Capitolo 4

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"Stasera pizza?". Fu l'ultima frase che sentii dire da mio padre. Eravamo in salotto e per tutto il pomeriggio avevo allenato il pollice a premere su ogni tasto possibile del telecomando. Non c'era nessun programma interessante in tv che avrebbe anche solo distratto la noia che provavo, nessuna trasmissione o pubblicità riuscirono a smuovere quella piatta insoddisfazione che restava sull'attenti dentro di me, come se il divertimento si fosse perso o l'intrattenimento avesse smarrito la via per arrivare a poter suscitare un po' di gioia. Avevo trascorso tutto il giorno di quel martedì di Settembre sul divano ad aspettare qualcosa che avrebbe dato una svolta alla mia monotona giornata, e ci fu in effetti un evento inaspettato, impensabilmente straziante. 
Alla domanda di mio padre, che tentava di migliorarmi la giornata, risposi annuendo. Gli sorrisi e lui uscì. Nemmeno gli dissi che pizza volessi, perché lui lo sapeva: prendevo sempre lo stesso gusto da quando avevo imparato come tagliare e mangiare la pizza autonomamente, perciò non specificai niente, non accennai a nulla, non proferii parola.
Chissà quante cose avrei detto a mio padre se fossi stata a conoscenza che sarebbe morto quell'incredibile sera di Settembre. Non mi sarebbe bastato il tempo di parlargli nemmeno se avessi saputo della sparatoria in cui rimase accidentalmente coinvolto, perché di tempo non ce n'è mai a sufficienza. Chissà se non avessi voluto la pizza quando lui me la propose; chissà se avessi messo da parte la noia durante il pomeriggio e avessimo passato del tempo insieme, io e lui.
Proprio un esatto anno prima del giorno in cui Kelly voleva farmi compagnia, il mio papà se ne andò per sempre. È possibile che mia madre aveva preparato la cena per me e Alex semplicemente perché in quel momento non voleva essere sola e non voleva che noi lo fossimo. La verità è che io non mi sentivo sola quel giorno ma volevo esserlo, mentre in tutti gli altri momenti in cui avevo bisogno di non essere abbandonata mi ritrovato in completa solitudine. Probabilmente Alex ha bisogno di me costantemente, però io devo esserci prima per me stessa. Lui è quello che ha preso la morte di papà in modo peggiore, ed è anche colui a cui è stata raccontata una verità addolcita. Secondo Alex: "papà era andato in cielo perché era malato anche se non lo sapeva, perciò non ha sofferto nemmeno un pochino". Le uniche cose reali che furono raccontate a mio fratello riguardavano la morte istantanea, indolore, del nostro genitore e il fatto che mai più sarebbe tornato. La visione fiabesca che Alex possiede gli è necessaria per andare avanti ogni giorno, una visione credibile, non crudele ma soprattutto non dura da farlo sentire in colpa del fatto che lui e nostra madre non erano in casa con me e papà quel giorno. La realtà che io sto ancora cercando di digerire è più brutale e maggiormente scioccante siccome fui l'ultima persona di noi che lo vide, che vide papà. 
Probabilmente un vicino o un passante poco conosciuto da lui gli fecero un cenno in segno di saluto quando lo videro camminare poco prima di morire, ma ovviamente nessuno poteva prevedere il tragico evento, e perciò nessuno diede importanza visione dell'ultimo sguardo o gesto di mio padre. Io che sono ancora oggi sua figlia, posso dare peso solo ai ricordi, appena antecedenti, della sparatoria. Ecco perché quando mi chiedono il motivo del mio improvviso cambio di gusto della farcitura in pizzeria non so rispondere: per il semplice fatto che ci sarebbe tanto da raccontare ma nulla dire. È vero: ogni storia è degna di essere raccontata, però non tutti sono idonei ad ascoltare i racconti di vita altrui.
Kelly mi fu vicina quando persi il mio papà, anche se il nostro rapporto è diventato poi sempre più critico, lei in quel momento c'era. La nostra amicizia è troppo complicata e non voglio aggrapparmi ai pochi momenti recenti in cui mi sono trovata veramente bene, in cui ho ricevuto conforto da quella che non so più se ritenere mia amica. Non so perché lei si comporti come se da un momento all'altro le interessasse il mio benessere, sono confusa. Quando mi sento così persa l'unica cosa che mi fa riacquistare la calma sono i sudoku. Quella sera presi la rivista accanto al mio comodino e cominciai una nuova griglia sotto il nome di "livello: difficile", in cui erano presenti pochi numeri. Mi addormentai su quei codici e la mattina seguente, tra i corridoi scolastici continuai a lavorare al mio nuovo enigma. Le possibilità in ogni casella erano troppe ma solo una poteva essere giusta. Anche solo un numero errato avrebbe compromesso l'intero sistema. Sono brava con i sudoku, proprio perché sono abituata a dover cancellare l'intero schema per un errore, un piccolo errore che compromette tutto. Quello in particolare era un livello avanzato e perciò impiegai tanto tempo anche solo ad inserire i primi numeri. Il mio tentativo di schematizzare mettendo in ordine, anche semplicemente in un gioco su di una rivista, fu interrotto dall'inconfondibile voce di Kelly. Non stava parlando con me ma con Chris, il, suo ragazzo.
<<Ti ho detto mille volte di smetterla!>>. Il tono così brusco ed aggressivo era utilizzato dalla voce maschile.
<<Sono stufa, basta ti prego>>. Quella che implorava tregua, invece, era la parte femminile.
<<Tu non puoi lasciarmi>>. Ordinò Chris con tono autoritario, ma stavolta senza urlare, siccome aveva già probabilmente attirato l'attenzione di troppe orecchie indiscrete, e non era ciò che voleva evidentemente.
<<Non ce la faccio più a vivere con te che...>>. Disse disperatamente Kelly.
Decisi di non immischiarmi nella loro conversazione, finché sentii la risposta verbale e percepii quella fisica di Chris, alle lamentele che gli erano state esposte.
<<Non parlare>>. Affermò lui a mezza bocca, in modo ostile ma abbastanza silenzio da rimanere discreto. Poi accadde: non so cosa lui le fece di preciso,  perché stavo origliando da dietro l'angolo, ma udii Kelly lamentarsi e potevo sentirla dimenarsi da Chris, come se lui la stesse trattenendo violentemente dall'andarsene.
 <<Che succede qui?>> Intervenni io con fare sinceramente preoccupato.
<<Niente!>>. Esclamò Kelly in tono troppo gioioso, lei non appariva così sprizzante nemmeno quando era veramente contenta. Nel frattempo, lei si massaggiava il polso e lo teneva coperto. Chris lanciò uno sguardo fulmineo ad entrambe e se ne andò per non essere messo al muro.
<<Stai bene?>> Domandai io modulando la voce per creare un'atmosfera più serena. Speravo che in assenza del ragazzo, lei mi avrebbe raccontato tutta la verità. Invece mi disse semplicemente: <<Va tutto bene.>> prima di girarsi dall'altra parte e fuggire dagli sguardi indiscreti che vista l'intera scena, erano puntati su di lei. Forse avrei dovuto seguirla per poi aiutarla, è questo che fanno le amiche. Ma noi siamo davvero ancora amiche? Quando lei aveva tentato di raccontarmi di Chris avevamo litigato e mai avrei immaginato che quella sera al telefono mi avrebbe voluto parlare della situazione, perché mai l'avrei immaginata così. Credevo che avessero discusso o fosse successo qualcosa di simile, però lei nel momento in cui più aveva bisogno di me, ricevette qualche rimprovero da parte mia, anche solo per aver chiesto aiuto. Se solo avessi saputo ascoltarla, forse le cose non sarebbero andate così: magari Kelly avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo e con il mio sostegno sarebbe andata avanti, sarebbe stata un meglio. Che razza di amica si comporta così? Che amica sono? Evidentemente io e Kelly non siamo così diverse come credevo.

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