Mentire non mi è mai piaciuta come parola. Preferisco di gran lunga che si dica "omettere la verità."
Da piccola non ero per nulla brava, i miei genitori riuscivano subito a capire che omettevo la verità semplicemente guardandomi. Se il mio tono di pelle era tendente al bianco panna, stavo dicendo le cose come stavano, se era leggermente rosato come un confetto rosa da cerimonia qualcosa non era esattamente giusto; mentre se invece ero rossa, come quando si sta per ore sotto al sole senza protezione, la realtà era ben lontana da quello che avevo detto. Tutti, sapendo della mia attitudine a cambiare colore, iniziarono a prendermi in giro chiamandomi Camaleonte delle bugie.
All'incirca a diciassette anni però questo, e anche il soprannome imbarazzante, è sparito. Complice la crescita, insieme al tubetto di fondotinta che mi spalmavo in faccia, ero diventata una perfetta omettitrice di verità.
Ora ho smesso di usare chili di fondotinta, ma sono comunque in grado di non fare capire quello che è realtà e quello che lo è un po' meno.
Almeno l'avevo creduto per anni, prima di trovarmi nell'ufficio del signor Anderson, con lui che mi fissa da minuti interminabili in silenzio scrutando ogni minimo mio movimento alla ricerca della verità.
Sorrido forzatamente smettendo di torturami le mani.
«Rubato.» Dice secco. « Dal mio ufficio.» E' la terza volta che lo ripete, ma ogni volta mi fa salire un brivido su per la schiena. Vorrei dirgli che si è dimenticato di aggiungere il pezzo: "E tu sei l'ultima ad averlo visto" che segue il suo "dal mio ufficio", ma rimango zitta.
«E tu sei l'ultima ad averlo visto.» An eccolo.
Annuisco di nuovo. Dalla disperazione, o forse dalla rabbia, è passato a darmi del tu senza che se ne rendesse conto.
«Hai dei sospetti?» Corrugo la fronte. Non pensavo che si fidasse di me, anzi pensavo di essere la sospettata numero uno. « E' stato rubato anche il tuo portafoglio, giusto?»
«Si, forse.» Lui mi guarda confuso. « Si.» La verità è che potrei averlo lasciato ovunque. E con ovunque intendo sopra la scrivania, vicino alla macchinetta del caffè, in bagno, a casa, dentro un'altra borsa, in un taxi... Appunto, ovunque.
La porta del suo ufficio si apre lentamente. « Scusi, signor Anderson, ho bussato ma.»
«Entri pure.» Mark lentamente apre del tutto la porta, entra nell'ufficio e delicatamente la chiude alle sue spalle. Lo guardo sorpresa. Che fine ha fatto il Mark che sbatte le porte per chiuderle? Quello delle milioni domande e dalla voce tre volte più alta del normale?
Mi rigiro verso il signor Anderson e spingo la schiena sullo schienale. Continua a fissarmi con gli occhi socchiusi e la fronte corrugata. Ok, forse sono davvero la prima sospettata. Ma poi, nessuno gli ha mai spiegato che è da maleducati fissare?
«Vuole che chiami la polizia?» Chiede Mark gentilmente.
Sobbalzo.« No!» Quasi urlo.
Entrambi gli uomini mi fissano sconcertati, aspettando una spiegazione per la mia reazione esagerata. Ottimo. « Insomma, io credo.» Inizio. Cosa credo? Che la pioggia faccia schifo. Si, e poi? Che chi mangia il gelato d'inverno sia figlio del diavolo. E chi indossa i calzini con i sandali si meriti un girone dell'inferno tutto suo.
«Signorina Evans?» E' tornato a darmi del lei. Peccato.
«Eccessivo. Credo che sia eccessivo. Ora. Cioè dopo si, chiamatela pure, ma ora no.»
«Perché?» Mark mi guarda fulminandomi. Da quando è entrato è la prima volta che mi degna di uno sguardo.
«Per dare modo a chiunque sia stato di renderglielo.»
«E perché dovrei farlo?» Interviene Anderson con tono seccato.« Un furto è un furto. Chi è stato deve pagare.»
«Si però magari chi l'ha preso non voleva prenderlo davvero.» Dico di slancio. Ok, nella mia testa suonava molto meglio. L'uomo mi guarda inclinando la testa, con la solita espressione da "cerco la verità"
«La lasci perdere signor Anderson, Jennifer è ancora una ragazza che vive nelle nuvole. Forse non si rende conto dell'accaduto.» Schiocco la lingua sul palato indignata. Nuvole un piffero.
«Signorina Evans, era un computer di ultima generazione, il meglio che si può trovare e davvero costoso.»
«Lo so perfettamente.» Dico indignata. Anderson mi guarda confuso. «L'ho visto per ultima, non lo ricorda?» Sbotto.
«L'ha visto.» Ripete pensieroso. « E ha riconosciuto subito il modello?»
«Si perché? Crede che essendo una giovane ragazza che vive nelle nuvole non sia in grado?» Faccio il verso a Mark.
«Tu?» Mark trattiene una risata, facendoci uscire un verso simile a un rantolo. « Figurati, ho dovuto spiegarti come si accendeva il computer dell'ufficio il primo giorno.» Arrossisco. A mia discolpa posso dire che il tasto era ben nascosto dietro il monitor.
Il signor Anderson incrocia le mani appoggiandole poi sulla scrivania davanti di se. « Signorina Evans, dove ha messo il mio computer?» Io? Cosa? Perché? « Come sa che modello e che era costoso? L'ha venduto per caso?»
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A presto 🎀😃
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Una Bugiarda (quasi) Perfetta
ChickLitJennifer Evans: detta anche "Jen", 24 anni, dipendente alla Anderson Corporation. Amante della pizza, delle serie tv e delle borse. Antisportiva DOC e forse un po' bugiarda... ok, senza il forse un po' e con un bel molto. Lucas Anderson: 30 anni...