Mi sedetti sulla valigia e la chiusi girandoci intorno. Senza una piccola pressione non ce l’avrei mai fatta a chiuderla.
- Dovresti essere orgogliosa di te stessa – disse Alessia annuendo.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai mentre continuavo a litigare con la mia valigia.
- Sicuramente ti adora! – esclamò Chiara con il suo solito entusiasmo.
Non immagini quanto amica mia, non immagini quanto. Pensai sarcastica.
Era mercoledì sera e stavo finendo di preparare le valigie. La mattina dopo Sean sarebbe passato a casa mia per prendermi e partire per Roma. Sarebbe venuto alle sette perché ci volevano all’incirca due/tre ore per arrivare a Roma da Todi e a mezzogiorno avevamo un pranzo con i colleghi della sede di lì. Se i calcoli del capo erano corretti saremmo dovuti arrivare nella capitale intorno alle 10/10 e 30, saremmo dovuti andare nell’albergo che Marina ci aveva prenotato e darci una sistemata prima del pranzo.
E non è permesso sgarrare! Quella mattina Sean mi aveva fatto ripetere il programma dieci volte, nemmeno fossi stata una bambina dei sei anni che stava imparando una filastrocca.
Alla fine un giorno dal lavoro l’avevo preso, martedì non ero andata perché ero stata costretta ad andare per negozi a cercare qualcosa di elegante, tra tutti i vestiti che avevo me ne andava a malapena uno, giusto per dimostrare da quanto tempo non mi mettevo un vestito da cerimonia. Quindi ero stata costretta ad andare a fare shopping.
In compenso avevo convinto Sean a restare a casa lunedì e martedì. Gli avevo fatto notare che se non era nel pieno della forma avrebbe fatto schifo con gli altri e grazie al cielo mi aveva ascoltato.
Da giovedì scorso ci eravamo scambiati solo qualche parola legata al lavoro e a volte mi aveva lanciato qualche occhiata ardente, solo quella mattina avevamo preso a parlare come sempre, come se non fosse successo nulla a casa sua.
In effetti non era successo nulla.
Dopo aver dichiarato di avere delle manette nel cassetto del comodino il mio ventre si era contorto su sé stesso e aveva fatto i salti di gioia ma non lo avevo assecondato, non mi sembrava il caso anche se Sean era maledettamente serio e, con il fatto che avevo le mani sul suo petto avevo avuto modo di sentire il suo battito accelerare. Me l’ero cavata dichiarando che avrei ordinato cinese per entrambi e mi aveva liberata dalle sue braccia e dai suoi occhi magnetici.
Solo durante la cena aveva ripreso il discorso e mi aveva detto che non stava scherzando e che quelle manette c’erano davvero. Ci stava che eravamo di più di capo e dipendente, ci stava che aveva detto di essere attratto sessualmente da me, ci stava che mi ero presa cura di lui quando non l’avrebbe fatto nessun altro. Fatto sta che mi aveva confessato ciò che gli piaceva. Aveva dichiarato che forse masochista c’era per davvero ma che gli piaceva giocare al letto per questo si definiva così. Mi aveva anche detto che fino ad ora non aveva trovato nessuno che “lo soddisfacesse” a quel livello.
E io avevo ammesso che questo suo lato mi piaceva.
Ed era vero. Ero vergine certo ma se c’era qualcosa che mi eccitava era avere il controllo della situazione, mi piaceva l’idea di avere un uomo completamente alla mia mercé, impossibilitato a muoversi, a cui potevo fare qualsiasi cosa senza che potesse fare nulla per impedirmelo.
Non mi piaceva il sadomaso, sia chiaro, ma mi piaceva giocare in quel modo.
Io e Sean ci eravamo guardati negli occhi e avevamo capito che non c’era scampo, per nessuno dei due.
E tornava il discorso che soddisfare i nostri istinti avrebbe creato solo problemi nel campo lavorativo.
Anche se il mio problema principale era metterci in mezzo quel dannato muscolo involontario che avevo nel petto.
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Quello stronzo del mio capo
RomanceMartina Rossetti ha sempre desiderato lavorare in una casa editrice ma per ovvi motivi non ne ha mai avuto l'occasione. Quando poi lo zio si presenta alla sua porta e gli dice di averle trovato il lavoro dei sogni non riesce a contenere l'entusiasmo...