Erano le 20 quando sentii la voce squillante di Michelle perforarmi le orecchie. La sua sagoma mi si piazzò davanti. I suoi lunghi capelli castani erano legati in maniera superficiale a un codino, e il tanfo che proveniva dal suo grembiule dalle mille coccinelle mi stordì. Picchiettava furiosa il piede sul pavimento, e mi guardò con i suoi occhi nocciola letteralmente uguali ai miei. Rabbrividii. Che cazzo ci faceva nella mia stanza? Fabrizio avrà aperto la porta prima di andarsene. «La principessa si è svegliata!» gracchiò non appena alzai lo sguardo su di lei. Affondai nuovamente la faccia sul cuscino. «Ohh, che ore sono?!» chiesi infastidita. «Sono le 8 e mezza!» Bugiarda. Lo faceva apposta per farmi alzare e farmi sentire ancora più in colpa. La mia sveglia di Game of Thrones segnava le 20. E non si sarebbe mai sbagliata. Non mi tradiva. Era il mio oggetto preferito. «Alzati e vieni a cenare!» disse prima di sbattere la porta della mia stanza bofonchiando. In effetti, non era una cosa alquanto normale svegliarsi alle 20, dopo una "dormita" pomeridiana. Sì, ma io non avevo dormito, non solo. Avevo fatto l'amore con lui. Con l'unico uomo che avessi mai desiderato. Dovevo scoprire tante cose su di lui. Non era un fantasma, mi rifiutavo di crederlo. Dopo quel pomeriggio, realizzai che Fabrizio era l'uomo più vivo che avessi mai conosciuto. Il modo in cui mi toccava accendeva ogni singolo atomo del mio corpo. Il modo in cui mi guardava rendeva vulnerabile la mia capacità di esprimermi. Sorridevo, sentivo le mascelle stancarsi già. Quando tentai di alzarmi, sentii la parte inferiore del mio corpo indolenzita. Ridacchiai tra me e me pensando al pomeriggio vissuto. Mi sarebbe piaciuto svegliarmi con lui, attorno alle sue braccia, respirare la sua pelle morbida, accarezzare il suo petto marmoreo. Invece no. Era sparito, doveva sparire per forza. Avrei mai avuto un appuntamento con quest'uomo? Certo che no. È un fantasma, Haley. Accontentati di quello che può darti! La Haley zanzara sentiva ancora il sapore del sangue morto e dolce sul suo pungiglione. Pensando a quella creatura sentii nuovamente il mio corpo fremere. Non mi andava di scendere giù e cenare con i miei. Avevo l'umore giusto per fantasticare su quell'atto d'amore vissuto, rimuginarci sù, chiudere gli occhi e sorridere. Ma le grida di Michelle demolirono le mura rosa della mia camera. Sussultai divertita e scesi le scale. «Compito in classe? E quando ce l'avrebbe detto, mi scusi?!» questo era Peppe. Non si toglieva il vizio di atteggiarsi da adulto nemmeno con un'insegnante. «Non ho il dovere di chiedervi quando e come fare le verifiche scolastiche, Satta! È una piccola prova sulla Seconda Guerra Mondiale, suvvia, non c'è bisogno che vi scaldate», la professoressa aveva portato un blocco di fogli. La sua espressione abietta si riverberò su tutta la classe, scatenando una serie di lamenti e fruscii. Portava gli occhiali gialli con una corda per tenerli a mo' di collana, e quando parlava, aveva questa strana "s" che masticava con fatica. Quando pronunciò il cognome di Peppe, uscì qualcosa come "Sciatta", e cercai di nascondere una risata. Aveva una gonna nera troppo corta per le sue gambe gonfie, che si abbinava (o forse no) a una maglia color pesca e un gilet a fantasia di fiori. Era un orrore. Si alzò goffamente dalla cattedra, e cominciò a consegnare i fogli. Il compito si divideva per file: la "A" era la fila in cui vi ero io, la "B", quella di Peppe. «Dio, come la odio!» «Ti vuoi calmare? Fregatene, non è un vero compito in classe, studieremo insieme e ci faremo interrogare», gli sorrisi rincuorante, cercando di tranquillizzarlo. Non appena vidi le mie domande, trattenni un respiro. Erano cinque domande a risposta multipla, potevo benissimo azzeccarne 3 su 5, se avessi ricordato soltanto un minimo della lezione. L'avevo letta soltanto una volta, la prima volta che era stata spiegata, ma avevo rimosso tutto. Quante cose mi erano successe in quel periodo? Troppe. Una persona normale non avrebbe digerito tutto quello che è accaduto a me nella vita, ma soprattutto, durante questa settimana. Come di consueto, i miei pensieri vagarono di nuovo attorno a un certo uomo bruno, un fantasma, un uomo invisibile agli occhi degli altri, meravigliosamente visibile solo ai miei. I suoi occhi neri erano un cielo senza stelle, oscuro, freddo, profondo. Aleggiavano davanti ai miei come zanzare danzanti e provocatrici. «Oh, Haley! Scrivi almeno il tuo nome!» Le dita fini di Peppe schioccarono svegliandomi dal mio sogno erotico ad occhi aperti. Ero tornata alla realtà. Guardai il maledetto foglio, cinque domande. Molto lentamente, con tranquillità, scrissi nome, cognome e classe. Mi bloccai. Guardai di sottecchi Peppe, e fui felice di vedere la mia stessa espressione confusa riflessa sul suo viso. Eravamo nella merda. Poi, così velocemente, cominciò tutto lì, nella mia classe, il giorno dopo che facemmo l'amore. Un brivido, solo uno. Soltanto un leggero tremolio mi aveva avvertito che in quella stanza fosse entrato qualcuno. Lui. Ovvio, Fabrizio. La mia reazione alla sua vista era sempre un misto tra ammirazione, eccitazione e shock. Mi sciolsi, ma poi realizzai che mi aveva beccata in un momento poco opportuno. Come sempre, tempismo di merda anche lui. Fabrizio si sedette sulla cattedra, accavallò le sue gambe muscolose, e si appiccicò alla professoressa malefica. «Cristo, ma si lava?» esclamò annusandola. Soffocai una risata. Smettila! Non farmi ridere, gli dissi con gli occhi. Cosa ti farei? Pensai. Te ne devi andare. Non vedi che stiamo facendo un compito? Cercai di comunicargli ancora con lo sguardo. «È inutile che mi guardi male. Vuoi le risposte o no?» disse il fantasma con la sua voce graffiante. Sgranai gli occhi, mentre Fabrizio, conscio di non essere sentito da nessuno, mi dettava le risposte. «Domanda 1. Quando iniziò la Seconda Guerra Mondiale? Ma che domanda difficile! Questa dovresti saperla» il suo sguardo si spostava dal foglio della professoressa a me, ma la maggior parte del tempo i suoi occhi erano inchiodati sulla Haley zanzara. Mi accorsi che era già segnata la risposta, quella la sapevo già «1939, ignorantella» disse scorrendo il suo dito sul foglio. Sei diventato spiritoso tutto ad un tratto? Avrei lasciato arrivare il mio sorriso da un orecchio a un altro, se avessi potuto. Ma dovevo guardarlo di sottecchi, altrimenti la professoressa mi avrebbe sgridato. «Domanda 2... » i suoi occhi di nuovo su di me, li sentivo. «Ti è piaciuto quello che è successo ieri?» M'irrigidii. Sentii nuovamente la schiena tremare. Sì. Risposi con gli occhi. La professoressa correggeva compiti di un'altra classe. Detti un'occhiata ai miei compagni, tutti intenti a rispondere senza darsi aiuto. Peppe leggeva e rileggeva le domande. «Allora facciamo veloce, so che vuoi che ti tocchi ancora» mormorò affondando le sue ossidiane su di me. «Domanda 2, B; 3-B, 4-A e 5-C» le ripeté molto lentamente, sapeva che non potevo segnarle tutte insieme. «Adesso da al tuo amico rossino le sue risposte: 1-A, 2-D, 3-B, 4-A e 5-C» le dettò nuovamente, mentre le riportavo velocemente sul banco. Potrei amarti, grazie. «Ti aspetto negli spogliatoi, Haley» pronunciò il mio nome in maniera inebriante, poi sparì. Una scossa elettrica perforò il mio corpo. Quando mi ripresi, detti una gomitata a Peppe. «Oh, Pè. Sono le tue risposte, copia» Un filo d'eccitazione attraversò gli occhi del mio amico, accompagnandoli verso quelle risposte. Anche lui stava ringraziando Fabrizio, anche se non lo sapeva ancora. Tempo terminato, compiti consegnati. Quando la campanella suonò il mio unico, tormentato pensiero era quello di raggiungere Fabrizio agli spogliatoi. Durante l'intervallo nessuno andava in palestra. «Tesoro, ma dove vai? Andiamo a fumare» Peppe mi guardò perplesso nel momento in cui superai il balconcino con indifferenza e feci per prendere gli scalini. Merda. Deve saperlo. «C'è una cosa che devo dirti» dissi raggiungendolo. «Lo so già, riguarda il compito» «In un certo senso sì» Ci sedemmo al solito sugli scalini esterni, e Peppe accese una delle sue Marlboro Light. Era strano, per quanto fosse in fissa sul benessere, non rinunciava mai alla sua sigaretta. Il rossino cominciò ad aspirare, scrutandomi in cerca di un qualcosa. Come avrei potuto mai dirglielo? La frustrazione incombette dispettosa su di me. «Voglio che tu non mi prenda per pazza, che mi stia vicino, perché è quello che voglio e saresti l'unico a saperlo», introdussi. «Parli del tuo "dono"?» chiese tirando ancora una volta dalla sigaretta. «Fabrizio... è stato lui a prendere a pugni Fedo». Cominciai da lì. E Peppe comprese. Era il mio migliore amico, non c'era altro da dire. Gli raccontai tutto ciò che mi era successo durante quelle settimane. Tutto. Adesso conosceva ogni minima parte della mia vita, soprattutto la parte invisibile. Si arrabbiò. «E tu mi hai tenuto nascosto questo segreto? Bastarda sei! Avresti dovuto dirmelo prima!» disse gettando la sigaretta per terra. «Ricapitoliamo. Hai scopato con questo Fabrizio, adesso è come se fossi perseguitata, cazzo! Mi farei perseguitare io da uno così!» esclamò sventolandosi teatralmente il viso. «Sei sempre il solito!» scoppiai in una fragorosa risata. «Grazie. Grazie per non avermi preso per una pazza. Grazie per esserci sempre per me. Grazie e basta», dissi gettandomi su di lui e stringendolo a me. «Adesso devo andare da lui, mi aspetta negli spogliatoi» «Avrò modo di conoscerlo? Ah, e ringrazialo per le risposte» gridò mentre scendevo impaziente gli scalini. Sì, impaziente, euforica, fibrillante. Ero eccitata. Avevo detto tutto a Peppe, sapeva tutto. Come si poteva credere a una storia del genere? Non lo si poteva fare. Solo una persona con una mentalità aperta come Peppe poteva credermi. Ed io lo amo. Di un amore puro, come un fratello. Andava tutto bene. Arrivai all’ingresso della sede, uscii e mi avviai verso la palestra, cercando di evitare qualsiasi contatto con gli studenti in euforia per l’intervallo. Quando giunsi agli spogliatoi, cercai con gli occhi una figura scura. La sua sagoma era appoggiata al muro, lo stesso dove avvenne il nostro primo, vero approccio fisico. Un brivido assalì la mia schiena, fremevo. Sorrisi a quella creatura, così disinvolta, così posata. Fabrizio ricambiò. Mi sentii in imbarazzo, in soggezione. Come potevo restare indifferente ad un sorriso perfetto come quello suo? Non potevo, punto. Un velo di malinconia viaggiò nella mia mente, la solita malinconia, quella che mi faceva ricordare che quell'uomo non sarebbe mai potuto essere mio. «Allora, com'è andato il compito?» disse lui con quel filo sardonico nella sua voce. Amavo quell'ineccepibile ironia nel suo volto. Era sempre troppo serio. E quando sorrideva mi scioglievo come un biscotto in mezzo al dolce latte caldo. «Benissimo, vuoi sapere come me la sono scampata?» sussurrai entrando lentamente nel bagno. Afferrai le sue virili spalle da entrambi i lati. Contemplai quel fisico da statua greca, sotto le sue occhiate oscure e maliziose. «Te la sei scampata?» il suo sorriso si posò delicatamente su mezzo lato. «Grazie, Fabrizio. Oh, e ti ringrazia anche Peppe» mormorai. «Ma come facevi a sapere che avevo compito? Sei arrivato al momento perfetto» chiesi a tono basso. Se qualcuno fosse entrato e mi avesse sentito parlare sola sarebbe stata un'umiliazione. Fabrizio afferrò il mio viso con entrambe le mani. Sentii il gelo perforarmi le gote, in contrasto con il fuoco che aveva appena fatto capolino. Rise profondamente con sensualità. «Devi capire che non sei più sola, adesso» disse prima di avvicinarsi delicatamente e poggiare le sue morbide labbra alle mie. Sentivo il calore del suo alito sul mio. Gemetti immediatamente tra le sue labbra. Lo volevo. Potrei amarti, pensai per l'ennesima volta. Ero tra le sue braccia, in uno squallido bagno negli spogliatoi di una scuola. Non sei più sola, mi aveva detto. Quelle quattro parole scatenarono un turbinio di emozioni. Era positivo? Forse no. Ma non m'importava granché. Io non desideravo altro.
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Il Dono
ParanormalHaley Connery è una semplice ragazza del New Jersey. E' popolare e piena di affetto. Riesce a gestire perfettamente tutti i suoi doveri da teenager, nonostante il suo piccolo "dono" di vedere i fantasmi. Costretta a trasferirsi in Italia, dal nuovo...