BILLIONAIRE 1' Capitolo "New York City"

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Questa città è sempre la stessa. Rumore, caos, una marea di persone che si riversano a ogni angolo di strada. Non l'ho dimenticata.

New York non si dimentica.

Ho lasciato Harvard per tornare qui, per cause di forza maggiore. Quello che non volevo è successo.

Mio padre è morto di tumore al pancreas.

Solo io e poche persone lo sapevamo e lui ha sempre rifiutato di sottoporsi alla chemioterapia.

Così ho deciso di lasciare il college a pochi passi dalla laurea, visto che sono all'ultimo anno, e di tornare a New York City.

Il funerale è stato triste, come tutti i funerali.

Ma è stata la lettura del testamento a spiazzarmi.

Mio padre, Jonathan Stevens, mi ha nominata sua erede alla New Style, come amministratore delegato.

La New Style Company è un'azienda pubblicitaria multinazionale situata in un grattacielo di Manhattan.

Mi sento una novellina, anche se ho studiato economia aziendale, arrivata per caso dalla campagna.

Il taxi si ferma nell'Upper East Side, dove c'è l'appartamento di mia sorella minore, Jillian.

I palazzi sono enormi e mi dirigo con il mio trolley dove abita mia sorella.

Vivendo ad Harvard ho respirato tutt'altro ambiente.

Per un attimo contemplo il mio modo di vestire: cappotto lungo e jeans.

Non sono proprio nulla di speciale.

Una sferzata di vento scompiglia i miei lunghi capelli castani, che porto sempre lisci. Forse l'unica nota a mio favore, quello che per prima cosa notano gli altri grazie alla pelle chiarissima, sono gli occhi azzurri.

Ma naturalmente il trucco è leggero e non metto in evidenza la mia bellezza.

Sono più scombussolata che mai, dopo questa notizia.

Io e Jillian ci siamo viste al funerale e ci siamo messe d'accordo che avrei dormito a casa sua.

Entro nella hall e mi dirigo verso l'ascensore. Lei mi sta aspettando.

Arrivo al terzo piano del grattacielo e le porte si aprono.

Mi avvio con il mio trolley e quando raggiungo quella porta, busso.

Jillian mi apre subito. Mia sorella ha i capelli corti, tagliati in modo stravagante con le punte rosa all'infuori. Ha piercing ovunque: sul naso, sulle orecchie. Per non parlare dei tatuaggi.

Lei è una vera adolescente newyorkese che frequenta discoteche, pub e roba del genere.

Capisco perché nostro padre abbia scelto me, per delegare gli affari di famiglia.

«Angel» mi saluta, con un bacione.

Scambiamo le nostre effusioni e sento puzza di marijuana. «Jill, che ti sei fumata?»

«Il solito» ride, divertita. Mi fa entrare e chiude la porta.

Il suo appartamento è nel casino totale, abiti sparsi ovunque, una chitarra gettata sul pavimento fra i cuscini tribali.

Sembra l'appartamento di una hippy impazzita.

«Allora il vecchio ha lasciato a te la direzione di tutto il circo» si versa da bere in un bicchiere di plastica già sporco.

Prova a offrirmi del gin, ma rifiuto.

«Non so cosa devo fare, non ero preparata a tutto questo...» rispondo, con un sospiro. «Dirigere addirittura tutta la multinazionale.»

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