• Questioni di (s)fortuna

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«Io non ci posso credere.»
«Cosa?»
«Porti davvero sfiga.»

Alice fa per sfilarsi le Louboutin in vernice, l'acquisto scellerato che perseguita la sua coscienza da qualche giorno, impugnando alla velocità della luce il tacco sinistro.
Precipitosamente vicino al suo volto, Claudio sembra quasi arretrare mentre è alla guida della sua preziosissima macchina. 

«Ti tiro un tacco, Claudio. E comunque mi pare che tu ne sia sempre uscito immune sinora.»
Lui la osserva un sol secondo, dopodiché torna a fissare la strada trafficata.
«Immune immune non proprio...» Claudio si sfiora il fianco, ricordando i fasti dei tempi.
«Un banale taglio che si è risolto con alcuni punti» obietta Alice, riponendo l'arma nella fittizia fondina. 
«Dodici.»
«Le donne quando partoriscono sentono più dolore. Te lo assicuro.»

Colpito e affondato, Claudio Conforti non osa proferir parola quando si tratta della sua stessa prole. 
Nulla lo convincerà, in ogni caso, che Alice non porti sfortuna almeno un po'. 
Alle ore 23:00 di un grigio martedì sera, in procinto di andare a letto dopo un buon bicchiere di vino e dopo aver messo a letto i pargoli, Claudio ha ricevuto la chiamata che non avrebbe mai voluto ricevere (ma della quale non può dirsi del tutto stupito, conoscendola). 

Solo qualche ora prima sua moglie era uscita tutta arzilla e ben preparata, tirando fuori indumenti che stavano iniziando a prendere polvere dall'armadio, millantando meraviglie sulla fantastica girls night che avrebbe trascorso in compagnia delle amiche di sempre. 
Girls night con delitto, è il caso di dirlo.
Potrebbe persino essere il titolo del prossimo thriller al femminile in uscita nei cinema. 
Quando la Stazione di Polizia lo aveva avvisato del suddetto omicidio, Claudio aveva pensato letteralmente a tutto – tutta la sua, la loro, vita gli era passata davanti in un batter d'occhio. 
Poi, entrando nella Centrale, l'aveva vista confabulare con i poliziotti per saperne di più a proposito dell'omicidio e per presentare le sue competenze in campo medico, ovviamente. 
Claudio si era passato una mano sul volto, entrando nella stanza al grido di: «Certe cose non cambiano mai.»

Sono stati letteralmente un'ora e mezza in Centrale, il tempo di raccogliere le testimonianze e offrire un quadro generale della situazione, con tanto di contatti. 
Due ore in cui Claudio aveva dovuto allertare i rinforzi, ossia la baby sitter last minute in notturna, e si era dovuto precipitare in maniera alquanto spaventata alla velocità della luce, salvo poi constatare che Alice stava una favola.
Anzi, era proprio nel suo elemento naturale, mentre lui si era sentito tramortito fino a qualche secondo prima.

«Mica è colpa mia se le persone muoiono nei bar in cui vado.»
«Anche Jessica Fletcher lo diceva.»
Claudio si ferma ad un semaforo, la luce artificiale lampeggia sul parabrezza e in questo clima di snervante attesa, o almeno così pare loro, il silenzio è un vuoto che pesa più che mai. 
«Non capisco perché sei così arrabbiato per un... inconveniente.»
«Perché poteva andare diversamente.»
Ecco, lo ha detto.
Alice gli sfiora la guancia con le dita affusolate e anche un po' tremanti. Lui le raccoglie nel suo palmo, quasi soffiandovi sopra per donarle calore.
«Hai avuto paura?»


Claudio annuisce, rendendosi conto che questi momenti intimi lo spiazzano ancora, pur dopo tanti anni.
Intanto, ora è una luce verdognola a lampeggiare sul parabrezza nel cuore della notte ed è un escamotage emotivo quasi salvifico, poiché gli permette di trovare una fuga.
Alice riempie quel silenzio con le sue conturbanti illazioni, facendo dei collegamenti che Dio solo sa come avrà scoperto in Centrale o da quale malcapitato poliziotto le avrà mai elargite.
Fatto sta che vederla così vispa quasi gli fa tenerezza, ultimamente le ricerche si rincorrono in Istituto e le sue collaborazioni con l'investigativa son passate in secondo piano.


«Ad ogni modo, questa è la mia teoria. Che ne pensi?»
«Penso che dovresti ripensarci e farti assumere.»

Claudio chiude con due click la macchina, Alice lo segue tenendosi un lembo del vestito in una mano e prendendolo sottobraccio con l'altra, mimando un'espressione di sofferenza.
Ancor più sofferente dell'improponibile smorfia che ha fatto quando ha comprato quel paio di esclusivissime, scontatissime (a detta della commerciante) scarpe e ha dovuto strisciare la carta, assistendo all'improponibile cifra sul POS. 

«E poi chi ti darebbe il tormento?»
Claudio si ferma sugli scalini del garage, mantiene saldamente tra le dita le chiavi, ma non osa indugiare oltre. 
«Be'?» 
«La baby sitter l'abbiamo pagata all'ora.»
«Sì.»
Alice annuisce, se c'è un sottinteso non le è particolarmente chiaro all'una di mattina inoltrata. 
«E allora sfruttiamola questa ora.»
Claudio ripone le chiavi nel taschino, le appoggia la giacca sulle spalle nude e la circonda con le braccia, dondolandola in uno strambo, eppur intenso, abbraccio.
«Così, nel garage?»
Alice si sente avviluppata in quell'abbraccio, le sembra quasi che stiano danzando. 
E non è che importi molto, in fondo, il luogo fisico in cui avviene quella scena — si tratta di loro, nella maniera più spontanea e indissolubile possibile, e tanto basta.
Claudio poggia la fronte sulla sua, osservandola con quei suoi occhi profondi: «Così, nel garage.»



Ieri, oggi, domaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora