«Devi stare tranquilla.» Dice Mary accompagnandomi alla mia scrivania. « Se glielo dici in modo cordiale tutto andrà per il verso giusto.»
Mi siedo sulla sedia della mia scrivania. « Pensa che volevo dirgli: Ehi, bello, ti hanno scippato il computer. » Mary spalanca la bocca sconvolta. « Sono ironica.» Lei annuisce per poi fissarmi sconcertata, mentre si allontana.
Appoggio la testa sulla scrivania. Posso farcela. Dopotutto non è colpa mia. Ok, in realtà si, ma nessuno ha le prove. Il signor Anderson è pur sempre una persona, anche se...
«Jennifer!» Alzo di colpo la testa. « E' arrivato. Si trova nell'aula riunioni del quarto piano.» Annuisco sentendomi le gambe tremare e la gola secca. « Cosa aspetti? Muoviti!» Urla.
Balzo in piedi e corro a prendere il caffè.
E' una persona come me e il fatto che beva caffè lo dimostra. Una volta arrivata nel cucinino prendo il bicchierino con il caffè e mi dirigo verso l'ascensore.
Forse le voci su di lui sono esagerate, forse la penna che Jason ha rubato era placcata d'oro in realtà. Schiaccio il pulsane dell'ascensore.
E' un capo, deve aver polso quindi è normale pretendere il massimo. La perfezione.
Le porte si aprono ed entro dentro, schiacciando il numero 4.
Pulizia nel luogo di lavoro, puntualità, rispetto. E' normale.
L'ascensore inizia a salire lentamente.
Meno normale è licenziare per aver scritto una lettere in minuscolo invece che in maiuscolo, oppure per aver macchiato il tappeto del corridoio dell'ufficio, o per aver attaccato una foto della propria figlia appena nata vicino alla tastiera del computer.
Esco dall'ascensore una volta che le porte si sono aperte e barcollo fino alla porta della sala riunioni.
Duemila dollari per una penna bic. Duemila dollari. Tremante busso alla porta. Ti prego, non farmi diventare il nuovo Jason.
Un flebile avanti mi fa deglutire. Appoggio la mano sulla maniglia, la giro e silenziosamente entro.
Un signore sulla cinquantina vestito con una t-shirt bianca con scritto "Cip-Cip" e il disegno di un uccellino giallo, mi sorride appenami vede. « Si?» Domanda guardandomi e continuando a digitare sul computer davanti a se. Lui è il signor Anderson? Quest'uomo è quel mostro?
«Sono Jennifer Evans.» Mi avvicino. « Le ho portato il caffè.»
«Grazie mille, è proprio quello che mi serviva.» Allunga una mano e subito lo beve avidamente. Più lo guardo, più non capisco. E' un uomo normale, sembra cordiale, così diverso da tutte quelle orribili voci.
«Altro?» Domanda appoggiando il bicchierino vuoto.
«In realtà si.» Sussurro. « Mi hanno incaricato.» Ordinato suonava troppo drastico. « Di riferirle che il suo computer è stato.»
La porta della stanza si apre interrompendomi. Mi giro e subito spalanco gli occhi sorpresa.
Cosa diavolo ci fa lui qui? Non ha nessun altro da importunare?
Il signor "vado di fretta con il mio Rolex al polso" mi guarda sorpreso con le sopracciglia alzate.
«Tu? Lavori qui?» Domanda sbalordito.
Il signor Anderson guarda la scena confuso, continuando a digitare velocemente. « Le dispiace uscire? Dovrei parlare in privato con il signor Anderson.» L'uomo smette di digitare sulla tastiera per poi alzarsi sbuffando. Subito lo placco con un sorriso cordiale. « No, la prego.» Lo blocco. «Me ne occupo io di questo intruso.» Il signor Anderson mi guarda confuso.
Subito mi giro, a passi lunghi raggiungo il signor "vado di fretta con il mio Rolex al polso", che mi fissa sbigottito, e lo afferro per la manica della giacca trascinandolo fuori dalla stanza. « Sono una persona con una pazienza infinita.» Sbotto. « Ma lei, devo proprio dirglielo, è insopportabile. Il suo modo di atteggiarsi mi irrita più di qualunque cosa, e non la conosco neppure bene.» Lui incrociale braccia con un ghigno divertito in viso. « Arrogante, irritante.»
«L'ha già detto.» Mi interrompe. Sbuffo rumorosamente.
«Perché è qui? Rivuole i suoi soldi indietro?» Lui corruga la fronte. « Mi hanno rubato il portafoglio, quindi mi dispiace sarà per un'altra volta. Ora è pregato di andarsene e farmi fare il mio lavoro.» Ho parlato senza sosta, dimenticandomi di respirare e ora, oltre al respiro corto, mi sento le guance bruciare per la rabbia.
«In cosa consiste il suo lavoro?» Socchiudo gli occhi. Perché non se ne va e basta? « Poi la lascerò in pace. Giuro.» Dice alzando la mano destra.
«Dire una cosa di estrema importanza al signor Anderson.» Lui sorride mostrando i denti perfetti e bianchissimi, e il mio cuore inizia a battere più forte. Perché è così bello? Non è giusto che tanta bellezza sia donata a un elemento del genere.
Lui mi fa cenno di continuare e io sbuffando lo dico. «Hanno rubato il suo computer.»
L'uomo diventa improvvisamente serio. « Il mio computer?»
«No. Non il suo.» Difetto numero 2: poco cervello. « Quello del signor Anderson.»
I suoi occhi restano impiantati sulla mia figura per un tempo indefinito, fino a quando con un'imprecazione apre la porta della sala.
«Arthur, devo andare. Tu finisci e poi mandami un messaggio.» Arthur? Non mi risulta che Anderson di nome facesse Arthur. Ma poi con che coraggio parla così a...
«Certo capo.» Capo? No, fermi tutti. Capo? Ho sentito male. Per forza.
L'uomo richiude la porta e ritorna a fissarmi. « Raccontami tutto. Subito.» Dice secco.
No, no, no, e ancora no. Non può essere. E' per forza un immenso errore, un incomprensione, un sbaglio. « Signorina Jennifer Evans.» Oh, cavolo, sa pure il mio nome. « E' pregata di dirmi immediatamente che cos'è successo al mio computer.»
«Io.» Scappa! Veloce, togliti le scarpe e corri come Forrest!
Lui alza gli occhi al cielo esasperato. « Allora?» Sbuffa. « Ha perso l'uso della parola?»
Licenziata. Al 100% mi farà svuotare la scrivania e senza neppure sapere che sono io la responsabile della rovina del suo computer. Dovrò trovarmi un nuovo lavoro. E se non riuscissi a pagare l'affitto? Sarò costretta a tornare a casa dei miei genitori! No, non esiste. Piuttosto vado a dormire sotto un ponte.
«Forse non le è chiaro, ma sono io Lucas Anderson.» Dice piatto. «Quindi è pregata di dirmi che fine ha fatto il mio computer.»
«Signor Anderson, mi dispiace infinitamente per tutto quello che le ho detto.» Ti prego non licenziarmi. « Non era mia intenzione offenderla e neppure.»
«Jennifer.» Mi interrompe. Wow, mio nome pronunciato da lui è diventato la mia parola preferita. « Si risparmi i convenevoli, la licenzierò seduta stante se non mi dice che diavolo di fine ha fatto il mio stramaledetto computer.»
---
Grazie per aver letto!
STAI LEGGENDO
Una Bugiarda (quasi) Perfetta
ChickLitJennifer Evans: detta anche "Jen", 24 anni, dipendente alla Anderson Corporation. Amante della pizza, delle serie tv e delle borse. Antisportiva DOC e forse un po' bugiarda... ok, senza il forse un po' e con un bel molto. Lucas Anderson: 30 anni...