agli dei protettori di roma

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Iam satis terris nivis atque dirae
grandinis misit pater et rubente
dextera sacras iaculatus arcis
terruit urbem,

terruit gentis, grave ne rediret
saeculum Pyrrhae nova monstra questae,
omne cum Proteus pecus egit altosvisere montis

piscium et summa genus haesit ulmo,
nota quae sedes fuerat columbis,
et superiecto pavidae natarunt
aequore dammae.

Vidimus flavum Tiberim retortis
litore Etrusco violenter undis
ire deiectum monumenta regis
templaque Vestae,

Iliae dum se nimium querenti
iactat ultorem, vagus et sinistra
labitur ripa Iove non probante u-
xorius amnis.

Audiet civis acuisse ferrum,
quo graves Persae melius perirent,
audiet pugnas vitio parentum
rara iuventus.

Quem vocet divum populus ruentis
imperi rebus? Prece qua fatigent
virgines sanctae minus audientem
carmina Vestam?

Cui dabit partis scelus expiandi
Iuppiter? Tandem venias precamur
nube candentis umeros amictus,
augur Apollo;

sive tu mavis, Erycina ridens,
quam Iocus circum volat et Cupido,
sive neglectum genus et nepotes
respicis auctor,

heu nimis longo satiate ludo,
quem iuvat clamor galeaeque leves,
acer et Marsi peditis cruentum
voltus in hostem;

sive mutata iuvenem figura
ales in terris imitaris, almae
filius Maiae patiens vocari
Caesaris ultor,

serus in caelum redeas diuque
laetus intersis populo Quirini,
neve te nostris vitiis iniquum
ocior aura

tollat: hic magnos potius triumphos,
hic ames dici pater atque princeps,
neu sinas Medos equitare inultos
te duce, Caesar.

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ormai mise abbastanza di neve
e di grandine maledetta giove,
e, saettando i sacri altari con la
destra rossa, spaventò la città,

spaventò le genti, affinché non
tornasse il grave secolo di pirra
che si lamenta dei nuovi prodigi,
dopo che proteo condusse ogni

gregge a vedere gli alti monti,
ogni gruppo di pesci si fermò
all'altissimo olmo, che era stata
nota sede per i colombi, i cervi

pavidi nuotarono nella distesa
oltrepassata. vedemmo il tevere
giallo andare, con le onde rigettate
violentemente dalla spiaggia

etrusca, basso verso
i monumenti dei re e i templi
di vesta, mentre  il fiume, fedele
alla moglie, troppo si gettò

 vendicatore su ilia gemeva, scorreva
vago e dalla riva sinistra mentre
giove non accettava. la gioventù
ormai rara per vizio dei genitori

sentirà che i cittadini hanno affinato
il ferro per cui perirono meglio i
gravi persiani, sentirà le battaglie.
quale dio chiamerà il popolo per

le faccende dell'impero
che crolla? con quale preghiera
le sacre vergini importuneranno
vesta che sente di meno i canti?

a chi darà giove la pazzia della parte
da espiare? infine, augure apollo,
preghiamo che vieni da un nuvola,
con le bianche spalle coperte; o se 

tu preferisci, ericina, che ride, a cui
volano intorno ioco e cupido, 
o tu hai riguardo del genere
negletto e dei nipoti, autore,

ahi, sazio per il lungo gioco,
a te che piacciono il clamore
e gli elmi leggeri, e l'aspro
volto del fante marso 

rivolgi al nemico cruento,
o se tu alato imitassi nelle terre
un giovane dalla mutata figura,
figlio della benigna maia,

che sopporta di essere chiamato
vendicatore di cesare. tardi nel cielo
ritornerai e a lungo starai nel 
popolo dei romani, e non alzerà,

più veloce te, sdegnato per i nostri
vizi, col vento. quindi ama qui,
 piuttosto, grandi trionfi,
ama essere qui definito padre e principe,

non lasciare che i medi cavalchino
impuntiti, mentre tu dei capo, cesare

«carmina» orazioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora