito a parlarle in privato.»

Non riuscì a uscire dalla camera.

Senza che ci facessi caso, la mia mano agguantò il suo braccio. Lo scrutai con occhi lacrimevoli e imploranti.

Adam si sedette sulla sedia accanto al letto e provò a calmarsi. Chiuse la mia mano fra le sue, inondandola di calore, e mi abbandonai rassicurata.

***

Poco tempo dopo, ripresi i sensi. Lo intravidi ancora seduto, accanto al letto. Mi avevano tolto la giacca, il gilet e la cravatta. Sfiorai la schiena e tastai le medicazioni: sicuramente durante le cure, quando le infermiere mi avevano spogliata, Adam era uscito dalla stanza.

«Si sente bene?» domandò preoccupato.

Le spalle mi bruciavano, ma di meno, dopo le disinfezioni. Dovevano avermi iniettato un anestetico perché sentivo la mente annebbiata e assonnata.

Provai a parlare. «È rimasto qui?...»

Mi prese la mano, senza rispondere.

L'audace ragazza che lo aveva quasi sedotto, su un autobus affollato, facendogli scordare chi era, era svanita: dovevo sembrargli un cucciolo maltrattato e smarrito.

La porta dell'infermeria si spalancò. Non appena riconobbi la Madre Superiora che avanzava, voltai il capo verso il muro per non guardarla.

«Vedo che si è ripresa» esordì Suor Mary Therese.

Sia io che Adam rivolgemmo il viso altrove, senza degnarla di attenzione: lui, in particolar modo, era ancora parecchio spazientito.

Lo sguardo sospettoso della suora cadde sulle nostre mani intrecciate.

Ci staccammo, imbarazzati. Facendo leva sugli avambracci mi sollevai, lui invece trascinò la sedia all'indietro e si alzò.

«È ovvio che dovrà confessarsi» infierì la direttrice. «Conoscendo la sua situazione familiare, credo sia inutile informare sua madre dell'accaduto: non credo verrebbe qui neppure se crollasse il mondo.»

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