quello che viene dopo

14 2 0
                                    

Mi chiamo Josh e ho sedici anni.

O almeno credo. È tutto nero attorno a me e non vedo nulla. "Ero forse morto?". Ma se lo fossi non soffrirei questo dolore atroce ovunque. O forse no, non sono mai stato morto, non so come deve essere. Forse sono condannato a rimanere in questa pallida imitazione della vita per sempre, in un oblio senza fine.

Qualcosa mi sta toccando, "possibile?". Sembrano delle dita delicate che mi scostano i capelli dalla fronte, chi mi sta accarezzando?

Impiego una forza di volontà enorme per aprire gli occhi, devo assolutamente capire chi si trova di fronte a me, perché se sono morto, potrebbe essere mio padre. Finalmente potrei vederlo, e perdonarlo.

Lentamente apro gli occhi, mi rendo conto di essere steso e il pavimento sotto di me era stranamente morbido. Accucciata di fianco a me c'era una figura, ma non so chi sia. Sicuramente non sembra un uomo, tantomeno mio padre.

Ma le mie palpebre sono così pesanti, non riuscirò mai a tenerle aperte a lungo, ma prima devo capire chi si trova vicino a me. Riesco a lanciare un ultimo sguardo, e vedo le stelle, lassù in cielo, così tante e bellissime, forse non sono morto. Forse non voglio nemmeno morire, vorrei poter guardare quelle stelle per sempre.

Poi di nuovo tutto diventa nero.

Questa volta una luce abbagliante mi sveglia, sono steso in un letto, avvolto tra soffici coperte. Magari è stato tutto un sogno.

Ma questa non è casa mia e io mi trovo adagiato su un letto d'ospedale, intanto la mia spalla destra lancia delle fitte spaventose.

Un'infermiera fa capolino nella stanza, mi rivolge uno sguardo veloce, poi annuncia in tono pratico << ottimo sei sveglio, vado ad avvisare i ragazzi>>.

"I ragazzi?", so per ceto che gli amici della palestra non sarebbero mai venuti qua, probabilmente nemmeno sanno dove sia. Effettivamente nemmeno io so dove sono. Sì è un ospedale, ma non ho idea di quale, tantomeno in quale città. In realtà non sono mai stato in un ospedale, in genere sono o che ci mando gli altri.

Due persone entrano nella stanza, interrompendo i miei pensieri. E' vero che ho mal di testa e sono decisamente poco lucido, ma per nessuna ragione al mondo non riconoscerei coloro a cui voglio più bene.

Sono mio fratello e Beatrice, non posso non sorridere. Anche se questo mi provoca un dolore alle costole. Lui ha il volto cereo e gli tremano le labbra, lei è ricoperta da fasciature, per tamponare tutti i danni che le ho provocato. Quest'ultima parte mi fa risalire l'amaro in bocca. Entrambi si avvicinano a me e Beatrice dice <<Ei, sei sveglio>>, poi con un sorriso aggiunge <<come ti senti?>>

<<Una schifezza>> dico, e tutti insieme scoppiamo a ridere, un riso liberatorio. Ora, in un letto d'ospedale, paradossalmente, posso dire di stare bene, come mai sono stato prima.

Il mio fratellino si accuccia su una sedia vicino al letto e Beatrice si siede accanto a me, sul letto. Poi lei inizia a guardarmi con quegli occhi che mi piacevano tanto, e mi aggiusta i capelli. Ora riconosco di chi erano quelle dita delicate che mi avevano accarezzato quando era tutto nero.

I due, insieme, mi raccontano cosa fosse accaduto dopo che mi ero lanciato.

Beatrice mi aveva seguito già la prima volta che sono salito sul tetto, ed evidentemente avevo impiegato molto tempo a scrivere la lettera, perché lei nel frattempo era riuscita chiamare i soccorsi. Ecco cos'era quella sirena che avevo sentito, i soccorsi in arrivo. Era riuscita a farmi parlare per abbastanza tempo, nel frattempo che i pompieri montavano un materasso per attutire la caduta. La botta si era decisamente sentita, ma non se non ci fosse stato quel materasso sicuramente ora non sarei qua.

L'infermiera che era entrata prima, torna a farci visita. Mi guarda per un attimo e mentre sistema la flebo mi dice <<Sei stato davvero fortunato ragazzo, una caduta del genere per altri sarebbe stata fatale>>

"Fortunato" penso. Gettarsi dal sesto piano con l'intento di suicidarsi e poi sopravvivere, non è di certo quello che farei rientrare nella categoria di fortuna.

Non avendole risposto l'infermiera continua <<Riposati, magari tra qualche ora riuscirai anche a parlare>>.

Le rivolgo un breve cenno di assenso, nel farlo mi accorgo di essere effettivamente stanco. I miei ospiti lo capiscono e mi lasciano da solo. Mi addormento, ma quello che viene dopo non mi fa affatto riposare.

Nel sogno vedo tutto sfocato, una figura nera mi getta a terra e nel frattempo tutto intorno crolla. Voglio urlare ma non posso, apro la bocca ma è come se fosse svuotata della mia voce. La figura nera si toglie il cappello e riconosco mio padre,  mi sorride malignamente e fugge via. Poi diventa tutto rosso, sangue ovunque.

Tra i rivoli di sangue Beatrice si avvicina a me, ma appena tento di toccarla, ecco che si trasforma in fumo, e mi scivola via dalle dita.

Il MIO NOME È JOSHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora