Era ormai passato quasi un mese dalla rottura con lei, eppure non riuscito a tornare alla mia realtà, un peso in più si era appoggiato sul mio cuore. Un giorno di quelli San mi guardò mentre ero incantanto con lo sguardo perso su un fiore, e mi chiese a tono pacato: «Perché sei solo?»
La prima volta che udii quella domanda non lo capii subito, risposto che non ero solo, ma ero lì con lui. San allora scosse il capo e lo richiese con quei suoi occhi pieni di dolcezza e dolore.
«Sei nel giardino ogni giorno da mattina a sera, come mai?»
«Non è vero» risposi volendo evitare la scomoda verità. Lo feci con un tono cattivo e scocciato e San, per quanto triste dalla risposta continuò a parlare.
«Si invece, come mai?»
«Senti, non sono solo okay? Ho una morosa e degli amici! Anzi è venerdì oggi, questa sera esco pure con loro.» Osservai l'ora e vidi che mancava poco, me ne ero scordato di nuovo. Quella volta però mi alzai e piantai in asso San nel giardino con un sbirgativo "a presto", non volendo dirgli a domani.
Ero furente, il perché non lo sapevo, non mi ero mai trovato ad essere arrabbiato così tanto per una domanda inutile, eppure detestavo quel tipo di domanda.
Ma le parole di San mi si erano piantate in testa, per tutta la sera osservai la mia vita con occhi diversi, pure i miei amici seduti attorno a me e allora lo vidi. Vidi la solitudine di mangiare un piatto semplice per il poco appetito, di non bere alcolici, di sentirsi stanchi dopo un paio di risate. C'era solitudine in ogni gesto e respiro che creavo e non me ne ero mai accorto fino a quel momento.
«Wooyoung?» Chiese Yeosang appoggiando una sua mano colorita sulla mia spalla incurvata.
«Stai bene?»
«Si» risposi nella mia bugia solitaria.Non volli mai credere seriamente alle parole di San, ma quel ragazzo mi aprii gli occhi. Dopo la cena tornai a casa in silenzio, con tanto chiasso nella testa da farmi venire il mal di testa. Entrai in casa e il primo dettaglio che mi saltò al naso fu l'odore di chiuso. Chi oltre a me viveva li? Nessuno.
Ed io ormai vivevo nel giardino fiorito.
Aprii le finestre per cambiare l'aria e poi mi diressi in doccia.
Mi spogliai davanti allo specchio e rimasi ad osservare il mio corpo gonfio dalle cure, la pelle grigia e secca.
Ero davvero un barile vuoto.
Non entrai mai in doccia quella sera, rimasi per ore davanti allo specchio ad osservarmi prima di rivestirmi arrivando alla conclusione più reale della mia esistenza: Avevo più paura di vivere che di morire.
Mi ero alienato dalla società, dal lavoro, famiglia, amici, qualunque relazione per il terrore di portare rammarico, tristezza, fastidi a chi mi stava attorno e così avevo tagliato fuori tutti dalla mia vita.
Ma non avevo mai pensato al mio futuro.
Se sopravvivevo? Non avrei potuto festeggiare con nessuno, mi sarei sentito troppo in imbarazzo per recuperare i legami persi, ero un codardo e, inconsapevolmente, mi ero arreso fin dall'inizio.
Odiai San in quegli attimi perché mi aveva portato a galla una crudele verità.«Che ci fai qua?» La voce di San mi sorprese qualche tempo dopo nel suo giardino. Quel giorno mi ero svegliato all'alba ed ero arrivato nel suo giardino attorno alle sette di mattina, mi ero accucciato affianco ad una striscia di ranuncoli ed ero rimasto appollaiato li, con la schiena contro il muro di pietra che delimitava il cortile.
Quando San mi vide erano le undici ed io non mi ero mosso di un solo millimetro, desiderando di infossarmi nella terra e diventare concime.
Alla domanda di San non risposi per vergogna e paura. Non mi ero presentato da lui per giorni ed ora ero lì di nuovo a sua insaputa, ero bloccato dal terrore che potesse arrabbiarsi e cacciarmi da lì.
Lui sembrò accorgersene della mia glaciazione ai suoi piedi e si inginocchiò davanti a me limitandosi a fissarmi.
«Scusa, ero solo e non riuscivo più a stare a casa...» borbottai in lacrime raggelato da quella sensazione di vuote che mi stava dilagando da giorni interi. La mia casa era diventata una trappola soffocante, come il mio corpo. Non riuscivo a rilassare i muscoli o a controllare gli spasmi e il dolore, ero giunto fin lì per annusare i fiori di Smeraldo, ma non si erano ancora aperti e quando lo fecero io ero impietrito dalla disperazione affianco ai ranuncoli.
«Ero solo e..e...»Balbettai la frase non riuscendo a completarla nel mio respiro isterico e ansiogeno. Sembrò influenzare per un momento San, pensai che fosse giunta la fine quando il ragazzo mi prese delicatamente le mani dal mio grembo e le strinse nelle sue. Appoggiò il suo capo sul dorso delle mani e rimase ad accarezzare la mia pelle in silenzio.
Sentii che gli stavo arrecando disturbo.
Osservai impietrito dalla paura il ragazzo e all'improvviso pensai a quanto si stesse sforzando per me, con che pazienza e pena facesse tutto quello.
«Meglio che vada, ti sto dando noia insomma avrai altro da fare al posto di sentire la mia depressione sfogarsi lo capirei sono un cadavere ambulante praticamente .» Dissi e ritirai le mani, ma San non mi lasciò andare.
«Sono stato da solo per quasi un decennio. Sei il primo amico che ho dopo tanto tempo.
Pensavo di essermi abituato alla solitudine ormai, ma poi sei arrivato tu.»
Io fiato mi andò via.
«Stare soli non è bello ed entrambi lo siamo al momento, perché non tenerci compagnia?»
«Mi hai definito tuo amico?» Chiesi con gli occhi pieni di lacrime, era la frase che più neccessitavo di sentire una uso momento.
«Non lo siamo?» Nei suoi occhi vidi del panico e per un momento risi di gusto.
«Certo che lo siamo» risposi consolandolo a mia volta, anche se non del tutto sicuro, infondo non conoscevo neppure il suo viso o la sua vita.
Mi sentivo vicino a lui solamente tramite quella solitudine in cui mi ero rinchiuso. Comica come cosa.
San mi guardò per qualche istante con la solita preoccupazione, non mi chiese direttamente nulla su ciò che era successo, ma come gli promisi settime prima, gli avrei raccontato tutto appena si sarebbe mostrandomi. La sua preoccupazione superò la sua paura e si sedette di fronte a me.
San tolse il cappello dal suo capo scoprendo i capelli tagliati male negli anni che gli incorniciavano il viso. Solo senza cappello intravidi bruciature vecchie sul lato destro del suo viso che si estendevano fin sopra l'orecchio, lasciando una parte del capo povera di capelli. Infine san tolse la mascherina e si scoprì il viso davanti a me. La sua mano tremava visibilmente e sembrò pentirsi di ciò che stava facendo per un secondo, ma finì e si mostrò a me. Sapevo cosa aspettarmi dal viso del rovinato del ragazzo ma non pensavo che fosse così invasiva la bruciatura: la pelle si era sciolta invadendo quasi metà del suo viso, solo l'occhio destro era riuscito a salvarsi, assieme alle labbra e il mento. Le bruciature però si notavano continuare anche oltre il colletto alto della maglia, probabilmente ne aveva metà corpo pieno.
Capii il perché della sua solitudine, mi sarei nascosto pure io in quelle condizioni. Per quanto fosse rovinato il suo volto, la bellezza di San era ancora vedibile e dovevo ammettere che era sconvolgente.Mi prese di nuovo le mani nelle sue, a quel gesto non ebbi più la forza di guardarlo in faccia.
«Wooyoung, ora mi serve che tu faccia dei respiri profondo con me, d'accordo?» Chiese con tono dolce continuando ad accarezzarmi il dorso delle mani. Non era quindi arrabbiato? Non alzai il viso per il terrore, per i pensieri rumorosi nella mia testa, ma il suo tono dolce si intromise lentamente nelle mie orecchie ed iniziò a popolare la mia mente. Seguì tremolante i suoi consigli ed iniziai a respirare come lui mi invitava a fare, lentamente e con respiri profondi.
«Bravo, stai andando bene, ora concentrati sul profumo dei fiori. Sai, se ci fai molta attenzione puoi sentire ogni singolo fiore, proviamo?» E in quel modo gentile accompagnò i miei respiri profondi in respiri automatici facendomi notare ogni singolo fiore. Mi distrasse innocentemente dai miei pensieri facendomi giocare con gli odori, poi con i rumori delle api attorno ai fiori ed infine con gli occhi e i colori dei fiori e del cielo. San mi guidò a riaprire tutti i miei sensi lentamente, introducendomi di nuovo al mondo piano piano, con delicatezza ed attenzione.
San non mi costrinse mai a guardarlo in volto, riusciva a far sentire la sua presenza anche in altri modi e riuscì ad aiutarmi un minimo.Un'ora dopo mi ero ritrovato sullo sdraio, posizionato sotto il glicine ancora in fiore. Il suo profumo terapeutico era un toccasana per la mia ripresa dopo quel periodo di panico e San, a mia sorpresa, si era preso cura di me. Mi aveva accompagnato fin li per farmi riposare e si era rifiutato di lasciarmi andare a casa, anzi, era scomparso dentro la sua dimora per poi ricomparire qualche istante dopo con del the e dei dolci per "tirarmi su".
Io, al contrario, di lui non avevo detto nulla, ero rimasto muto sul suo aspetto o su qualunque altro dettaglio su di lui, ma sembrava essere tranquillo a riguardo. Onestamente nella mia testa ciò che mi dava fastidio erano i suoi capelli, tagliati male ed ormai lunghi e rovinati.
«Stai un po meglio?» Mi chiese con tono preoccupato ma dolce appena terminai di bere il te che mi aveva preparato.
«Si, ora sto meglio. Grazie» risposi gentilmente. Le sue premure mi avevano migliorato la giornata, nessuno si era mai preso la briga di fare un simile gesto per me, ed ora volevo ricambiare.
«San, posso chiederti una cosa.» Il ragazzo si raggelò sotto il mio sguardo, probabilmente impaurito dalle mie parole sul suo vero aspetto.
«Posso sistemarti i capelli?» Chiesi sporgendomi verso di lui per arruffare i suoi capelli distrutti. San mi guardò per qualche istante sconcertato, annuendo subito dopo con aria sollevata.
«Perché?»
«Perché te li sei tagliati male e mi disturbano» il mio commento scatenò una sonora risata di San, mi stupii moltissimo di udirla, ma mi piacque.
«Non ci ho mai provato seriamente.» Disse San ed io annuii con espressione sofferente alla vista dei suoi capelli.
«Noto.»San tornò da me con tutto il necessario: forbici, rasoio, una ciotola d'acqua e asciugamani.
«Che taglio ti piacerebbe?» Chiesi iniziando a pettinare i capelli di San.
«Per me tutto va bene, basta che non mi scoprono troppo il viso» disse con imbarazzo ed io feci come richiesto.
«Dove hai imparato?» Mi chiese San mentre ero impegnato a lavorare sul suo capo. Gli dissi che avevo imparato da mia madre, quando ero bambino lei lavorava ancora come parrucchiera e perciò ero abituato a vederla al lavoro, tanto da iniziare anche io stesso a sistemarmi i capelli da solo. Gli raccontai molto di me in quell'ora di lavoro, stando cauto a non recargli male dal lato ustionato del viso. Alla fine gli mostrai il risultato finale e ne fu felice: la lunghezza era rimasta, ma almeno era sistemata, dal lato del capo avevo rasato i capelli, lasciandoglieli un po lunghi sopra in modo che si potesse coprire il viso. San ne fu più che felice ed io mi sentii sereno. Quel giorno fu solo il primo di tanti altri in cui iniziammo ad avvicinarci, aiutarci e ad essere uno la spalla dell'altro.
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Truth Untold ‹ woosan ›
Historia CortaStoria ispirata al racconto "La città di Smeraldo" e la canzone "The Truth Untold" dei BTS. Wooyoung, durante la prima parte della sua vita si imbatterà in un tragico incidente accaduto anni prima a Daegu. Inconsciamente si legherá all'accaduto, and...