Capitolo 1.

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Il ragazzo di Milano non era di Milano. Direi che ormai è inutile spiegarlo. Perché avevo mentito alle mie amiche? In realtà non lo sapevo neanche io, ma volevo meno gente possibile al corrente della situazione. Varcai la soglia, un groppo in gola. Lui era lì, appoggiato sul davanzale. La finestra era aperta, un filo d'aria ad accarezzargli un ricciolo scuro sulla sua fronte corrucciata. Stava ascoltando le parole di un suo amico, silenzioso e attento. Erano vicini, per comunicare sopra alla musica alta e al chiacchiericcio della gente. Non si accorse di me che raggiungevo le ragazze in cucina. Ero rimasta fuori per qualche minuto e mi ero accesa una Heets prima di entrare. Ne avevo bisogno.

"Eccoti amor!" mi prese sottobraccio Naomi, aveva già un bicchier d'acqua in mano. Le sue serate non erano mai alcoliche, preferiva altri vizi.

"C'è da bere?" chiesi invece io. Avevo bisogno di distrarmi.

La ragazza mi indicò il tavolo in legno chiaro con il suo braccio affusolato. Lo seguii con lo sguardo, il polso adornato da varie catenine e ciondoli preziosi. Feci un cenno di ringraziamento e me la lasciai alle spalle, raggiungendo le bevande. Jessica e Barbara avevano già un bicchiere in mano, quindi ne presi uno solo per me. Ne bevvi subito un sorso, camminando per tornare dal mio gruppo. Nel mentre salutai qualche volto conosciuto, passando accanto a persone che a malapena si sopportavano, eppure ridevano e ballavano insieme. L'ipocrisia era nell'aria.

"Eccola!" sentii Barbara chiamarmi. Oh no. Lui era proprio lì. Aveva chiesto di me? Dubitavo.

Mi avvicinai cauta, prendendo un altro sorso dal vetro verde che tenevo stretto fra le dita. I capelli castani mi ricaddero indietro. Iniziavano già ad avere dei riflessi biondi, effetto del sole.

"Eccomi" quasi sussurrai, quando ormai ero da loro.

Gregorio Benevento finalmente posò gli occhi scuri su di me.

"Carola" pronunciò il mio nome, abbassandosi verso di me per salutarmi. Mi sentii subito arrossire quando mi baciò la guancia. Il suo profumo mi aveva investito, provocando dei ricordi selvaggi. Era intenso e pungente, come le foglie di un pino.

"Greg" ricambiai il saluto, poi mi girai verso le mie amiche. Presi a parlare con Barbara della musica che suonava in quell'istante. Una canzone vecchia, della generazione dei nostri genitori. Cercavo qualsiasi distrazione per portare via i miei pensieri dalla presenza del ragazzo di fianco a me. Il suo braccio sfiorava il mio, pelle contro pelle.

"Andiamo a ballare?" chiese Barbara, che non riusciva più a star ferma sentendo delle note latine nell'aria. Il reggaeton era il suo debole.

Non me lo feci ripetere due volte e la presi per la mano, trascinandola nel salotto. Avevano allargato i due divani e tolto il tavolo di cristallo per far spazio alla gente. Non c'erano volti nuovi, sempre i soliti e non erano cambiati. Le innovazioni erano lente ad arrivare da queste parti. Io e Barbara ci mettemmo a ballare. La mora si muoveva sciolta, sensuale. Se ne fregava delle occhiate delle altre ragazze. Non le conosceva neanche, a dire il vero. Io invece sì, ma non le avrei mai definite mie amiche. Tutte figlie di amici di famiglia, parenti di altri e così via. ##### era una città piccola, ancora di più lo era la mentalità dei suoi abitanti. Avevo scelto di studiare a Milano proprio per quello. Avevo visto cosa succedeva alla gente che rimaneva troppo tempo nella bolla della mia città, parevano tutti formiche che si credevano leoni. In ogni caso, le salutai.

"Carola, ciao!" si avvicinò una di loro, Samanta Maria Benevento. La padrona di casa mi salutò con due baci rumorosi. Era la gemella di Gregorio, il suo sorriso mi ricordava quello di lui in modo quasi doloroso. Indossava una camicetta bianca che faceva risaltare la sua carnagione olivastra. Era già abbronzata di suo, ma doveva esser stata al mare qualche giorno. Samanta mi stava simpatica, per quanto la conoscessi. Ci trovavamo spesso a feste in comune e passavamo qualche minuto insieme a parlare, poi ciascuna ritornava dai propri gruppi. Doveva essere un un covo di vipere il suo. Lanciai uno sguardo al divano dove erano sedute. Le trovai con gli occhi fissi su di noi.

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