alla nave su cui viaggia virgilio

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Sic te diva potens Cypri,
sic fratres Helenae, lucida sidera,
ventorumque regat pater
obstrictis aliis praeter Iapyga,
navis, quae tibi creditum
debes Vergilium: finibus Atticis
reddas incolumem precor
et serves animae dimidium meae.
Illi robur et aes triplex
circa pectus erat, qui fragilem truci
conmisit pelago ratem
primus, nec timuit praecipitem Africum
decertantem Aquilonibus
nec tristis Hyadas nec rabiem Noti,
quo non arbiter Hadriae
maior, tollere seu ponere volt freta.
Quem mortis timuit gradum
qui siccis oculis monstra natantia,
qui vidit mare turbidum et
infamis scopulos Acroceraunia?
Nequiquam deus abscidit
prudens oceano dissociabili
terras, si tamen inpiae
non tangenda rates transiliunt vada.
Audax omnia perpeti
gens humana ruit per vetitum nefas;
audax Iapeti genus
ignem fraude mala gentibus intulit.
Post ignem aetheria domo
subductum macies et nova febrium
terris incubuit cohors
semotique prius tarda necessitas
leti corripuit gradum.
Expertus vacuum Daedalus aera
pinnis non homini datis;
perrupit Acheronta Herculeus labor.
Nil mortalibus ardui est:
caelum ipsum petimus stultitia neque
per nostrum patimur scelus
iracunda Iovem ponere fulmina.

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così, la potente dea di cipro,
così i fratelli di elena, chiare stelle,
e il padre dei venti, stretti gli altri,
eccetto iapiga, proteggano te,
nave a cui deve essere dato virgilio;
ti prego di portarlo ai confini
attici incolume e di conservare
la metà dell'anima mia.
aveva la quercia e il triplice
bronzo intorno al cuore quello
che per primo consegnò al mare
truce la fragile nave, e non
ebbe timore che l'africo calante
che combatte contro l'aquilone[1],
né le tristi iade, né che la rabbia di noto,
rispetto al quale non ci fu un maggiore
padrone dell'adriatico,
vogliano alzare e abbassare le onde.
quale passo della morte ha temuto
chi con occhi secchi ha visto i mostri marini
chi ha visto il mare torpido e gli infami
scogli negli acrocerauni?
invano il dio staccò col dissociabile
oceano le terre, se tuttavia le empie
navi oltrepassano le onde da non toccare.
il genere umano audace rovina
tutto col delitto continuo;
l'audace seme di giapeto portò il fuoco 
con cattivo inganno tra le genti;
dopo che il fuoco fu sottratto alla casa
eterea, la povertà e una nuova schiera
di febbri si gettò sulle terre
e la necessità tarda della morte, prima
lontana, avanzò il passo.
dedalo sfidò nei cieli il vuoto con
le ali non date all'uomo;
la fatica ercolea infranse l'acheronte.
non c'è niente di arduo per i mortali;
non cerchiamo lo stesso cielo con stoltezza
e non sopportiamo che con il
nostro delitto giove ci dia fulmini iracondi

«carmina» orazioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora