Moon

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Non fu semplice addormentarmi quella sera, fremente com'ero all'idea di scoprire cosa frullasse nella testa di Eren. Sembrava euforico da quando ero andato a prenderlo alla stazione quel pomeriggio nella speranza di fargli una sorpresa gradita e appena mi aveva visto, nonostante l'espressione stanca e le leggere borse sotto gli occhi, il volto gli si era illuminato e mi era corso incontro per poi baciarmi in mezzo al via vai dell'ora di punta. Eravamo rimasti abbracciati per un lasso di tempo indefinito, incuranti delle persone intorno a noi, che spingevano o si soffermavano a sputare qualche insulto fuori dal denti perché "non avete un altro posto per andare a sbaciucchiarvi?". E avevamo riso sentendoli, decisi a non spostarci di lì se non quando l'avessimo deciso noi.
Eravamo tornati a casa a piedi, mano nella mano, soffermandoci di tanto in tanto a osservare il fiume da un ponte o le prime luci del tramonto riflesse sulle vetrine, quando mi ero fermato a osservare il bellissimo pupazzo di una pecora davanti a un negozio di giocattoli. Non era una pecora qualunque, come mi aveva spiegato Eren, ma era la tipica pecora irlandese, con muso, orecchie e zampe nere invece che bianche. Avevo sorriso quando mi aveva detto che sull'isola erano presenti più pecore che persone, chiedendogli se anche questa fosse un'informazione che aveva condiviso con me per fare colpo, come aveva fatto con i ponti di Calatrava qualche sera prima.

- No, questa è una cosa risaputa qui in Irlanda! - mi aveva risposto come fosse un fatto scontato, scacciando l'aria con la mano e guardandomi come se provenissi da un altro pianeta. Cosa che non era poi così lontana dalla realtà, a ben pensarci.

Anche durante il concerto la sera stessa Eren non aveva abbandonato la sua aria determinata, non aveva sbagliato un accordo e per tutta la durata dello spettacolo aveva mantenuto lo sguardo fisso nella direzione in cui mi trovavo io, quasi volesse dedicarmi ogni nota prodotta dalle sue dita che correvano sul manico della chitarra.
E una volta in camera, dopo avermi promesso di rapirmi, si era addormentato accanto a me come un bambino. Avevo quasi avuto l'impressione che nascondesse un sorriso quando si era rifugiato tra l'incavo della mia spalla e il cuscino.
Mi ero trovato ad attorcigliare sovrappensiero le dita tra i suoi capelli, gesto che lentamente mi aveva portato ad addormentarmi cullato dal profumo del suo shampoo al cocco.
      
      
Fui svegliato dall'aria fredda che filtrò dalle finestre spalancate all'improvviso e che mi colpì in pieno volto.

- Eren, sei impazzito?! - dissi al ragazzo che si stava fiondando nuovamente sotto le coperte.
- Che ore sono? - gli chiesi, ficcando tutta la testa sotto il piumone: se questo era il modo in cui aveva intenzione di iniziare la nostra giornata, sicuramente era partito con il piede sbagliato.

- È l'ora giusta per andare a vedere l'alba! -

Lo guardai da uno spiraglio tra le lenzuola: - E perché sei tornato a letto? -

- Per questo - rispose Eren un attimo prima di farmi il solletico sui fianchi, probabilmente con l'intento di svegliarmi del tutto e convincermi a scendere dal letto, ed ebbe anche la faccia tosta di dirmi di fare silenzio per evitare di svegliare gli altri.
Ammetto che mi sarei aspettato tutto un altro tipo di risveglio, condito con baci, coccole e magari una bella colazione a letto. Ma dopo pochi secondi mi trovai con i piedi nudi sul pavimento freddo a cercare una felpa per ripararmi dal gelo che aveva ormai invaso la stanza.
Eren mi ordinò di fare in fretta e gli diedi ascolto, dal momento che non mi sarei perso per niente al mondo quello che sarebbe successo da quel momento in poi: mi lavai in fretta e furia, tirai fuori dall'armadio dei vestiti un po' più pesanti e in meno di venti minuti eravamo fuori casa.
Gli chiesi perché si fosse portato dietro la chitarra, ma come al solito fece il misterioso e io rimasi sulle spine a ipotizzare cosa diavolo avesse in mente.

Raggiungemmo la stazione a piedi, camminando di buon passo per contrastare l'aria fresca che soffiava prima che sorgesse il sole. A quell'ora il binario era quasi del tutto vuoto, così come il treno. Ci sedemmo vicini ed Eren mi prese la mano, mentre io mi persi a studiare il panorama che correva davanti ai nostri occhi in continuo cambiamento.
Le primissime luci dell'alba fecero capolino in mezzo alle case e alla campagna quando mancavano pochi minuti all'arrivo a destinazione, l'ultima fermata, un villaggio con tanto di porto e barche attraccate ai moli.

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