ATTO III, SCENA II: Conclusione

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"Science is far from the objective and impartial search for incontrovertible truths that nonscientists might imagine. It is, in fact, a social endeavor where dominating personalities and disciples of often defunct yet influential scholars determine what is 'common knowledge.'"

Svante Paabo, Neanderthal Man, In Search of Lost Genomes

Hermione

Alla fine avevano deciso per l'ufficio di lui, nonostante gli scheletri, dato che lei condivideva il suo e volevano cercare di evitare di essere interrotti. Lei acconsentì persino a prendere l'ascensore, non essendo particolarmente interessata a prolungare maggiormente il loro viaggio fino al quinto piano.

In effetti, non le sarebbe dispiaciuto aggiungere gli ascensori alla sua routine quotidiana se avessero comportato un tale contatto su base regolare.

Hermione non era mai stata così infuriata e irritata nel baciare qualcuno in tutta la sua vita. E non ne aveva anocra avuto abbastanza. Ogni volta che i loro baci raggiungevano l'apice, il massimo della tensione e della beatitudine e qualcosa di caldo in maniera preoccupante al centro del suo petto, lui si allontanava, lasciava cadere piccoli baci appena accennati sul suo collo e poi la stuzzicava con la punta delle dita che le torcevano ciocche di capelli o tracciavano la forma della sua bocca. Lui si tirava indietro, creava spazio, e poi li riuniva di nuovo in quello che divenne sia il migliore sia il peggiore viaggio in ascensore della sua vita. Le sue fidate scale non l'avevano mai torturata in quel modo.

Quando raggiunsero il suo ufficio, la porta si chiuse con troppa forza, lui la spinse contro i suoi scaffali, file su file di libri e ossa e a lei non dispiacque minimamente. Non quando una delle mani di lui aveva cominciato a scivolare lungo il lato della camicetta di lei, facendole venire i brividi lungo la spina dorsale mentre toccava le costole, e la vita, e i fianchi.

«Per essere chiari,» mormorò, la bocca premuta contro la sua, le parole pronunciate direttamente nel suo essere. «Sei fottutamente brillante.»

Lei si inclinò contro di lui, i fianchi che cercavano l'attrito nel vuoto dello spazio. Lei gli morse il labbro, probabilmente troppo forte, assaporando il suo sibilo mentre la sua mano sulla vita la faceva sussultare contro di lui.

«Tu sei brillante,» disse lei, trascinando le mani lungo la superficie del suo petto. Gli scienziati non erano fatti per essere così in forma. «Puoi leggere la storia di una persona in una serie di quattro piccole lettere.» Lei finì a malapena la frase, il respiro le si bloccò quando le dita di lui trovarono la sua pelle sotto l'orlo della camicia, piccole eruzioni di elettricità che le scossero sotto la pelle.

«Ne sai qualcosa di DNA, vero?» chiese lui, il suo alito che si accostava caldo alle sue guance, tanto parte della sua biologia quanto la sua. Lei mise a tacere il suo sarcasmo con un bacio, una mano che trovava la mascella di lui per costringerlo a concentrarsi, per bloccare il suo vagabondaggio stuzzicante.

Anche così riusciva a sentire le parole soffocate tra le loro labbra, qualsiasi cosa lui volesse o avesse bisogno di dire bloccata tra loro mentre lei cercava soluzioni alla sua improvvisa voracità in qualsiasi scienza dell'attrazione lui intendesse offrire.

«Hai intenzione di parlare di quanto siamo brillanti o andiamo al punto?» chiese infine, nell'assenza di tocco necessaria per riossigenare i polmoni; una piccola tregua dai baci deliziosi e insistenti.

Lui sorrise, ampio e lupesco, un brivido così primitivo che quasi dimenticò la base della sua attrazione, tanto per cominciare. Per un momento, il suo argomento quasi vinse, un punto per gli impulsi biologici codificati nel suo DNA.

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