Capitolo 4.

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Due occhi color del miele cominciarono a saettare da una parte e l'altra della piazza, da far girare la testa alla povera giovane rimasta sola.
Camminò lenta, si guardava intorno spaesata. Gli occhi delle persone la puntavano come milioni di canne di fucili pronti ad annientarla da un momento all'altro. Si sentiva come nel quadro del Goya, in trappola, con le mani alzate, dei proiettili in procinto di penetrarle la carne e gli organi, fino a far sgorgare sangue nelle strade.
Qualcuno però, accerchiato dalle ombre di figure ammassate, come animali al macello, cominciò a vagare e a nascondersi, in modo da non essere riconosciuto, identificato da sguardi vispi, in mezzo a centinaia di corpi.

Un cappello rosso da giullare, per coprire i capelli, si muoveva lento, sommesso, testa bassa e schiena incurvata in modo da passare inosservato. Si trovava dall'altra parte della piazza, ma quelle due anime, magneti in collisione col nucleo terrestre, si stavano involontariamente avvicinando, come se sapessero già a cosa andavano in contro. L'inizio di un Big Bang da far esplodere anche l'universo stesso.
I rumori dei campanelli del berretto riempirono il sottofondo, da superare addirittura il brusio delle voci. Parole ovattate e prive di senso, da far perdere battiti al cuore di Matilde a causa del suo sangue impazzito; sentirlo scorrere velocemente tra canali microscopici si rivelò una musica soave, in mezzo ai trilli di flauti, rumori di corde e di tasti fisarmonici. Si guardava intorno e non riusciva a comprendere da dove provenisse lo strano suono. Il respiro corto la istigò ad andare avanti, più lei avanzava più il menestrello dall'altra parte, ignaro di ciò che lo attendeva, camminava verso la sua direzione. Cercava di non farsi notare e poter passare l'ultima notte della sua vita come una persona normale.
La stoffa gli pizzicava le tempie e dei rivoli di sudore imperlarono zigomi pieni di efelidi. Avrebbe voluto togliersela, ma aveva paura della reazione della gente nel vedere fiamme demoniache da riconoscerlo subito come il figlio di un errore, di un tradimento. Ormai tutti sapevano, nulla poteva cambiare le cose.

La sua anima ebbe un sussulto, come se avesse la sensazione di un paio d'occhi fissi su di lui. Alzò di poco la testa, ma dalla sua posizione non riusciva a vedere nessuno. Forse era solo la sua malata immaginazione, ma improvvisamente dei piedi veloci lo travolsero all'improvviso, scaraventandolo quasi a terra.
«Guarda dove vai, maledetto!» urlò il ragazzo, in una frazione di secondo il viso cangiante di Samaele si scontrò con occhi chiari come il mare in primavera. Rimasero a guardarsi per qualche secondo interdetti, come se si fossero già visti, ma il giovane era di fretta e non aveva tempo di stare dietro a un idiota vestito da saltimbanco. Se ne andò, lasciandolo al suo destino, mentre apriva la porta della panetteria a qualche metro di distanza.
I polmoni del rosso, divoratori insaziabili di aria, andarono in iperventilazione, come se la paura di essere scoperto fosse più forte di qualsiasi altro demone.

Dall'altra parte della piazza, una Matilde spaesata si incamminava verso i tavoli adibiti al torneo di gioco da tavolo. Cercava un compromesso per togliersi la strana sensazione rimasta intrappolata nella sua mente e nelle sue arterie, in modo da non far trasparire la sua vulnerabilità o sarebbe stata sbranata dalla massa stessa.
Ritornò in sé, non appena sentì gli incoraggiamenti di un uomo vestito da mercante, per attirare più gente possibile a partecipare e sfidare i più astuti già in gara. L'espressione incerta di Matilde ritornò impassibile di colpo. Voleva assecondare la sua voglia di mettersi alla prova, osservare ogni mossa e se fosse stato necessario, avrebbe partecipato.
Non rifiutava mai una vittoria così facile da raggiungere. Tutti troppo boriosi di se stessi, non potevano competere con la furbizia di un cervello in costante movimento.

Consisteva nel battersi a uno scontro di menti con le carte napoletane, armi potenti per sfregiare corpi e distruggere armature, due a due si battevano come cavalieri valorosi. Una ricostruzione ingegnosa e divertente dei combattimenti per conquistare la gloria. In finale, invece, andavano i sei più impavidi a sfidarsi nel tiro con l'arco: chi faceva più punti vinceva il torneo di spade.
Guardava con attenzione maniacale chi aveva già avviato uno scontro corpo a corpo e si avvicinò in un banchetto dove un ragazzo dalla possente stazza, si dilettava a prendere in giro tutti coloro che volevano provare a batterlo. Delle voci iniziarono a scorrere come fiumi nelle orecchie della ragazza; bisbigliavano di essere davanti al giocatore più forte, ancora imbattuto. Aveva vinto per tre anni di seguito, diventato una firma di quel posto sperduto tra le colline e la vegetazione.

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