𝗰𝗼𝘂𝗻𝘁𝗱𝗼𝘄𝗻...

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La prima volta, cinque anni...
La seconda, otto mesi...
La terza, non l'ho ancora superata...
L'ultima, una sera...
Il tempo per cui mi sono sentita a pezzi e sono precipitata come se mi fossi lanciat nel vuoto senza paracadute. Gli occhi rossi e gonfi di ieri sera fanno ancora male, continuo a passarci sopra il palmo della mano, lasciando che le ciglia si appiccichino fastidiosamente tra loro, sforzandoli per leggere lo schermo del computer che appare sfocato comunque, perché senza occhiali vedo a un palmo dal naso. La lezione in sottofondo riempie la mia testa... parla di cromosomi, ahah!, se c'è una materia che non sopporto è scienze, e il prof è negato a spiegare... pff, però è simpatico.
La mie testa è perfettamente funzionante, riesco a comprendere ciò che dicono, anche se le parole arrivano confuse, ma il corpo risponde con secondi di ritardo, è stanco e pesante. Ugh, fatemi usare un letto.
La presenza costante che mi rincorre da ormai quattro anni, quando ho fatto quella cazzata che rimpiango ancora adesso. L'unica persona che non penso di poter superare, mi segue come un cane randagio, i sensi di colpa soffocano anche la risata più fragorosa, la batteria cala e il mio sorriso è forzato.
Ma ieri un altro pezzetto della mia fiducia è stato distrutto, chi ha tempo di pensare alla terza volta. Preso con buone intenzioni e lanciato contro un muro, distrattamente, non se n'era nemmeno accorta di averlo fatto. Accusandomi alle spalle, con una persona che mi ha ferita senza nemmeno parlarmi, andando a riferire ciò che io le confidavo. Non sono innocente, ciò che ha detto non è interamente sbagliato, ma chi durante le video-lezioni non ha mai copiato?, andiamo, non venitemi a dire di essere dei santi, perché chi una frase, chi un più domande, ha copiato. Ha aperto il libro o gli appunti, e ha copiato. E non sono infastidita, anzi, onestamente non lo trovo nemmeno un peccato così grave da far crocifiggere qualcuno per quello. Ma ribadire sempre la stessa volta, la stessa interrogazione di inglese dove ho letto una parte del testo... che senso ha?, spoiler: nessuno.
Ma ho pianto una sola sera, nemmeno per tristezza, più per delusione, rabbia? Ad essere sincera, non posso dire di essere stupita. Avevo percepito una leggera, ma resistente distanza tra noi, non sono mai riuscita a far sì che lei mi parlasse sinceramente. Ho sempre avuto quella sensazione che lei fosse con me più per passatempo, non ha mai veramente pensato a me come qualcuno di speciale, solo un amica, come tante altre.
Ma forse l'idiota sono io, che mi sforzo di ritrovare quella figura che molti hanno, un migliore amico, con cui essere stupida fino ai limiti dell'impssibile, con cui non prendere e partire per due giorni dall'altra parte del mondo e tornare come se niente fosse, con cui farsi male, mettersi nei casini, sfogarsi con la sicurezza di avere sempre un materasso stabile su cui atterrare anche quando sei nei momenti peggiori, o meglio, avere qualcuno che cada con te. Ed essere allo stesso tempo quel materasso, quell'appiglio o quella figura che teatralmente beve una tazza di tè mentre precipita nel vuoto, cercando di farti sorridere.
Ma forzare questo rapporto è inutile, forse non l'avrò mai, posso solo continuare a saltellare da una persona all'altra attendendo che mi tradiscano, mi lascino, trovino di meglio. E per l'ultimo non è poi così infattibile. I miei si chiedono perché i miei amici siano tutti dietro uno schermo... è perché fa meno male quando smettono di scriverti, è perché non possono tradirti quando parli di qualcuno che loro non conoscono, puoi sfogarti e in quella falsa cortesia reciproca di ogni relazione ai suoi primi passi riesci a trovare un minimo di conforto.
Una sera, non è così poco... ma in confronto ai cinque anni della prima volta, è un notevole passo avanti.

𝗻𝗮𝘂𝘀𝗲𝗮 𝗲 𝘂𝘁𝗼𝗽𝗶𝗲 - ventDove le storie prendono vita. Scoprilo ora