Entrai nella casa editrice e mi guardai intorno. L'ufficio si trovava al quarto piano di un palazzo di sei piani, non c'era l'ascensore, solo maledette scale che avevo fatto ritrovandomi con il fiatone. Il palazzo era vecchio e in stile medievale come tutto lì a Todi, ma l'ufficio era stato modernizzato, probabilmente secondo i gusti del grande capo. La casa editrice era a sé, non faceva parte di una catena di grandi case editoriali, era una piccola casa editrice e in tutto esistevano due o tre uffici in tutta Italia. Mio zio mi aveva detto che era a conduzione familiare e che la fondatrice della casa editrice era la moglie del suo amico. Quindi l'unica cosa che avevo capito era che il capo di quell'ufficio era un parente dell'amico di mio zio.
Le pareti erano bianche, le porte in vetro, così si vedeva benissimo quello che facevano i dipendenti, all'entrata c'era il banco della reception e delle sedie grigie in plastica che facevano da sala d'aspetto.
Come lo sapevo? C'era un cartello, sulla parete sopra le sedie che recitava "SALA D'ASPETTO"
Insomma, c'era molta fantasia lì dentro.
Oltre a me, nella stanza, c'erano altre due persone e una donna di mezza età dietro al banco delle reception che batteva sul computer rovinando la quiete e il silenzio che c'era lì dentro.
Guardai l'orologio sopra la parete. Segnava le 9 e 40. Avevo ancora venti minuti di tempo prima del colloquio.
La donna alzò gli occhi e mi guardò con un sorriso.
- Posso aiutarti cara? - mi chiese gioviale.
Mi avvicinai e mi poggiai con le braccia al bancone.
- Ho un colloquio alle 10 - dissi.
La donna annuì.
- Accomodati pure cara, anche quei due sono qui per il colloquio, ti chiamerò appena arriverà il tuo turno - mi disse indicandomi le sedie - Probabilmente entrerai più tardi perché c'è stato un contrattempo e quindi siamo in ritardo con i colloqui di tutti -
- Ok va benissimo, grazie - risposi andando a sedermi.
Questo contrattempo non ci voleva! Adesso avevo un altro motivo per farmi corrodere dall'ansia.
Insieme a me ad aspettare c'era un ragazzo, forse della mia età, con l'aria di un secchione fatto e finito: aveva un paio di occhiali da vista rotondi, una camicia a quadri con un papillon e portava le bretelle invece della cintura, per tenere i panatoli di velluto panna invece della classica cinta.
L'altro era un uomo sui, forse cinquant'anni, vestito di tutto punto in giacca e cravatta.
Sentii una porta sbattere e una ragazza, forse più grande di me, vestita con una gonna striminzita e una maglietta che mostrava un po' troppo seno e dei tacchi vertiginosi, arrivò dal corridoio imperterrita e con l'espressione arrabbiata.
- Quello è uno stronzo! - esclamò.
Ci squadrò come se fossimo insetti e uscì dall'ufficio come una furia.
Sbattei le palpebre confusa.
Che diavolo era successo?
La donna delle reception sospirò rassegnata.
- Io gliel'avevo detto che non doveva presentarsi vestita in quel modo - borbottò ma la sentii benissimo.
Il telefono squillò e lei rispose.
- Si signore, ce ne sono altri tre per il colloquio - disse.
Silenzio. Forse ascoltando il suo interlocutore.
- No signore...no nessuna...ehm...battona, capo - disse.
Bè evidentemente il capo non aveva gradito la visita della donna di prima. L'aveva davvero definita della battona?
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Quello stronzo del mio capo
RomanceMartina Rossetti ha sempre desiderato lavorare in una casa editrice ma per ovvi motivi non ne ha mai avuto l'occasione. Quando poi lo zio si presenta alla sua porta e gli dice di averle trovato il lavoro dei sogni non riesce a contenere l'entusiasmo...