II

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Un raggio di luce si scontrò sul mio viso per svegliarmi il giorno seguente. Mi ero addormentato ricurvo sulla scrivania, un bel gran dolore per me e la mia malattia, tant'è che faticai a tornare retto con la schiena dopo numerosi e dolorosi tentativi. Quel giorno non era iniziato bene, il mio corpo si sentiva debole ma la mia mente desiderava tornare in quel giardino per rivedere quel fiore, soprattutto per scoprire se quella figura era realmente il figlio dei Choi.

Mi diressi alla villa nel pomeriggio tardi, scavalcai con noncuranza il cancello e, dopo esser stato avvolto dall'odore inebriante, mi rialzai. Sentivo che in qualche modo quell'odore particolare mi faceva star bene, percepivo le mie energie tornarmi in corpo lentamente, minuto dopo minuto che rimanevo nel giardino. Rimasi per quasi una ventina di minuti ma nessuno si presentò davanti alle finestre o altro, rimasi da solo in silenzio. Credetti di poter riavvicinarmi di nuovo ai fiori di smeraldo di soppiatto senza troppe preoccupazioni. Li trovai al loro solito posto, mi avvicinai e tentai nuovamente di rubarne uno ma l'angoscia mi assalì le spalle. Quella volta sapevo cosa aspettarmi e voltandomi vidi la figura alla finestra. Mi metteva molta soggezione ma ero desideroso di andare fino in fondo, quindi mi alzai senza sfiorare il fiore e mi diressi verso la casa ma, appena accennai un passo, la figura scomparve.
Ripetei imperterrito la sequenza di azioni per molto tempo, superando con pazienza le due settimane e la figura, ogni volta, se ne andava quando io mi distanziavo dal fiore di smeraldo. All'inizio della seconda settimana l'uomo iniziò direttamente ad attendermi. Io attendevo finché non si distraeva da qualche suo bel fiore o da una lettura appassionata che mi permettevano di scavalcare il muretto e sprofondare fra i fiori paradisiaci. Ogni giorno che passavo all'interno di quel giardino mi accorgevo di come l'uomo mi lasciasse in pace, almeno finché non mi avvicinavo allo Smeraldo, allora li si metteva sull'attenti e mi osservava con ansia. Le mie giornate passavano ormai spese in quel giardino fatato, ero riuscito a studiare e disegnare i tratti di moltissimi fiori, catturare i loro colori con una pittura veloce di tempere. Ormai quel luogo divenne il mio piccolo posto sicuro e l'uomo, per quando si limitasse ad essere un'ombra tetra in quel giardino fiorito, non mi dava alcun fastidio, anzi, sembravamo quasi tenerci compagnia l'uno con l'altro. Gli ultimi giorni nel giardino non furono mirati ad infastidire l'uomo, mi apprestavo a salutarlo quando arrivavo e quando me ne andavo, a volte uscivo da li solo per raggiungere l'ospedale e tornare dopo un paio di ore.

I giorni si susseguivano tranquilli l'un con l'altro mentre i fiori cambiavano e si proponevano a me in forme e colori nuovi. Un giorno fui sorpreso da un cambiamento, per quando piccolo, drastico. L'uomo, che ora vedevo con più sicurezza come una figura benigna, era nel giardino ad ammirare i suoi fiori. Quel giorno aveva aperto il cancello per me e gliene fui grato, non era un buongiorno per la mia salute. Il cigolio del ferro lo avvisò del mio arrivo e appena mi vide si alzò in piedi. Per la prima volta la figura minacciosa ed inquietante dell'uomo si trovava di fronte a me con le sembianze di un coetaneo spaventato e alienato dal mondo, era palesemente il figlio dei Choi.

Quella mattina il ragazzo mi aveva atteso, non si era nascosto dietro le mura decrepite della sua casa, aveva invece trovato la forza per avvicinarsi a me. Era spesso vestito di nero, con maglioncini o camice, abbinate a dei pantaloni semi eleganti scuri. Gli abiti non erano per nulla della sua misura ma lui si trovava a suo agio e quel giorno si era vestito nel migliore dei modi per me. Il viso gli era coperto dalla visiera del cappello e una mascherina spessa scura. Non feci domande alla vista della sua persona in giardino, ma ne fui chiaramente sorpreso. Non seppi cosa dire perciò mi limitai ad un inchino, accompagnato da un dolce sorriso imbarazzato sul volto. Lui accennò un leggero saluto con il capo. Per molti giorni avevo desiderato parlargli e conoscerlo ed ora che lo avevo dinanzi non riuscivo ad aprire bocca, perciò mi sedetti a terra e feci segno al ragazzo di fare lo stesso. I suoi modi rigidi e distaccati trapelavano da lui molta ansia e paura, ma dovevo comprenderlo, d'altronde era un alienato dopo gli anni in solitudine.
Aprì in silenzio il mio blocco degli appunti e decisi di mostrargli i miei disegni, d'altronde era rimasto per molti giorni ad osservarmi disegnare, mi sentivo doveroso di mostrargli qualcosa.
«Ti piacciono? Non studio botanica ma ne sono appassionato, cerco sempre di completare i miei studi personali nel migliore dei modi.»
Mi rivolsi per la prima volta verso il ragazzo, il quale era rimasto affascinato dei miei disegni, alcuni schizzati con il colore e affianco indicate le palette, altri dettagliati e ben delineati a matita con ogni parte del fiore descritta e studiata. Al ragazzo non sembrò dispiacere la mia curiosità verso il suo giardino, anzi, si sporse per ammirare con occhi brillanti i fogli che gli mostravo. Volle toccare con le dita un disegno e, prima di farlo, mi rivolse una timida occhiata per il consenso, che io gli diedi sorridendo.

«Mi chiamo Jung Wooyoung, comunque.» Mi presentai dopo aver concluso di sfogliare i disegni e mi apprestai a girare le pagine su un foglio nuovo, pronto ad iniziare un altro studio.
«Io mi chiamo San.» Rispose a sua volta il ragazzo con tono basso e leggero. Non mi aspettavo realmente una sua risposta e perciò mi rivolsi sorpreso verso di lui. Per qualche istante mi sembrò terrorizzato dall'idea che gli chiedessi "Quel Choi?" Perciò non lo feci e quel mio stupore lo indirizzai verso il suo nome.
«Come "Montagna"? È un bellissimo nome.» Mi complimentai sorridendo gentilmente a San, il quale mi sorrise con gli occhi.
San aveva dei lineamenti marcati che si intravedevano tranquillamente anche da sotto la mascherina nera, solo i suoi occhi indicavano delicatezza e una bellezza specifica, chissà se si copriva il viso a causa dell'incidente. I suoi occhi erano salvi però, come la sua voce: giovane, seducente e sicura di sé, ogni tanto parlava con un tono dolce e delicato, di cui mi accorsi piano piano nel tempo.
«Come sei riuscito a far crescere tutti questi fiori?»
Chiesi quel giorno approfittando della sua vicinanza. Stavo schizzando un fiore sul foglio bianco, San si era sistemato al mio fianco incantato dai miei segni, come se per lui fossero irreali e ci mise un po a comprendere la mia domanda.
«Mi è sempre stato insegnato fin da piccolo come trattare i fiori di molte specie e da qualche anno sono la mia sola compagnia, mi rilassano, alleviano i mie dolori.»
Sorrisi a quelle sue parole, vedendo quel prato colorato come un piccolo esercito di amici.
«È vero che ogni fiore ha un suo carattere?» Chiesi ridacchiando sottovoce come se credessi che i fiori potessero sentirmi. San annuì sorridendomi con gli occhi.
«I Narcisi amano i complimenti, i gigli il sole ed essere salutati. Le violette sono buone ascoltatrici mentre le orchidee raccontano poesie.» San balbettava leggermente ma io lo ascoltai affascinato, divertito da tutti quei dettagli personali che solamente una persona come lui poteva conoscere.
«E il fiore di Smeraldo?» Chiesi curioso interrompendo la sua lista. Gli diedi tempo di riflettere e formulare la frase. Quella sua lenta scelta di parole era un chiaro segno di un mancato dialogo per anni, che per fortuna non era sfociato in un mutismo selettivo.
«È timido.» Si limitò a dire San rivolgendo un compassionevole sguardo al fiore.
«Mi piace il nome che gli hai dato.» Mormorò timidamente poco dopo, potei osservare le sue orecchie tingersi di rosso nel giro di poco e per poco non lo abbracciai per la tenerezza.
«Si? Per me era poco azzeccato: il colore non ha connessioni con il nome, ma mi ha ammaliato come fanno gli smeraldi.» Commentai stupidamente, ma a San piacque ascoltare quel piccolo aneddoto.
«Mi piace comunque.» Ribadì San con tono leggermente più sicuro.

Si fece tardi, quel giorno passai molte ore nel giardino, più due giorni precedenti e solamente all'ora di cena mi ricordai ciò che desideravo domandare a San ormai da parecchi giorni.
«San, posso domandarti da dove proviene lo Smerado?» chiesi dopo aver chiuso il blocco. Il ragazzo si era accovacciato affianco ad una piccola aiuola di violette. Alla domanda mi rivolse uno sguardo silenzioso ed io sorrisi gentilmente alla vista di quella scena, stava raccontando qualcosa alle violette su di me? Aveva detto che erano ottime ascoltatrici dopo tutto.
«L'ho fatto io.» disse dopo lunghi minuti di silenzio. Mi sorpresi, di certo non ero pronto a sentire una risposta del genere.
«Ah si? Come si fa a creare nuovi fiori?» domandai curioso pronto ad appuntare ogni singolo passaggio, ma San rimase muto scuotendo il capo, a quanto pare era un segreto di famiglia e ci teneva.
«Okay, capito, segreto.» mormorai facendo il cenno di sigillo davanti alle labbra.
«Però è curioso, ha un odore interessate, mi allevia i mali.» commentai sporgendomi un po di più con il busto verso il fiore di Smeraldo e non sentii alcuna ansia da parte di San, anzi, rimase a fissarmi con occhi tristi.
«Che c'è?» chiesi ridacchiando alla sua espressione, ma non disse nulla.
Per quel giorno il nostro incontro si concluse silenziosamente. Mi fece uno strano effetto uscire dal giardino dal cancello e non più scavalcando il muro, ma ne fui felice, sentivo che qualcosa stava iniziando a funzionare in me.



Spazio autrice:

Buongiorno a tutti,
Spero che la giornata sia iniziata bene e che il capitolo vi sia piaciuto.
Potrà sembrare un po' tutto veloce, ma alla fine è una storia molto leggera di pochi capitoli.
Pensavo di aggiungere la storia della Città di Smeraldo come primo capitolo, in modo che la gente la conosca per tenersi in linea con questa storia.

Beh, grazie per aver letto ed attendo i vostri pensieri e commenti su questo capitolo

Truth Untold ‹ woosan ›Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora