Misi la carbonara nel piatto e riempii due bicchieri d’acqua.
Sentii l’acqua della doccia chiudersi e poco dopo la porta del bagno si aprì.
Alla fine avevo convinto Sean ad andare a casa ed ero andata insieme a lui, volevo assicurarmi che si facesse una doccia, che mangiasse e che si mettesse a dormire.
Era stata quella la mia condizione per andare a Roma con lui. Quando gliel’avevo detto aveva fatto un sospiro di sollievo, probabilmente chissà che cosa si aspettava.
Quando l’avevo convinto ad uscire dall’ufficio Marina mi aveva presa da parte e mi aveva detto che da due giorni, quando andava via Sean restava in ufficio e quando tornava la mattina dopo lo trovava lì, gli chiedeva solo di andargli a prendere caffè all’infinito e che gli addetti alla pulizia avevano detto che quando pulivano l’ufficio dalle 8 alle 10 il capo stava in ufficio. E poi bastava guardarlo in faccia: quell’idiota non usciva dall’ufficio da giorni!
Alzai lo sguardo quando sentii i suoi occhi bruciare su di me. Sussultai impercettibilmente: indossava solo un pantalone della tuta, che scendeva sui fianchi, era scalzo e potei vedere il suo corpo senza farmi fantasie a causa delle magliette. Come avevo già potuto constatare da quella volta che portava la camicia sbottonata, gli addominali erano evidenti, aveva la famosa V che spariva nei pantaloni e da come portava la tuta potevo quasi vederne la fine, aveva un po' di peluria che dall’ombelico scendeva verso l’intimità. Le spalle erano larghe e la vita più stretta, solo leggermente, a guardarlo bene aveva il fisico da nuotatore.
Aveva i capelli bagnati che gli cadevano sugli occhi, si era fatto la barba e aveva quasi assunto un aspetto normale, quasi. Le occhiaie si erano attenuate, di poco ma c’erano, e gli occhi erano ancora rossi.
- Ora mangia e poi a ninna – dissi cercando di ignorare il tremore del mio corpo davanti al suo aspetto.
- Si mammina – disse sarcastico.
Però si sedette e prese a mangiare.
E come mangiò! Sembrava, in poche parole, un morto di fame. Ripulì il piatto il tempo che io impiegai a bere l’acqua che mi ero presa.
- Vuoi il bis per caso? – chiesi divertita.
Mi fulminò ma annuì.
Gli riempii di nuovo il piatto e mangiò anche quello.
Mi sedetti davanti a lui e l’osservai.
Era stato uno sciocco! Non osavo immaginare in che stato si sarebbe ridotto se non mi avesse fatto chiamare per comunicarmi che dovevo andare con lui al convegno.
Sean non era in grado di prendersi cura di sé stesso. Si preoccupava perennemente del suo lavoro e non di sé stesso. Sapevo che era pignolo, preciso ed esigente. Ma così si distruggeva.
- Prenditi due giorni dal lavoro per preparare le valige – mi disse quando ripulì il piatto.
- Martedì e mercoledì? – chiesi.
Lui annuì e io scossi il capo.
- Le valige posso prepararle nel weekend, devo finire da correggere le bozze e se devo venire a Roma non avrò tempo per finirle entro la scadenza del concorso –
- Siamo a buon punto e hai domani e lunedì per farlo – ribatté.
Sbuffai e non resistetti a dargli un calcio in uno stinco. Lui sussultò e mi guardò scioccato.
- Non sono io quella che ha bisogno di una pausa – dissi – Quindi piantala –
Sean si poggiò allo schienale della sedia e mi guardò a malapena. Era stanco, non ce la faceva nemmeno a ribattere a quello che dicevo io.
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Quello stronzo del mio capo
RomanceMartina Rossetti ha sempre desiderato lavorare in una casa editrice ma per ovvi motivi non ne ha mai avuto l'occasione. Quando poi lo zio si presenta alla sua porta e gli dice di averle trovato il lavoro dei sogni non riesce a contenere l'entusiasmo...