Garmir avanzò nella palude con lentezza, imprecando e maledicendo la pioggia incessante. Aveva dovuto lasciare Crinevento fuori, altrimenti si sarebbe potuto rompere una zampa: ogni due passi, l'eclissiomante sprofondava fino alle caviglie nel fango e i vestiti si appesantivano sempre di più. Il nubifragio, poi, non semplificava di certo il cammino, lo inzuppava da capo a piedi e diminuiva il suo campo visivo. Continuò imperterrito senza vedere dove stava andando e mugugnò tra sé.
«Iniziamo bene. Chissà come se la riderebbe Olin. Pagherebbe oro per vedermi in questo stato.»
La pioggia scemò e dopo qualche minuto smise del tutto.
«Era ora.»
Prese una boccata d'aria e se ne pentì subito, perché un odore ancora peggiore di quello della palude gli si piantò in gola. Lo riconobbe subito: carne putrida, il tanfo di morte che aveva sentito innumerevoli volte in battaglia. In qualsiasi altra situazione quel fetore sarebbe stato molto sgradito, ma in quel momento era più che benvenuto: era arrivato alla sua meta.
Passò oltre una tenda di liane e si trovò in uno spazio aperto. Davanti ai suoi occhi si estendeva il più grande e antico cimitero delle Terre Vive, una pianura disseminata di sterpaglie e piante spinose che si arrampicavano sulle lapidi. In ogni direzione spuntavano tumuli funerari a forma di cupola, eretti per i defunti di rango più alto.
Al centro esatto della piana svettava una torre di pietra bianca, una volta altissima, ora ridotta la metà della sua altezza e in decadenza. Alla scuola degli eclissiomanti Garmir non era mai andato benissimo a Storia — i nomi dei grandi re del passato e le date non ce la facevano a stargli nel cervello — però sapeva che quel torrione era l'ultimo rimasuglio di Raghnetog, la capitale del primo regno umano nelle Terre Vive. Era andata distrutta più o meno quattromila anni prima, durante una guerra civile. Il resto della città era sotto terra e si estendeva fino al limite della palude. La teoria più diffusa era che un gruppo di idromanti avesse deviato il corso di un gigantesco fiume sotterraneo, distruggendo così le mura e affogando Raghnetog nel fango. Dopo la fine della guerra, invece di ricostruirla, l'avevano trasformata in quel cimitero.
Il tanfo di morte però non proveniva né dai tumuli né dalla torre. Garmir seguì le sue narici e si avventurò tra le sepolture, si arrampicò su un tumulo per avere una visuale migliore e avvistò una figura che saltellava da una tomba all'altra.
«Ehi! Ehi tu!» gridò Garmir, con voce incerta. «Sei... Sei tu colui che chiamano il Putrivoro?»
L'essere si fermò su una lapide storta e volse la testa con lentezza verso di lui. Era scheletrico, tanto che in in alcune parti del corpo si vedevano le ossa sporgere fin quasi a rompere la pelle, nera come fumo denso. Si passò un artiglio spaventoso sul capo simile a un teschio coperto di cuoio, producendo il suono di una lama su un guscio di noce. Fissò i suoi occhi piccoli, rossi e senza palpebre in quelli di Garmir, mentre lui si calava con attenzione dalla cupola di pietre pericolanti.
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L'Ombra dei Tre Soli
FantasyGarmir è un eclissiomante, un mago che utilizza assieme magia della luce e dell'oscurità. Nonostante abbia soltanto diciannove anni, gli è stata affidata una missione d'importanza vitale: reclutare sei persone elencate su una lista e partire con lor...