Quarto Appuntamento

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Louis

Non entrare nel panico, domani raccontami tutto. X

Forse aver parlato con Zayn era stato un male. Ero decisamente agitato, non avevo idea di cosa fare, di cosa pensare, di come agire. Erano almeno due giorni che ci pensavo, che non facevo altro che mettere insieme delle opzioni e poi scartarle improvvisamente. Era decisamente una tortura. Forse lui mi conosceva un po' meglio, perché glie ne avevo dato la possibilità, ma lui? Io lo conoscevo? Ma soprattutto, sarei stato in grado di organizzare qualcosa alla sua altezza. Strinsi le labbra e mi sedetti sul divano, ero stato un idiota ad invitarlo in fretta, fra poche ore sarebbe stato in casa mia e non avevo idea di cosa fare. Mi passai stancamente una mano sul viso e mi guardai attorno. Per fortuna avevo dato una sistemata alla casa, tolto di mezzo i vestiti sporchi, le stoviglie lasciate a marcire e la polvere di troppo. Da quando avevo perso il lavoro non avevo più una domestica e avrei dovuto farcela con le mie sole forze. Alzai lo sguardo sull'orologio piatto alla parete accorgendomi che mancava relativamente molto poco al suo arrivo. Mi morsi le labbra e scattai in piedi girovagando per le varie stanze in cerca di idee. Alla fine decisi di seguire il consiglio di Zayn: una tavola imbandita e tanto cibo. Estrassi dal cassetto delle candele profumate e una tovaglia sobria cercando di sistemare al meglio. C'era qualcosa che non andava in quella idea, Zayn l'aveva organizzata per il suo Liam, per il suo ragazzo, ma io? Io ed Harry non eravamo niente, almeno non ancora. Quelle candele profumate non erano di troppo? Non erano un esagerazione? In uno scatto le afferrai e le poggiai sul ripiano della cucina fissandole, erano bianche ma profumate di aromi a me sconosciuti. In un altro scatto le afferrai e le riposi al centro del tavolo, le fissai ancora trovandole di troppo. Come un pazzo isterico afferrai una sola candela togliendola. Quell'unica e solitaria candela bianca sembrava un ottimo compromesso. Ne troppo né troppo poco, andava bene, no? Sbuffai, “che cazzo, che Dio ti maledica Harry Styles”, mi gettai in terra già stanco dell'organizzazione. Era così che si sentiva Harry quando pensava ad un appuntamento con me? O le cose che faceva erano spontanee? Sibilai l'ennesima imprecazione alzandomi in piedi per poter cercare qualche posata, dei bicchieri e chissà che altro. Mi ritrovai a vagare per l'appartamento come un fantasma. Non avevo mai avuto bisogno di troppe cose, mi erano sempre bastati due piatti e due bicchieri in plastica, niente di che per le mie cene solitarie o qualcuna passata con Zayn. Ripensando a lui mi venne in mente di chiamare una pizzeria d'asporto, andava bene no? Nessun tipo d'impegno, giusto? Mi presi altri cinque minuti a schiaffeggiarmi mentalmente per poi comporre il numero e ordinare degli antipasti, per le pizze ci avremmo pensato dopo. Quando riuscii a trovare un po' di pace, mi guardai attorno decidendo di fare una velocissima doccia. Mi posi di fronte l'armadio cercando di capire quale abbigliamento fosse consono per una serata del genere. Alla fine mi arresi di fronte ad una canotta nera e degli skinny jeans dello stesso colore. Mi vestii in fretta cercando di dare un senso ai capelli, che trovarono pace solamente non appena li pettinai all'indietro. Mi osservai attentamente, forse avevo troppa barba. Feci una smorfia allo specchio decidendo di raderla almeno un po', in superficie. Quando finalmente m'improfumai tornai in cucina osservando quella tavola spoglia. Improvvisamente sentii il richiamo della seconda candela ancora sul ripiano della cucina. Dovevo mettere anche quella. L'impugnai saldamente, togliendola e mettendola dalla tavola per almeno dieci volte tutte in fila. Stavo diventando pazzo. Sbuffai alla fine mollandola sul tavolo assieme all'altra, con l'indecisione a spaccarmi lo stomaco. Possibile che il problema fosse quella candela? Quando mi accorsi dell'orario strabuzzai gli occhi e mi precipitai ad accenderle. Rimasi a contemplare l'ambiente per un paio di minuti, sentendo l'odore buonissimo ristorare l'aria della stanza. Mi sentii il cuore più leggero, ma durò davvero molto poco, perché il campanello suonò poco dopo. Scossi la testa, mi fissai allo specchio del corridoio e aprii. “Ehilà”, feci. Mi soffermai un secondo ad osservare il suo abbigliamento. Era bellissimo, stretto nei soliti skinny neri, una T- shirt bianca e una camicia senza maniche, lasciata aperta sopra. Deglutii, rendendomi conto dei suoi capelli. Era uno spettacolo eccitante, davvero. Quella bandana a tenere fermi i suoi capelli erano una delle peggiori e migliori cose che avessi mai visto. Il desiderio prese subito posto all'ansia. Mi sarebbe tanto piaciuto afferrarlo per i capelli e trascinarlo in camera da letto. “Che buon odore” alzò il naso verso l'alto chiudendo gli occhi per potersi godere quel dolce profumo, proveniente dalle candele. Mi bloccai, perché dannazione il suo di profumo mi fece perdere la testa. Con una mano lo invitai ad entrare e solo poco dopo mi accorsi di un pacchetto fra le mani. “Cos'è?” gli feci un sorriso e mi seguì in cucina, superandomi e aprendo il freezer per poterci mettere dentro il sacchetto. “Una torta”, sorrise semplicemente prima di pararmisi di fronte ed osservarmi con un occhio molto critico. Per un secondo pensai di aver sbagliato scelta di vestiti, ma erano i soliti che portavo tutti i giorni ormai; senza volerlo mi passai una mano sulla mascella, magari mi preferiva con la barba? O del tutto senza? “Stai molto bene” e il mio cuore s'acquietò immediatamente, tirando quasi un sospiro di sollievo. Sorrisi decisamente più rilassato, ero in ansia e molto nervoso. Era imbarazzante, ogni nostro incontro lo era, eppure a fine serata finivamo sempre per metterci in situazione fraintendibili e decisamente intrise di passione. “Anche tu”, mi leccai le labbra spostandomi dentro alla cucina. “Ti va bene la pizza, vero?”, chiesi alla fine. Rise senza nemmeno preoccuparsi facendomi imbronciare. “Critichi me ma....” e rise ancora, facendomi fare una smorfia di fastidio. Possibile che non riuscissi a fare una cosa giusta? Incrociai le braccia al petto osservandolo, fino a che non smise di ridere e con ancora le labbra piegate verso l'alto mi sbatté le ciglia angelicamente. “Certo che sì, idiota” fece alla fine, spostandosi sul divano. Scossi la testa e afferrai il cellulare per poter fare la telefonata. “Che gusto?”, parve pensarci un po' alla fine optò per una delle più semplici. Mi spostai verso il salotto per poter fare la telefonata, sbrigandomi. Ero impaziente di stare in sua compagnia. Anche se fosse stato imbarazzante, a me bastava essere nella stessa stanza. “Arriveranno fra mezz'ora”, esordi ritornando in cucina. Mi appollaiai sul divano al suo fianco, facendogli un sorriso. Ero felce di vederlo dopo due giorni. Era così bello e così cambiato da farmi stringere lo stomaco. Mi soffermai fin troppo ad osservare il suo profilo, fino a che non mi beccò e mi sorrise come un ragazzino. “Sei inquietante” mi fece sapere ridendo leggero. E dannazione, quelle sue fossette e quei denti bianchi erano un mix ottimo per farmi uscire fuori di testa. Era bellissimo, con quegli occhi verdi a risplendere dentro ai miei. “Anche il tuo sorriso lo è”, feci una smorfia perché non era per niente vero. Ma provocarlo mi divertiva e vederlo ridere -come fece in quel momento- mi piaceva da morire. “Mi hanno detto di tutto sul mio sorriso, ma mai che è inquietante” si morse le labbra ed io sentii una strana voglia di avvicinarmi e baciarlo. Desideravo quelle labbra da morire, desideravo morirci e rinascerci sopra. Ci avrei passato le notti e le mattine, le avrei assaggiate e sfiorate in continuazione, perché ero sicuro che non ci fosse niente di più buono e bello. “C'è sempre una prima volta”, lo stuzzicai. In quel preciso istante avrei voluto chiedergli che diamine avessero le altre persone, -o ragazze, mi ricordò il mio cervello- avessero da dire sul suo sorriso. Ero così geloso da storcere le labbra. “Stasera hai voglia di provocare?” alzò le sopracciglia leccandosi le labbra e sapevo bene quanto gli piacesse quello strano gioco. Era un provocatore nato, ma sapevo bene quanto perverso fosse il suo desiderio di ricevere provocazioni e proposte indecenti. “Forse” la mia risposta lo fece ridere, alla fine mi lasciai andare anche io, abbandonando quella finta aria da duro che decisamente non mi si addiceva. “Mentre aspettiamo che facciamo?” chiesi, e mi parve di scorgere un lampo di malizia dentro ai suoi due smeraldi. Dovetti reprimere a forza tutti i pensieri peggiori del mondo, serrandoli in un angolo con delle catene pesanti. Era difficile non pensare a delle cose del genere quando davanti se ne stava un esemplare di Harry Styles con tanto di bandana fra i capelli, con aria selvaggia. “Avevi detto che mi avresti fatto conoscere qualcosa in più su di te, su tua madre”, mi sorrise dolcemente, probabilmente abbandonando l'idea iniziale per poter pensare a qualcosa di meglio. Ci stava provando, lo notai, a conoscermi. Nonostante quel tasto fosse dolente, non potei fare a meno di sorridere felice che ricordasse della nostra conversazione. Annuii semplicemente, alzandomi con il cuore leggero e pesante, spaccato a metà da due pesi diversi. “Torno subito”, sorrisi e alla fine sparii dentro alla mia stanza da letto. Aprii l'armadio e nascosto fra la polvere giaceva un vecchio album fotografico, nel punto più alto. Dovetti allungarmi parecchio, e come la prima volta, una mano afferrò l'album e me lo passò. Harry, alle mie spalle, sorrise affettuosamente. In quel piccolo frangente mi sarei sentito più basso del solito, ma semplicemente non ci pensai. Tutto ciò che si presentò ai mie occhi fu il nostro primo incontro, proprio qui a casa mia, in cucina. Quelle immagini mi fecero esplodere il cuore e probabilmente doveva averci pensato persino lui perché mi ricordò di quanto basso fossi rispetto a lui. “Sei tu che sei troppo alto”, ribattei ancora una volta, facendolo ridere di cuore. Mi sedetti sul letto, cercando di togliere la polvere da quel vecchio album, con le mani un po' tremanti. Non lo aprivo da anni, ne avevo sempre avuto paura. Una mano di Harry mi finì sul ginocchio e spinto da una strana forza alzai lo sguardo incontrando il suo sorriso smagliante, uno dei più belli che potesse mai regalarmi. E in quel momento non ebbi più nessuna paura, riuscii ad aprirlo, sfogliando la prima pagina sotto il suo sguardo attento. “Se non te la senti...”, ma lo zitti immediatamente indicando la prima foto. “E' lei” strinsi le labbra in una linea dura, mostrando una foto in cui la mia dolce mamma, coi capelli lunghi a ricadergli sulle spalle, stringeva fra le braccia un fagotto. “E questo sei tu? Comunque le somigli molto”, passò lo sguardo sulla foto, poi su di me, alla fine lo riabbassò nuovamente sorridendo. Sembrava realmente interessato alla mia vita, a quelle foto. “Sì”, sussurrai con uno stupido sorriso demente a spingersi sulle labbra. “Vai avanti, non vedo l'ora di vedere le tue foto nudo” e il modo in cui lo disse mi fece scoppiare a ridere. Sfogliai le prime tre pagine, lasciando che osservasse un piccolo me avvolto ancora in delle coperte, per poi giungere a quelle fatidiche foto. Rise come non mai, prendendomi in giro. M'imbronciai almeno sei volte prima di scoppiare a ridere per la sua stupidità. Quel suo lato non lo avevo mai conosciuto e cazzo, quanto mi piaceva. “Che bel bambino che eri”, rise ancora indicando delle foto in cui stavo letteralmente torturando un povero gatto. Il pensiero di mia madre mi fece sentire così bene che risi alla sua vista anziché morirci, annegarci. Era tutto merito di Harry, ne ero sicuro. Quelle foto viste con lui rendevano l'aria diversa, rendevano il mio modo di vedere le cose totalmente differente. “Dove vi trovavate?”, sbatté le ciglia osservando lo sfondo marino, azzurro e dannatamente bello alle nostre spalle. Un bel quadretto di famiglia, mia madre, io al centro e il mio patrigno dal lato opposto. Mi tenevano per mano mentre un'onda bagnava i nostri piedi. “Non ne ho idea, forse in Spagna”, alzai le spalle. Non ne ero sicuro, non avevo mai provato a chiedere nulla riguardo a quelle foto. Mi erano state consegnate, le avevo visto un paio di volte e poi dimenticate sul fondo alto dell'armadio. “Mi piacerebbe andarci”, sfogliò con tranquillità il resto dell'album, osservando attentamente foto per foto, cogliendo persino i particolari. “Anche a me”, risposi con un sorriso. Evadere da questa città per un po' non avrebbe di certo fatto male. “Potremmo andarci, sai, una piccola vacanza”, suggerì e quella proposta mi fece sgranare gli occhi. Cosa? “Cosa?”, ripetei ad alta voce senza rendermene conto. Mi parve di vederlo arrossire per una piccola frazione di secondo, poi rise stupito della mia reazione. “Non farmelo ripetere”, borbottò con un leggero broncio. Quelle labbra sporte in avanti mi fecero fare una mossa avventata. Mi avvicinai a lui e gli lasciai un casto bacio sulle labbra. Chiusi gli occhi e quando li riaprii mi ritrovai il suo sorriso luminoso davanti. “Era un sì?”, chiese con una strana aria felice. Per confermare quella sua domanda, lo ribaciai. Un accostamento leggero di labbra che mi fece sentire un turbinio di emozioni dentro. “Mmh”, fece con un sorriso, prima di dedicare attenzione nuovamente alle mie foto. Quando arrivò all'ultima ero ormai un bambino di 7 anni, dei capelli biondicci schiacciati sulla fronte e un sorriso sbarazzino. “Che cosa le è successo?”, sembrava serio, la fronte aggrottata mentre osservava con attenzione la mia foto con lo zainetto in spalla e mia madre a sorridere raggiante come il sole. “Incidente stradale, ce la siamo vista brutta tutti quanti, mi ha salvato”, alzai le spalle. Secondo quello che mi avevano raccontato ero stato miracolato dalle braccia di mia madre strette attorno. Non sapevo altro, solo che lei era morta sul colpo mentre io e il mio patrigno ne eravamo usciti illesi, per fortuna. “Mi dispiace, ma... sono felice che l'abbia fatto”, poggiò l'album spostandosi ancora più vicino, fino a sfiorarmi una guancia col dorso della mano. Il cuore partì, pompò così velocemente da sentire il sangue defluire ovunque, il corpo tremò e la gola si serrò. Inclinò il capo di lato come se fosse stupito della mia reazione ma alla fine non esitò oltre e mi baciò con più trasporto del previsto. Mi sospinse leggermente sul letto fino a trovarci l'uno di fronte all'altro, distesi su un fianco, a baciarci. La sua lingua passò in rassegna sulle mie labbra, facendomi chiudere gli occhi. Ogni tipo di timore svanì, era giusto così. Quel momento era nostro, nessuna pressione, nessuna paura, nessuno sbaglio, nessun passo in più. Era così e basta. E quando sorrisi, incastrando fra i denti il suo inferiore mi sentii il ragazzo più felice del mondo. Una sua mano finì sul mio fianco, stringendo forte la carne, facendomi sentire la gran voglia che ci accomunava. “Non starei qui a baciarti...”, mormorò passando a sfiorare con le labbra e la lingua il collo. Il suo naso strisciò sulla pelle sensibile, facendomi venire la pelle d'oca per il respiro caldo e il contatto piacevole. “Non starei qui a desiderarti...”, fece ancora. Le sue mani sollevarono piano la mia maglia, scoprendomi il ventre. Scivolò improvvisamente verso il basso, facendomi pressare contro il materasso con l'intera schiena. Mi ritrovai Harry fra le gambe, bello come non mai. Chiusi gli occhi stringendo le mani fra i suoi capelli, la bandana m'intralciò leggermente, perciò la tirai via. La sua bocca mi baciò passo dopo passo la pelle della pancia, dei fianchi. Facendomi contorcere piacevolmente. Mi tenne stretto per i fianchi, facendomi respirare male. “Louis...”, fece dopo un paio di secondi, leccando intorno all'ombelico. Aprii gli occhi notando le sue mani sul bottone dei jeans, sorrisi semplicemente lasciandomi andare con la testa indietro, gli occhi rivolti al soffitto e un sorriso a imperlare le mie labbra. Niente era meglio di quel momento, niente era meglio dell'attesa. Tutte le promesse stavano per essere infrante, ma qualcosa era successo. Sentivo di essermi legato a lui irrimediabilmente. “Mi fai impazzire”, disse ancora prima di sprofondare il viso fra i miei fianchi morbidi. Mi lasciò qualche morso scherzosamente, facendomi ridere per il solletico. “Vaffanculo”, sbottò all'improvviso. E solo quando aggrottai la fronte e tornai coi piedi per terra sentii il campanello di casa suonare. “Che tempismo di merda”, borbottò spostandosi dal mio corpo. Alzai la testa un secondo solo per vederlo ricomporsi poi sbuffai gettandomi sul letto, le mani a coprire il viso, frustrato. Maledizione. Mi alzai, cercando riabbottonare i jeans e di dare una sistemata alla maglia. Osservai Harry con un'evidente erezione fra le gambe e scoppiai a ridere. “Non ridere, ingozziamoci di pizza almeno non ci penso”, s'imbronciò. Risi più forte abbandonando la stanza con le farfalle a svolazzare tranquille dentro lo stomaco. I miei occhi brillarono. Ero terribilmente felice, come mai lo ero stato prima. Mi morsi le labbra prendendo le pizza e pagando, quando le poggiai sul tavolo ed Harry mi raggiunse in cucina, non riuscii ad evitare di ridere. Lui fece lo stesso, appoggiando le spalle contro il muro. Il mio cuore era decisamente più leggero.

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