Sono ritornata a casa. La mia bambina è con me, nella sua culla, vicino al mio letto. Mi metto seduta e mi alzo, non sta piangendo, ma sento il bisogno di guardarla. Di osservare quel suo viso calmo, quegli occhi chiusi che non hanno ancora un colore definito. Saranno color miele come quelli di Akito oppure marroni come i miei? Quella boccuccia a cuore che stringe il piccolo pollice. Sorrido, scostandole il dito ed avvicinando il ciuccio. Non prenderci l'abitudine, però. I ciucci fanno male!
È ancora un po' più piccola del normale, ma i dottori hanno detto che crescerà senza problemi e che è fuori pericolo. Fortunatamente è nata soltanto un mese prima circa della data stimata del parto e non con più anticipo.
«Ha fame?» Sussurra Akito, svegliatosi.
«Shhh» Mi rimetto sotto le coperte e mi accoccolo sul suo corpo. «Avevo voglia di guardarla». Gli dico, prima di unire le nostre bocche in un piccolo bacio. Faccio scivolare le mie dita tra i suoi capelli, li rigiro, e li intreccio. «Da quanto ne sapevo io, esistono tanti barbieri a Tokyo».
«Mi stai dicendo che sono troppo lunghi?» Riunisce le nostre bocche ancora una volta. Tranne quando ho la mente completamente presa da mia figlia, io e Akito ci cerchiamo e ci troviamo. Non facciamo altro se non sentire il peso ed il tatto dell'altro tramite baci e carezze. Siamo a casa da poco, e dopo tutto il tempo che abbiamo trascorso separati, non possiamo far altro se non cercarci come falene che cercano la luce, anche a costo di farsi male.
«Direi di sì». Ridacchio sottovoce, non vorrei svegliarla ora che posso passare questi momenti con Akito. «Domani chiamerò la parrucchiera Onori*, va bene?»
Mi risponde strofinando il suo naso con il mio. Lo prendo per un sì.
«Sana...?»
«Mh?!»
Ancora, la sua bocca mi cerca, sembra quasi disperata e le sue braccia mi circondano le spalle. Scende lungo il collo, sulle spalle. Mi sposta il pigiama al fine di avere più pelle da baciare. Sospiro, mi mancava tutto questo. Mi mancavano i suoi baci, i suoi piccoli morsi, dolci, che non fanno male. Ho voglia di lui. Penso, con disperazione.
«Non si può, vero?» Lo sento pronunciare, allontanandosi un po' da me, come se fossi fuoco e si potesse scottare. La verità è che mi sento proprio di fuoco. Scotto. Forse ho la febbre.
«Già». Rispondo. «E penso che tu non voglia farmi male...» Non lo voglio nemmeno io, purtroppo. Non voglio dover correre in ospedale perché, per fare l'amore con mio marito, si sono staccati tutti i punti.
Lo sento sospirare e coprirsi gli occhi con un braccio. «È difficile». Si volta dall'altra parte, dandomi la schiena. «Torniamo a dormire». Dice perentorio, come se fosse offeso.
Lui fa l'offeso, eh?! Dopo tutto quello che mi ha fatto passare... Una rotella si sgancia dalla mia testa ed una risata malvagia nasce nella mia mente. Io sono stata Rapunzel ed il mio principe non è venuto a chiedermi di sciogliere la treccia... è arrivato quando tutto era già bello che fatto, bello che pronto...
Mi giro dalla sua stessa parte, circondando i suoi fianchi con il mio braccio. Gli accarezzo la pancia, il ventre, gli alzo un pochino la maglietta del pigiama e gioco delicata con i peli sotto il suo ombelico. «Mi sei mancato così tanto, amore». Gli sussurro sul collo, facendogli venire la pelle d'oca per la pelle a contatto con il mio fiato caldo. Lui non risponde rimane in silenzio. Si sta concentrando. La mia mano scende ancora un po', incontrando la sua intimità. La accarezzo piano, da sopra i boxer. Lo bacio sulla spalla, creando un sentiero invisibile sulla sua schiena, che dopo un po' inarca. Lo sento sospirare eccitato, anche se non si muove. «Ci sono altri modi, insomma... io posso...» Lascio cadere la frase, ma sono sicura che lui mi abbia compreso.
Annuisce. Si volta e unisce le nostre labbra. Gli sorrido, senza staccarmi dal suo corpo. Ci baciamo per un po', cercandoci con le dita, per sentirci più vicini.
Le carezze diventano via via più bramose, più nevrotiche dopo il tanto tempo nel quale siamo stati separati. Vorrei che il tempo si bloccasse in questo istante, per far sì che non mi debba separare. Ma non ho il potere di bloccare le lancette, anche rompendo tutti gli orologi analogici di casa di mammina. Non si può fermare il tempo.
Lo bacio ancora, ed ancora una volta sul naso. «Buonanotte, Akito». Sussurro sulle sue labbra, prima di voltargli la schiena - come prima lui ha fatto a me - e cercare di dormire.
Vorrei vedere la sua reazione, i suoi occhi, ma non posso. Non posso farlo. Lo sento grugnire alle mie spalle, però. Sembra quasi il ringhio di un lupo solitario, offeso nel non riuscire a conquistare la lupa alpha del branco. Ho bisogno di sonno, dopo questi pensieri. Decisamente.
Akito non si è difeso, non è passato al contrattacco, cercando di stuzzicare me. Alla fine abbiamo dormito. Al risveglio non lo trovo al mio fianco, però. Il pigiama è sulla sedia e penso che abbia deciso di andare a correre.
La bambina mi ha fatto fare quattro ore di sonno pulite. È ora della pappa. È sveglia, dentro la culla, sembra che mi stia aspettando, ma senza voler disturbare. «Sei proprio una brava bimba, eh?! Io ero invece rumorosissima!»
La prendo tra le mie braccia e mi preparo a seguire le istruzioni che mi hanno detto all'ospedale. Ci sto prendendo sempre più mano ed è strano pensare che una creatura vive e cresce grazie a me, e solo a me.
Avida, si attacca alla mammella nell'esatto istante nel quale Akito entra in camera. È andato a correre visto il sudore che gli corre lungo il viso.
«Che ingiustizia». Mugugna, prima di avviarsi verso il bagno.
Faccio finta di nulla, ma ridacchio tra me e me. «Amore, non ti asciugare i capelli che dopo te li taglio!» Si chiude la porta del bagno dietro, senza rispondere.
«Sai, piccolina mia, la mamma stanotte ha fatto uno scherzetto a papà. Penso che un po' se la sia presa, ma la mamma si è divertita». Le accarezzo i capelli rossi sulla sua testolina. «No, non posso dirti che scherzo gli ho fatto. Forse te lo dirò quando sarai molto più grande».
La stacco da me e la porto sulla mia spalla. «Ora fai il ruttino». Le batto piano piano sulla schiena. «Mi raccomando. Ho detto ruttino, non vomitino». Continuo, alzandomi in piedi. Speriamo che questa volta mi dia retta. Non come l'altra volta che, cercando di farle fare il ruttino ho sporcato soltanto il mio letto - e Akito che stava dormendo - perché non mi sono alzata in piedi.
Non me lo aspettavo. Dopo mangiato si fa il ruttino, non si dovrebbe vomitare tutto.
Mi dà retta, e a parte un piccolo rigurgitino che mi ha sporcato poco poco, è andato tutto bene. La rimetto nella culla e comincio a cantare una ninnananna. Dormi, amore di mamma. La copro con la copertina e le accarezzo la fronte. «Facciamo un altro dispettuccio a papà visto che è stato cattivo? Che dici se, per sbaglio, gli taglio malissimo i capelli?» Le domando, come se potesse capirmi. Lei volta gli occhietti pieni di sonno verso di me. Li chiude piano, prima di sprofondare in un sogno che spero sia contornato di bellissimi colori e di bellissimi sogni. «Hai ragione, poi dopo ci dobbiamo stare noi con lui, ed anche l'occhio vuole la sua parte».
Preparo una sedia in mezzo alla stanza, lo specchio davanti e un asciugamano da mettergli sulle spalle. Non so se per quale motivo io l'abbia fatto - forse per ripicca, per paura che potesse provare a tagliarsi i capelli da solo - ma ho tutte le forbici da parrucchiere qui da mamma, che ho portato via da casa nostra la sera in cui gli ho detto che ero rimasta incinta.
Sembra passata una vita intera. Non soltanto otto mesi. Il tempo che abbiamo trascorso separati, anche se io avevo lei con me a tenermi compagnia, sembra infinito. Anni, non mesi.
Eppure adesso, sembra così normale essere di nuovo insieme. Senza paura. Senza alcun rancore. Be', magari soltanto un pochino, ma ormai mi sono vendicata questa notte, quindi è tutto dimenticato.
«Pronto?» Questa volta non c'è nessuna ecografia da vedere, ma il mio pronto mi ha fatto tornare alla mente quel momento. Se gli avessi dato retta - cosa che non avrei mai potuto fare - a quest'ora la mia bambina non sarebbe lì, vicino al mio letto, nella mia culla. Soltanto il pensiero mi fa stare male. Singhiozzo, senza volerlo ed Akito, adesso, è subito vicino a me. Mi accarezza una guancia, i capelli. Rimane in silenzio però, facendomi soltanto sentire la sua presenza.
«Scusa». Dico. «Forse ci sono ancora ormoni in circolo...» Mento, perché questo pianto non è dettato da nessun ormone.
«Lo dovrei dire io, non l'ho ancora fatto». Mi accarezza ancora la guancia, piano, come se potesse farmi male. Non sono fatta di cristallo, Akito. «Altri sensi di colpa che... ti ho divorato ancora il sorriso... Io...»
Gli tappo la bocca con un dito. Nego con la testa. «Non importa».
«Importa, invece».
«No!» Esclamo. Forse a voce troppo alta, mi giro verso la bimba, ma continua a dormire. Menomale. «Non te ne ho mai fatto una colpa, Akito. Mai. Pensavo semplicemente che... che l'avessi superato... che non pensassi che il karma dovesse punirti». Faccio una pausa. «Le cose accadono. Non è colpa di nessuno. L'importante è superarle. Insieme. Io e te. E da oggi io, te e la bambina. Succederanno tantissime altre cose, per lo più bellissime, ne sono sicura, ma potrebbero esserci degli ostacoli. Non fuggire. Accettali».
Rimane un attimo in silenzio, Akito. «Me l'hai già detto...»
«A quanto pare hai costantemente bisogno di una ripassata». Rispondo, indicandogli la sedia. «Ora, seduto».
Lui non se lo fa ripetere due volte, sconfitto. Le spalle ricurve ne sono la prova. «E non sentirti in colpa, ok? Alla fine i bambini si fanno in due». Gli accarezzo i capelli bagnati per sentirne la consistenza. Mi piace questa sensazione, l'umidità dei suoi capelli a contatto con la mia pelle. La prossima volta chiedo a mammina di guardarmi la bimba, ho voglia di fare il bagno con mio marito e massaggiargli il cuoio capelluto. Mi sei mancato tanto.
Gli spazzolo i capelli, e le forbici tagliano i ciuffi di capelli troppo lunghi. Akito si era impuntato tanto, anni fa, dopo che ho girato quel film. Voleva che fossi io e soltanto io a tagliargli i capelli. Soltanto io potevo toccarlo.
Avevo trascorso più di un mese a lavorare come parrucchiera, tra corsi, manichini su cui esercitarsi e poi persone vere, per prepararmi al film "Giocatore letale" dove ero una parrucchiera ninja.
Taglio, taglio ancora. Non avevo mai tagliato così tanto, così a lungo. Akito non emette un fiato. Io, concentrata, nemmeno. «Spero di non aver perso la mano, ormai sono...» Mi blocco.
«Otto mesi che non li taglio». Conclude lui per me, senza alcun tipo di intonazione.
«Già». Gli tolgo l'asciugamano dalle spalle. «Ora sei di nuovo l'Akito Hayama che conosco». Gli sorrido e deposito un bacio sui suoi capelli. «Ora li puoi asciugare».
Akito si alza e, come un lupo o un cane, si sgrulla. «Animale». Sussurro, raccogliendo i capelli da terra.
Si avvicina, fermando il mio lavoro, tenendomi ferma un polso. Lo guardo, e ha lo stesso sguardo concentrato ed ipnotico che ogni tanto utilizza su di me. Ci mette un po' a trovare la parole, e non ho bisogno del traduttore di quando era bambino, perché ormai lo capisco anche senza. «Grazie». E dentro quel grazie ci sono tante altre parole: Grazie per avermi tagliato i capelli. Grazie per avermi capito. Grazie per avermi atteso. Grazie per non portare rancore. Grazie di avermi donato la bambina. Perché lo vedo, da come la guarda, da come la culla, da come le parla, che ne è follemente innamorato.
Gli sorrido. «Di nulla». Non abbiamo bisogno di altre parole, ci bastano queste per esprimere tutto quello che sentiamo.
* Sarebbe il personaggio che ha interpretato Sana di cui parlano i personaggi di Honey Bitter dopo il loro primo incontro con Sana. E nel manga successivamente viene detto che è Sana che taglia i capelli ad Akito.
STAI LEGGENDO
Please
Fanfiction[STORIA COMPLETA] Please arriva per caso e per fortuna, un treno ad alta velocità nella nostra quotidianità. Sono arrivate fic inizialmente indipendenti ma che nascevano l'una sulla scia dell'altra. Stavamo raccontando i mesi della gravidanza di San...