Capitolo 3

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<<Hey, grazie di aver risposto>>. Bisbigliò la solita ragazza dall'altra parte del telefono mentre tirava sù con il naso, come se mi avesse chiamata durante il momento più critico della sua crisi di pianto solamente per addolcirmi prima di chiedere aiuto.
<<Il fatto che avessi ignorato le precedenti dieci chiamate non ti ha fatto intuire nulla?>> Non avrei voluto essere così dura ma la rabbia più pura ribolliva nelle mie vene e in passato avevo già dato troppa importanza al vittimismo di Kelly dopo le nostre precedenti litigate. 
<<Devo parlarti di Chris>>. La sua voce divenne inaspettatamente seria.
<<Non mi interessa dei tuoi problemi di cuori adesso>>. Le risposi in modo freddo, anche se avrei voluto che continuasse a raccontarmi dei suoi drammi adolescenziali perché le volevo bene, bene sul serio.
<<Ho paura che tra noi possa finire>>. Singhiozzò Kelly come se fosse capace di ascoltare i miei desideri più profondi.
<<Sul serio?  Mi hai chiamato per questo? Sei davvero incredibile!>> Le urlai prima di chiudere la chiamata, forse per enfatizzare la mia rabbia, anche se gridai  ulteriormente dopo averle agganciato in modo brusco. Strilla vigorose uscirono da me, mai avrei potuto immaginare di poter produrre un tale suono. Mi si gonfiarono le vene sul collo ormai cambiato di colorito e calde lacrime di disperazione ricoprivano senza arrestarsi le mie fiammeggianti guance. Gridai perché avevo paura, anzi terrore di non poter mai riavere indietro Kelly; gridai perché la situazione era fuori controllo e nonostante ciò io proseguivo a veicolarla altrove, verso la più completa disperazione. 
Sentii improvvisamente passi leggeri provenire dal corridoio e dirigersi verso la mia camera. Per questo motivo tentai di smettere di piangere, ma i miei occhi sembravano avere una perdita perché le lacrime continuarono ad uscire ugualmente. 
Il piccolo bambino riccio di sei anni con cui condivido ogni mio giorno, aprì lentamente la porta e fece capolino con la testa.
<<Amy, la mamma chiede se va tutto bene>> Disse Alex mentre si stropicciava i piccoli occhi scuri.
<<Si>> Fui io la ragazza che tirava su con il naso in quel momento.
<<Stai piangendo?>> 
<<No>> Risposi a monosillabi per far intendere che non volevo parlare anche se compresi troppo tardi che questo metodo nei bambini piccoli scaturiva ancora più curiosità, soprattutto in mio fratello.
<<Non avere paura, anche i grandi piangono>>. Mi disse lui sorridendo quasi per farmi sorridere, come se volesse provocare in me la stessa espressione felice che indossava lui.
<< Anche i supereroi dei tuoi fumetti?>> Chiesi ironicamente fingendo di stare un po' meglio per tranquillizzare Alex. Mi sforzai di dialogare con lui anche se in quel preciso momento volevo solo essere completamente sola.
<<Beh loro sconfiggono sempre i cattivi, ma potrebbero piangere se un giorno non vincessero>>. Disse dolcemente lui, restando ancora sul ciglio della porta e molleggiando avanti e indietro con i talloni in segno di lieve imbarazzo.
Nonostante faccia fatica ad ammetterlo, mio fratello è davvero brillante. Anche quando era più piccolo ha sempre cercato di essere il figlio, lo studente, il compagno di giochi e il lettore di fumetti migliore. Alex però è puro, si nota che qualsiasi cosa compiuta da lui per spiccare e superare gli altri, è semplicemente il frutto di voler essere come quei personaggi che tanto venera, i supereroi. 
<<Ragazzi! È pronta la cena!>> Il richiamo di mia madre provenì dalla cucina e posso dire che mi salvò dalla continua parlantina di Alex dovuta alla sua costante curiosità infantile.
<<Vai a mangiare>>. Gli dissi con fredda premura.
<<E tu?>>
<<Devo studiare>>. Mentii. <<E poi ho già mangiato>>. Seconda bugia. <<Ringrazia la mamma da parte mia per la cena>>. Continuai a impilare frasi senza verità e più la pila delle menzogne aumentava, più io ero certa di non riuscire a fermarne la crescita. 
Nostra madre non era molto presente e quella fu la prima sera dopo settimane che rimase con noi a cena. Di solito badavo io a mio fratello, e a me stessa, ma quella volta, ci era stata concessa la rara presenza della nostra figura materna, sempre occupata in tutto tranne che a prendersi cura di noi, da sempre. Evitando di cenare con loro risparmiai ad Alex la visione di una bella litigata, perché "Amy studi troppo poco", "Amy mi sembri pallida", "Amy dovresti avere più amici". Sapevo già come sarebbe andata tra me e mia madre se fossimo state per troppo tempo nella stessa stanza e mai avrei voluto rovinare la serata ad Alex, che aveva realmente bisogno della presenza di un genitore, almeno una volta ogni tanto. Pensare a mia madre mi aiutava a canalizzare la rabbia negli errori passati altrui, per non soffermarmi sui miei, e spesso percorrere la via dei ricordi mi permetteva di distrarmi dalla realtà in cui continuavo ad affogare.
Il tintinnio di una notifica sul cellulare attirò la mia attenzione, riportandomi con i piedi per terra. Era un messaggio da Kelly: "So che non ci parliamo, ma credo che…". Sbloccai lo schermo per leggere l'intero messaggio: "non dovresti stare sola stasera". 
Ignorai completamente le righe di quella ragazza, così sfacciata da scrivermi con fare preoccupato anche dopo la nostra litigata. Odiavo sentirmi impotente. In quel preciso momento avrei potuto rispondere al messaggio in qualsiasi modo, subito dopo aver raggiunto a cena quel che restava della mia famiglia; oppure sarei potuta arrivare di corsa a casa di Kelly solo per gridarle in faccia quanto la credevo egoisticamente opportunista, ma solamente prima di aver ricordato a mia madre quanto non fosse in grado di fare la mamma, nonostante noi avevamo ancor più bisogno di lei dopo la morte di papà. Eppure sono rimasta nella mia stanza, senza compiere il minimo gesto di disappunto nei confronti di nessuno. Avevo la possibilità di tirare fuori la voce dalla mia anima, incatenata all'interno del mio corpo ma, invece, ho poggiato la testa sul cuscino per attendere l'arrivo di una realtà migliore che mai mi si sarebbe presentata. 


L'Antartide d'estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora