«Scu-scusa.»
«Sta attenta a dove vai, nuova.»
«Ho un nome.»
«Anch’io e faresti bene a saperlo.»

La ragazza se ne andò non mancando di assestarle una spallata da cafona. In cuor suo Lena già la odiava, senza nemmeno conoscere il suo nome.

«Ehi, eccoti!» Rebbi le correva incontro, accompagnata da altre due donne. «Loro sono Maria e Sonia. Ragazze, lei è Lena.»

Entrambe le strinsero la mano, sorridendo gentili, ma lei era ancora troppo presa dalla sconosciuta stronza per calcolarle a dovere.

«Se hai fame vieni con noi. Sei in tempo per il pranzo» le disse Rebbi distogliendola dalla sua stizza.

Seguì le tre donne per i corridoi, una rampa di scale, in quello che sembrava un edificio abbandonato. Pezzi di mobili erano sparsi per il pavimento, sporco, ragnatele agghindavano i muri e l’intonaco alle pareti era rovinato. L’aria odorava di muffa e di stantio.

Almeno si era guardata un po’ intorno, pensò scacciando il pensiero che comunque non sapesse dove si trovava. Genna colorava le immagini tetre di quel posto mentre i passi suoi e delle tre accompagnatrici risuonavano nella luce fioca dell’ambiente.

Sbucarono in una grande sala che pareva adibita a mensa. Un grande tavolo capeggiava al centro con molte sedie e una panca di legno. Sparse per la sala altre sedie e poltroncine o panche solitarie e qualche piccolo tavolino rotondo. Lì un buon odore di zuppa di pomodoro aveva preso il posto della muffa e le sue narici vi si riempirono ricordandole l’ultima volta che aveva mangiato. Il suo stomaco brontolò e Lena rivide Genna e i due amici gustare soddisfatti gli ultimi panini al formaggio che avevano portato con sé.

“Genna…” Dov’era? Che fine aveva fatto?

«Accomodati pure dove vuoi, ma prima và pure a servirti lì.»
Rebbi le indicò una specie di cucina, in verità un insieme di diversi pezzi di mobilio messi assieme con molti angolo cottura. Da lì veniva il profumo.

«Grazie.» Rimandò a Rebbi un sorriso, poi si diresse alla cucina. Dietro un bancone una donna un po’ in carne rimestava con un cucchiaio di legno dentro una pentola. Senza degnarla di un’occhiata la donna prese un piatto - ne aveva una pila accanto - e lo riempì con una zuppa rossastra. Glielo porse senza tanti complimenti.

Lena sussurrò un grazie prendendo in mano il piatto, sentendosi un pesce fuor d’acqua. Si guardò intorno. I suoi occhi scorsero subito una figura lontana da tutti, in un angolo. Senza pensarci si avvicinò e si sedette su una panca disposta lungo la parete accanto a dove stava lui.

Cominciò a mangiare, assecondando lo stomaco brontolante e nel frattempo lo osservava. Maglione spesso di un paio di taglie in più, gambe asciutte in jeans anch'essi troppo larghi, un viso carino celato in parte da un ciuffo di capelli argentei. Era un colore di capelli parecchio strano. Immaginò facesse la tinta, ma dove la trovava? E chi avrebbe pensato di tingersi i capelli col caos che l’umanità stava affrontando? Com’era strano poi vedere capelli così poco curati, stopposi e disordinati e abiti malmessi in chi si faceva la tinta.

Mangiava distrattamente, senza guardare, i bocconi che percorrevano quasi da soli la strada per arrivare alla bocca, assorbita da tanta stranezza in una sola persona. Era anche certa però, che quel ragazzo fosse decisamente carino e un bollore nel basso ventre glielo confermò.

«Ehi, sei quella nuova?»

Quasi le cadde la cucchiaiata di zuppa dalla sopresa. Non pensava che qualcuno le avrebbe rivolto la parola. Era una ragazza, sulla trentina immaginò. I folti ricci a cavatappi di un naturale castano rossiccio, corti a caschetto, rendevano il volto candido ancora più arrotondato, nonostante fossero tenuti abbastanza indietro da orecchie troppo piccole. Occhi grandi con un lieve strabismo di venere la fissavano ridenti.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 18, 2022 ⏰

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