Capitolo 7

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Ieri io e Jace non ci siamo visti perché lui doveva andare a fare una diagnosi al braccio e io i soliti prelievi. Per fortuna oggi siamo entrambi liberi quindi non ha senso incontranci all'ospedale, allora gli ho detto di venire a casa mia. Dopo aver nascosto tutta la biancheria sotto al letto e in cassetti vari, mi faccio una doccia rinfrescante. Quando esco mi vesto subito perché sento freddo anche se è una bellissima giornata di sole. Siamo a Giugno e qui a New York ci si sfiata di caldo. Suona il campanello e scendo di corsa al piano di sotto. Iniziano a bruciare i polmoni quindi rallento immediatamente, quando sono sull'ultimo gradino, vedo che alla porta c'è già mia madre. -Tu sei il famoso Jace, Isabel non ha fatto altro che parlare di te in questi due giorni- -Davvero?- dice guardandomi negli occhi. Stavo per rispondere io ma mia mamma mi anticipa -Si, volevo conoscerti. Perché non andate in giardino? Vi porto delle spremute d'arancia ma tu, Jace, devi aiutarmi a prendere lo spremiagrumi che non ci arrivo- -Certamente, signora Grace- risponde lui con una voce gentile e cortese -Ti aspetto in giardino- dico io a lui mentre esco. Il sole mi riscalda subito la pelle. Preferisco mille volte una giornata di sole ad una giornata di pioggia, sarà perchè il sole mi fa pensare alla serenità e alle vacanze mentre alla pioggia si collocano immediatamente immagini tristi, come i temporali e il buio. Il giardino di casa mia non è molto ampio ma neanche un' aiuola. Verso la recinzione è piantato il mio amatissimo albero, la mia quercia. Ha 16 anni, proprio come me. E' stato un regalo di papà, prima che nascessi ha voluto piantare questa quercia esattamente qualche metro prima della recinzione, così si sporge per metà anche sulla pineta che c'è di fronte casa mia. Appesa, ad un ramo solido e pieno di foglie, c'è la mia amata altalena. E' leggermente rovinata sulle corde ma sembra abbastanza solida. Da piccola arrivavo quasi in cima alla punta dell' albero per quanto mi spingevo in alto, ma da quando ho il cancro, i dottori dicono che non posso sforzare in questo modo i miei polmoni. Torna Jace insieme a mia mamma con un vassoio contenente due grandi bicchieri pieni di succo d'arancia rossa e fresca. -Hai tolto la polpa? Sai che la odio- dico subito allarmante, godendomi il viso esasperato di mia mamma. -Si, Isabel- poi si rivolge a Jace -Devi sapere che la tua bella amichetta è molto viziata e schifignosa...- poi se ne va con una smorfia rivolta a me e la lingua di fuori. -Ci avete messo un po', con quali terribili discorsi ti ha annoiato?- lui non rise. Era una delle poche volte in cui lo vedevo davvero serio. Mi siedo sull' erba e assaporo la mia spremuta. Lui mi si siede accanto. -Non ci credo- dice lui interrompendo il silenzio. -A cosa non credi?- gli rispondo io confusa. -Non credo al fatto che tu non piangi da quando hai 11 anni, è impossibile- adesso il suo tono di voce aveva assunto una nota ironica. -Perchè dovrebbe essere impossibile?- -Perchè piangere è la cosa più naturale del mondo, soprattutto per una ragazza... devi aver pianto per... non so... sei caduta, ti sei sbucciata il gomito...- aveva il solito sguardo di quando parla di un argomento che lo fa riflettere, lo fa ragionare... i suo grandi occhi color nocciola, con la luce del sole erano diventati color oro. Oro. Io adoro l'oro. -Non ho versato una lacrima da quando...- Jace distoglie lo sguardo. Poi mi interrompe e dice:-Si, lo so... da quando hai visto fare a pezzi il tuo ricordo di tuo padre. Il tuo unico ricordo. Me lo ha detto tua madre- -Beh mia mamma si sbaglia, adesso l'unico ricordo di mio padre è quella quercia...- improvvisamente mi sentii un' ondata di tristezza. Pensare a mio padre faceva male, perciò cambio velocemente l'argomento. -Tu invece? Quando hai pianto l'ultima volta?- lui scoppiò in una fragorosa risata -Sta mattina, perchè mia mamma è andata a lavoro senza farmi i pancake!- non riesco a trattenere le risate quindi lui disse:-Non rideresti così se assaggiassi i pancake di mia madre!- anche lui si mise a ridere. -Una volta ho pianto perchè pensando fosse sabato, ed era venerdì, mi sono perso la puntata del Mondo di Patty- a quelle parole mi stesi a terra e mi tappai la bocca per impedirmi di ridergli in faccia, lui fece lo stesso e ci girammo e ci guardammo negli occhi. Siamo rimasti nella stessa posizione altri 2 minuti per essere sicuri che parlando non ci tornasse la ridarella. Poi distolgo lo sguardo e vedo che delle nuvole facevano capolinea nel cielo, coprendo il mio amatissimo sole. 

Una leggera nebbiolina appestava l'aria. Poi un pensiero stupido mi entra nella testa. Era davvero infantile ma morivo dalla voglia di farli quella domanda... -Le divine o le popolari?- lui distolse lo sguardo dalla collezione di cd che avevo in camera. Mi allontano dalla finestra di camera mia mi butto sul letto. Lui mi aveva sentita ma se lo fece ripetere:-Cosa hai detto?- sollevando gli occhi al cielo dico: -Hai detto che vedevi il Mondo di Patty, tifavi le divine o le popolari?- lui rimane un secondo a pensarci -Le popolari- si, era decisamente un tipo da poplari. -Io adoravo le divine, Antonella era il mio idolo, solo adesso che sono grande so con quanta cattiveria prendeva in giro le persone, le faceva soffrire ed era quello che volevo fare io con tutti- lui si allontana dalla mensola dei cd e si siede sulla sedia della scrivania. -Tu non puoi sapere cosa passano le altre persone, se hanno situazioni familiari difficili, situazioni di salute gravi che non sono evidenti, non puoi comportarti come se fossi superiore di lei o lui perchè non lo conosci. Non puoi neanche immaginare cosa passa la maggior parte delle persone, perchè non le conosci. Poi la gente si chiede come mai il ragazzino che neanche salutava si era suicidato. I ragazzini fumano a 12 anni e c'è la gente che lo fa per non pensare a niente, per togliersi lo stress, non per sentirsi grandi o "fighi" agli occhi degli altri. Non puoi sentirti bene facendo del male, soprattutto se lo hanno già fatto a te e sai come ci si può sentire. Non sono nessuno per fare questa ramanzina a te e probabilmente ti starai facendo idee diverse sul mio conto ma io avrei pagato oro per un discorso così quando avevo 14 anni. Andavo in giro a prendere in giro le persone solo per sentirmi accettato dal mio nuovo gruppo di amici. Poi, crescendo, mi sono accorto che ero diventato uno stronzo da una persona che era molto importante per me e che adesso non c'è più. Avrei voluto fargli capire che ero cambiato e che ero pentito ma non ne ho avuto modo- fece un lieve sospiro e poi sorrise vedendo il i miei occhi. Ero stanca. Ma volevo continuare a sentire la sua voce, era rassicurante, gentile, in qualche modo mi proteggeva... -Isabel, se ti sto facendo venire voglia di dormire mi dispiace...- il suo sorriso si era spento e mi fissava con gran preoccupazione. -Si, sono stanca ma non è colpa tua, mia mamma mi aveva dato una pasticca per dormire sta notte ma io lo presa prima che ci dessimo appuntamento qui, sono una stupida, lo so... ma non riuscirei comunque a dormire- lui sembrava rassicurato poi pre la sedia e si mise accanto al mio letto -Ti racconto una storia, così ti addormenti...- avrei pagato per sentire ancora la sua voce quindi annuii con un leggero movimento del capo e mi misi dentro le coperte. Riuscivo a sentire l'odore della pioggia. -Tu non sei i tuoi anni, nè la taglia che indossi, non sei il tuo peso o il colore dei tuoi capelli. Non sei il tuo nome, o le fossette sulle tue guance, sei tutti i libri che hai letto, e tutte le parole che dici, sei la tua voce assonnata al mattino e i sorrisi che provi a nascondere, sei la dolcezza della tua risata e ogni lacrima versata, sei le canzoni urlate così forte, quando sapevi di esser tutto solo, sei anche i posti in cui sei stato e il solo che davvero chiami casa, sei tutto ciò in cui credi e le persone a cui vuoi bene, sei le fotografie nella tua camera e il futuro che dipingi. Sei fatto di così tanta bellezza ma forse ciò ti sfugge da quando hai deciso di esser tutto quello che non sei. Questa fu la lettera che il padre di Jonathan scrisse al figlio prima del suo viaggio di lavoro dalla quale non fece più ritorno. Jonathan voleva rivederlo, voleva dirgli che si era pentito di tutto il dolore che aveva provocato alle altre persone... voleva fargli vedere che si era pentito e voleva ringraziarlo- Quando ha smesso di parlare, il mio cuore fa una capriola, e nella mia testa ritornarono in mente le parole di Jace ''Andavo in giro a prendere in giro le persone solo per sentirmi accettato dal mio nuovo gruppo di amici. Poi, crescendo, mi sono accorto che ero diventato uno stronzo da una persona che era molto importante per me e che adesso non c'è più. Avrei voluto fargli capire che ero cambiato e che ero pentito ma non ne ho avuto modo'' Era lui il ragazzo del racconto, era Jace, il Jonathan che aveva perso il padre. Ad un certo punto mi accorgo che non avevo più forze per aprire gli occhi che avevo chiuso e allora mi esce solo un leggero sussurro che lui non aveva sentito... -Jace, sei tu- Ma lui era già sulla porta. Cerco di aprire gli occhi ma la luce cede il posto al buio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 27, 2015 ⏰

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