Quella notte, mi svegliai verso le tre del mattino e pregai Dio di farmi riprendere subito sonno. Mi era accaduto spesso di udire tutto quello che avveniva nella camera da letto di mia madre, oltre il muro, e non era mai stata una bella esperienza.
Per quattro giorni a settimana, Karl rientrava a quest'ora, dopo aver trascorso l'intera serata da Dougall's, un pub in periferia, arrancato sul bancone a riempirsi di birra alla spina.
Come le volte precedenti, prima li sentii chiacchierare: lui insisteva e lei rispondeva di no, annoiata. Poi i toni si scaldavano. Mia madre reagiva con insolenza e infine si arrendeva alle voglie di quell'uomo.
I grugniti erano sempre animaleschi, quel maiale non si preoccupava neppure di abbassare la voce quando veniva, ma gemeva senza contegno.
Sedetti tra i cuscini. La nausea mi strinse lo stomaco. Ogni volta che ascoltavo i loro amplessi, sentivo il bisogno di vomitare. Non riuscivo a capire come mai lei si lasciasse scopare da quello schifoso.
Ovviamente non traeva alcun piacere da quei rapporti così brutali. Non la sentivo mai sospirare; si sottometteva al volere di Karl, gli apriva le cosce come una bambola inerme, e rimaneva a scrutare la camera al buio, mentre lui la sbatteva.
Accesi una sigaretta, sedendomi sotto la finestra. La pioggia avrebbe continuato a cadere, senza sosta, il cielo era una coltre asfissiante.
Rimasi sul pavimento e quando mi colse di nuovo il sonno, mi trascinai dentro il letto. Nel frattempo, i grugniti nell'altra stanza erano cessati.
***
L'indomani mattina, scesi in cucina di corsa, sperando di non incontrare nessuno dei due. Karl stava facendo colazione, seduto a tavola, mia madre invece era ancora a letto.
Strinsi le labbra indispettita e risentii la nausea invadermi, ricordando ciò che avevo ascoltato poche ore prima.
«Buongiorno» salutò lui. Il suo sorriso era irritante, avrei tanto voluto sputargli in faccia, prenderlo a schiaffi e sbatterlo fuori di casa una volta per tutte. Qualsiasi cosa pur di non ascoltare quasi ogni notte quelle porcherie.
Non risposi. Lasciai cadere lo zaino a terra, diedi una lisciata alla divisa scolastica e mi avviai verso il frigorifero, per bere un po' di latte freddo.
Pochi minuti prima, lui mi aveva guardato le gambe con un ghigno strafottente. Dopo aver bevuto dalla bottiglia, richiusi il frigo. Karl mi diede scherzosamente una pacca sul sedere:
«Cazzo, sempre musona. Spero di vederti ridere, un giorno o l'altro.»
Scattando all'indietro, misi distanza tra me e lui, e gli puntai contro l'indice. La mia voce vibrò, minacciosa e seria. «Non ci provare un'altra volta, se non vuoi che te la tagli, quella mano viscida!»
«Stai calma, eh.» Karl rispose con un sorriso idiota. Scosse il capo e continuò a strafogarsi di uova strapazzate e wurstel affogati nella senape.
Scappai fuori, infilando lo zaino sulle spalle con un gesto d'astio.
Il tocco di quel verme mi fece sentire sporca per alcuni attimi. Se avesse provato a rifarlo lo avrei ammazzato, poco ma sicuro. Poteva scoparsi mia madre che era una donna remissiva e senza più alcun desiderio di vivere, ma non me. Io non ero Chloe Campbell: avevo un futuro a cui guardare.
Dopo i recenti avvenimenti, non avevo alcuna voglia di prendere l'autobus, così andai a piedi. Il tragitto fino alla St. John sembrò più breve del previsto, considerando il passo veloce per scaricare l'inquietudine.
Entrai dal viale d'accesso dell'accademia e tra i vari gruppi di studentesse non riuscii a scorgere Megan. Immaginando dove fosse, girai sul retro dell'edificio e raggiunsi l'orto recintato. Nella rete c'era un buco appositamente ritagliato e nascosto dai cespugli, mediante il quale ci infilavamo senza essere viste dalle suore.
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TEMPTATION (ESTRATTI)
Literatura Kobieca#1 NARRATIVA GENERALE SU WATTPAD Bellshill 1974, Scozia. Eve ha appena diciotto anni, viso da bambina e una spiccata tendenza alla ribellione, da quando suo padre ha abbandonato la famiglia, lasciandola sola con la madre alcolizzata e una misera bor...